2023-05-14
«Con i miei abiti aiuto le donne a piacersi»
La stilista Floriana De Bosi : «Dopo la seconda gravidanza, quello che indossavo non mi soddisfaceva più. Così ho iniziato a disegnare vestiti per me. Poi ho pensato di allargare la produzione, 600 capi a stagione, alle clienti: voglio conoscerle, capirle. Scelgo materiali solo italiani».Una sarta? «No, non so cucire». Una stilista? «Non lo so, senza dubbio sono una persona che aiuta le donne a piacersi di più, a farle sentire a loro agio con il proprio corpo con gli abiti che indossano». Floriana De Bosi si racconta alla Verità spiegando il suo mestiere, che non è solo quello di confezionare capi di alta sartoria ma, soprattutto, quello di saper ascoltare le sue clienti, soddisfarle nelle loro voglie e necessità e, perché no, anche nei loro capricci. Una passione che ha da sempre, visto che si definisce «maniaca della moda, degli accessori, delle stoffe, dei colori, delle rifiniture. Fin da piccola andavo a cercare nei negozietti i materiali particolari, i dettagli unici, giravo tutta Europa».Quando è iniziata l’avventura? «È partita in un momento preciso della mia vita: quando è cambiata la mia fisicità. Da giovane mi potevo mettere qualsiasi cosa addosso e tutto mi stava bene. Ma a un certo punto non mi sono più riconosciuta in alcun stilista, in nessuna moda del momento. Sto male più o meno con tutto, non mi sento mai a mio agio, sempre un po’ goffa. Partecipo alle feste e mi sento il brutto anatroccolo. E questo perché? Perché, di fatto, tutto quello che della moda mi piaceva di più, non rappresentava più me stessa, non si adattava più alle mie forme».E quindi? «Ho iniziato a scarabocchiare qualcosa solo per me, abiti che facevo fare dalla sarta e con i quali mi sentivo soddisfatta. Andavo in cerca di stoffe particolari, a Como per la seta o nei negozi di tappezzeria che vendevano solo per arredamento. Compravo broccati e sete per fare dei tailleur, gonne anni Sessanta, gonne a tubo, abiti larghi, capi scivolati, cose mi stavano benissimo. A un certo punto a quelle feste dove prima mi sentivo a disagio, l’atmosfera era totalmente cambiata. Addirittura mi chiedevano dove avessi acquistato quegli abiti, se potevo portare anche loro. Ho dovuto rivelare che quello che indossavo in quel momento lo avevo disegnato io, che ero andata a scegliere il tessuto e lo avevo fatto confezionare. Non mi sembrava una cosa così speciale mentre, in effetti, lo era».Da una parte la passione per la moda, dall’altra un’esigenza, quindi. «Esatto, per questo mi ci dedico con tanto amore. Non era un’usanza di famiglia anche se mia mamma era appassionatissima di moda e anche oggi, se guardo nel suo armadio, trovo capi straordinari, accessori preziosi. E ciò mi ha consentito di capire quali stoffe fanno davvero la differenza e rendono unico un capo».C’è stato un evento scatenante? «Dopo la seconda gravidanza, una quindicina d’anni fa, il mio fisico non era più quello di prima e avevo bisogno di cose diverse rispetto a ciò che ero abituata a mettere. Allora iniziai a disegnare una camicia, un vestito per una determinata occasione: mi sono creata una piccola collezione, esclusivamente per me. In piena pandemia, nel 2020 ho iniziato a pensare che ciò che realizzavo poteva essere utile anche ad altre donne che non si sentivano a posto. O, semplicemente, che avevano bisogno di consigli. Oggi produciamo 500, 600 capi a stagione».Nasce così il brand che porta il suo nome, Floriana De Bosi. Dove avviene la produzione? «Nel mio atelier, in un appartamento nel centro di Roma, in via Nazionale. All’inizio c’era anche la sartoria ma, essendo aumentata la produzione, abbiamo dovuto spostarla. Due sarte e una modellista fanno magie. Ogni stagione creo una collezione e parto da quella. Ho clienti che vengono e acquistano come se fossero in negozio. Poi altre che, per occasioni particolari, hanno iniziato a farsi fare tutto su misura. Studio insieme a ogni donna che si rivolge a me, qualcosa solo per loro. Se non vanno bene le stoffe che ho in atelier o in sartoria, vado a cercarne altre solo per un abito».Per i tessuti, come fa? «Li acquisto in vari luoghi d’Italia, in base alle tipologie. Materiali solo italiani. Alla base metto grande attenzione e ricerca».Offre capi sia prêt-à-porter sia di alta moda? «Sì, è il vantaggio della sartoria. Si parte con pezzi limitati e, sovente, mi capita di dover realizzare altre cose perché finiscono subito. Sono pochi capi per ogni modello. Non si corre il rischio di trovarsi nello stesso luogo con una persona che indossa lo stesso abito. Molto spesso realizzo lo stesso modello ma in stoffe diverse. E i vari modelli vengono adattati, ricalibrati in base al fisico della cliente che lo sceglie».Lei veste donne famose sia dello spettacolo che della politica. «È vero e mi hanno fatto un passaparola pazzesco. Il sito lo abbiamo aperto un anno fa, Instagram c’è da quattro mesi. Ok l’e-commerce ma le nostre clienti preferiscono venire in atelier e vengono da Milano, da Brindisi, da Palermo, da Firenze, da ogni parte d’Italia. La soddisfazione è vederle felici di ritornare».Il trucco sta proprio nell’atelier, in una certa privacy? «Penso che questo sia molto importante. Ricevo solo su appuntamento, sono rare le situazioni in cui apro senza un orario destinato a una cliente. Questo avviene solo i primi due giorni dell’inizio di una stagione, poi solo appuntamenti fissi. Per le clienti nuove che non sono mai venute mi prendo anche due ore di tempo proprio per conoscerle, per capire in quali occasioni devono usare certi abiti, come pensano di vivere i capi».È come essere tornati nel passato. «È così: si siedono, prendono un tè, un pasticcino, vedono la collezione, le stoffe, faccio vedere loro le cose già realizzate, parliamo delle occasioni d’uso. È una boutique riservata in un palazzo storico romano, molto luminoso. Già questo fa effetto rispetto a un negozio qualunque. Il mio compito è accompagnarle nella scelta perché, a volte, ci piacciono cose che non ci stanno bene. Quella era la mia frustrazione più grande: provavo abiti meravigliosi che poi mi stavano malissimo. Tutte le donne sono armoniche ma lo devono sentire. E il mio compito è farle stare bene».
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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