L’Europa ha dichiarato guerra all’agricoltura, ritenendola responsabile di buona parte delle emissioni inquinanti.
«Pur valendo meno del 2 per cento del Pil europeo», ha ricordato ieri il Corriere della Sera, «il settore agricolo produce il 10 per cento del gas serra. Per questo deve fare la sua parte nella transizione verso un’economia sostenibile». Ma che cosa significa fare la propria parte? Se ne sono accorti gli allevatori olandesi, quando il governo di Mark Rutte, spalleggiato da Bruxelles, ha imposto l’abbattimento di milioni di vacche, colpevoli di eccessiva flatulenza. Già, i peti ammorbano l’aria e non potendo sostituire le mucche con i robot, l’Europa ne sollecita lo sterminio, così da risolvere alla radice il problema. Ma come faremo senza latte e relativi formaggi? A questa domanda, i sostenitori dell’ineluttabilità della transizione verde rispondono semplicemente che dovremo imparare a nutrirci con altro. Non molto diversa la risposta quando si affronta la questione del fermo delle colture, necessario secondo la nuova filosofia ambientalista per non stressare i terreni. Anche in questo caso dovremmo abituarci a mangiare altro, probabilmente la farina di insetti e simili piacevolezze. Stop pure all’uso del gasolio, impiegato nel settore per far funzionare le macchine agricole, ma spesso anche per alimentare il riscaldamento nelle serre: come lo sostituiremo? Con i pannelli solari, replicano gli ambientalisti duri e puri. E quando il sole non c’è e la temperatura è allo zero? Forse accendendo un cero alla Madonna?
C’è dunque da stupirsi se gli agricoltori di mezza Europa sono in subbuglio? Le decisioni draconiane di Bruxelles e i tagli agli strumenti di sostegno al settore rischiano di mettere in ginocchio le aziende agricole e chi vi lavora. «Il Green deal lascia ampi margini di flessibilità per venire incontro alle esigenze degli agricoltori, senza compromettere l’interesse di tutti», sostiene ancora il Corriere. Ah, sì? Come? La risposta non è chiarissima, perché dopo aver concluso che neppure le campagne si possono sottrarre al nuovo credo ambientalista sposato dalla nomenklatura europea, il giornale di via Solferino aggiunge che «nessun pasto è gratis» e a qualche cosa si deve pur rinunciare. In pratica, costi e sacrifici, che se non possono essere caricati tutti sulle spalle degli agricoltori dovranno trovare una collettività pronta a sobbarcarsi dei nuovi oneri. Un po’ come con i costi di sistema delle energie alternative, per finanziare le quali si sono appesantite le bollette. Ma se il vantaggio di un ecosistema sostenibile è collettivo, è giusto che vi siano compensazioni a carico del bilancio pubblico, spiega il solito quotidiano. Andando al sodo, la transizione energetica, come già avevamo capito quando sono stati prospettati interventi per meglio isolare le abitazioni, si porta dietro una vagonata di tasse, in quanto se si devono pagare gli agricoltori per non coltivare la terra occorrerà introdurre un’imposta ecologica a carico di aziende e persone fisiche.
Vi pare una follia? Anche al sottoscritto, soprattutto dopo aver letto che, mentre l’Europa si dà da fare per ridurre le emissioni mettendo fuori legge le auto a motore termico, le caldaie, le vacche e le case poco efficienti, la CO2 rilasciata nell’atmosfera dall’industria digitale crescerà nei prossimi quindici anni del 775 per cento, passando dall’1,6 del 2017 al 14 per cento. In altre parole, le molto intelligenti misure imposte ai cittadini da Bruxelles saranno rese inutili dall’intelligenza artificiale. A scoprire che l’impatto degli elaboratori elettronici, oltre a consumare una quantità mostruosa di acqua, avrà un impatto anche sull’ambiente è stato un laboratorio cinese, della famigerata città di Wuhan, quella del Covid. Ma la ricerca è stata pubblicata dalla prestigiosa rivista Nature, secondo la quale se il settore digitale fosse una nazione, sarebbe al quinto posto tra i Paesi che nel globo emettono più anidride carbonica, contribuendo al 3,8 per cento del totale. In pratica, le tecnologie digitali inquinano quattro volte più della Francia. Tutto ciò senza considerare che lo smaltimento dei prodotti tecnologici è destinato a far salire i gas serra immessi nell’atmosfera, visto che nel giro di un decennio è atteso un incremento dei rifiuti elettronici di circa il 50 per cento.
Insomma, l’innovazione procede spedita verso un maggior inquinamento, ma per l’Europa e il problema restano le flatulenze delle vacche. E poi ci si stupisce se spernacchiano Bruxelles.