2023-10-27
Col taglio ai fondi e senza munizioni la guerra di Kiev rischia di fallire
La destra americana esige lo stop agli aiuti, Bruxelles spedisce proiettili a rilento, Bratislava scarica Volodymyr Zelensky. L’Occidente è distolto dal fronte Est per via del caos a Gaza. Il «NY Times»: «Putin ha ottenuto ciò che voleva».La guerra in Ucraina è finita.Beh, ovviamente no. Si continua a combattere. Gli invasori guadagnano terreno nel Donestk, verso Avdiivka, che sarà evacuata. Per precauzione, inoltre, le autorità vogliono i minori fuori da Kupyansk e Kharkiv. L’Agenzia internazionale per l’energia atomica è allarmata per le conseguenze degli attacchi russi alla centrale nucleare di Khmelnytsyi. Sì, le ostilità continuano. Ma fino a quando gli uomini di Volodymyr Zelensky reggeranno l’urto?Il caos in Israele ha distratto l’Occidente. Sui media, la cronaca degli scontri trova sempre meno spazio. Non c’è quasi più traccia dell’iniziale afflato verso gli eroi disposti a morire per «i nostri valori» - e pazienza se avevano le svastiche tatuate: adesso leggono Kant in trincea. Ormai, non è nemmeno più roba da «putiniani» invocare una soluzione diplomatica in Donbass e Crimea. Un po’ perché c’è la grana di Gaza. Un po’ perché tenere aperti due fronti, col rischio che si spalanchi anche quello di Taiwan, non è saggio. Un po’ perché Washington ha raggiunto i suoi principali obiettivi: separare il Vecchio continente dalla Russia, impelagare Vladimir Putin, allargare la Nato a Svezia e Finlandia.Negli Usa si avvicinano le presidenziali. Joe Biden giura che spalleggerà a oltranza Zelensky. Un gruppo di senatori repubblicani ha proposto invece di dirottare i fondi da Kiev a Gerusalemme, inasprendo le tensioni su un pacchetto di aiuti da 106 miliardi di dollari, che include ulteriori sovvenzioni agli ucraini. Alla fine, Antony Blinken, su X, ha blindato «una nuova tranche di armi ed equipaggiamenti». Ma se l’America vacilla, figuriamoci l’Europa.A Bruxelles si sta materializzando l’incubo evocato pochi giorni fa dall’Alto rappresentante, Josep Borrell: per l’opposizione dell’Ungheria, langue l’intesa sui 500 milioni per la fabbricazione di proiettili. Viktor Orbán, ieri, ha ribadito che non ha più intenzione di dare soldi alla resistenza. E ha insistito: «Teniamo aperti i canali di comunicazione con la Russia». Nel frattempo, il neoeletto primo ministro slovacco, Robert Fico, annunciava: basta aiuti militari all’Ucraina. «L’Unione europea», ha commentato, «dovrebbe trasformarsi da fornitore di armi in fautrice di pace». In vista del Consiglio nella capitale belga, Fico ha anche bocciato ulteriori sanzioni alla Russia: prima ne calcolerà «l’impatto sulla Slovacchia». Faceva quasi tenerezza sentire Borrell, fiducioso negli «impegni a lungo termine per la sicurezza» e il sostegno all’Ucraina. Ecco. E pensare che tutto era cominciato con una mossa orwelliana: cambiare la destinazione dei soldi in dotazione al Fondo per la pace e usarli per supportare lo sforzo bellico ucraino. Di qui era partita la gara per mandare all’esercito gialloblù un milione di munizioni l’anno, in calibro 155, necessarie all’artiglieria. Per indirizzare l’industria della Difesa, era stata approvata una norma ad hoc, battezzata Asap, che sta per Act in support of ammunition production, ma che è pure l’acronimo dell’espressione inglese «as soon as possible», «prima possibile». Com’è andata a finire? Stando a Bloomberg, l’Ue è in ritardo con le consegne. Ha spedito solo il 30% delle forniture promesse e, con ogni probabilità, non riuscirà a completarle entro marzo 2024. Il che si tradurrà, nota l’agenzia stampa, in un «potenziale vantaggio» per le truppe dello zar. Costui, al contrario di Zelensky, può contare su una produzione autoctona di 2 milioni di pezzi per i cannoni. E poi - parola dell’intelligence britannica - nei depositi russi sono arrivate le munizioni nordcoreane. Mille container in una manciata di settimane. Il presidente-attore ha fiutato la mala parata. Con i leader dell’Ue, dai quali desidererebbe «una strategia a lungo termine», ha provato a giocarsi la carta dell’orso sovietico che punta su Danzica. E ha sottolineato «la necessità di unità» sul Medio Oriente, poiché «i nemici della libertà sono molto interessati a portare il mondo libero al secondo fronte». Tradotto: occhio, che il Cremlino sfrutterà la situazione. Anche il New York Times ha dovuto riconoscere - testuale - che «Putin sta ottenendo ciò che vuole». L’editorialista Hanna Notte ha rilevato che la Russia «sta emergendo quale una delle principali beneficiarie della guerra» a Gaza. Ad aver perso interesse per il Donbass è in primo luogo l’opinione pubblica. Alla quale, in fondo, le élite e i media hanno insegnato proprio a gettar via l’emergenza di oggi per correre dietro a quella di domani. Ma Mosca gongola altresì per ragioni geopolitiche: ad esempio, il nuovo congelamento dei rapporti tra ebrei e sauditi. Inoltre, la posizione levantina sulla reazione agli attentati del 7 ottobre può compattare, attorno al Cremlino, mondo arabo e vari Stati ostili a Occidente, Europa e Israele.Sono gli scogli sui quali s’ infrange la guerra per procura in Ucraina. L’abbiamo intrapresa senza un’idea di cosa significasse vincere. E ora siamo a un tragico bivio: non sappiamo tirarci fuori dal fango, ma neppure possiamo ammettere un fallimento. Si direbbe che siamo prigionieri di un gioco a somma zero. Se questo fosse un gioco e non una strage.