True
2022-05-02
La Cina di Henri Cartier-Bresson in mostra al Mudec di Milano
True
Alla fine della giornata, la gente in coda spera ancora di poter acquistare oro. Shanghai, 23 dicembre 1948
© Fondation Henri Cartier-Bresson / Magnum Photos
È difficile riassumere in poche righe chi fu Henry Cartier- Bresson (1908-2004) e la sua influenza sulla fotografia contemporanea, fotogiornalismo in primis. Basti ricordare che si è guadagnato il soprannome di «occhio del secolo» e molti fotografi di fama mondiale (uno su tutti, Ferdinando Scianna) ne parlano come il « maestro in assoluto», sposando la sua estetica del «momento decisivo», ossia quell’attimo perfetto in cui scattare una foto cristallizzando per sempre un momento, quel momento, senza studio o premeditazione. Il bianco e nero un vero marchio di fabbrica, usato come una tavolozza di colori per evidenziare la forma e la sostanza della realtà. E poi la sua Leica, inseparabile compagna di lavoro, strumento principale con cui immortalare velocemente attimi di vita quotidiana, grandi eventi storici, persone, luoghi, particolari .
Amico di Robert Capa, David Seymour, George Rodger e William Vandivert (insieme ai quali, nel 1947, fonda la Magnum Photos, destinata a diventare la più importante agenzia fotografica del mondo), in più di mezzo secolo di attività Cartier-Bresson è riuscito a raccontare e a tradurre in immagini la storia del mondo, spaziando dalla Francia alla Cina, dall’India agli Stati Uniti.
Ed è la Cina, colta in due diversi momenti della sua millenaria storia, la protagonista della mostra allestita al MUDEC di Milano.
La Mostra al MUDEC
Con oltre cento stampe originali e una ricca raccolta di documenti e materiali d’archivio, la mostra milanese - curata da Michel Frizot e Ying-Lung – riunisce due diversi reportage di Cartier- Bresson: il primo, realizzato fra il 1948 e 1949 su commissione della rivista Life e durato ben dieci mesi invece delle due settimane previste, racconta la caduta di Nanchino, retta dal Kuomintang e gli «ultimi giorni di Pechino» prima dell’arrivo delle truppe di Mao; il secondo, datato 1958, è un viaggio di quattro mesi attraverso tutto il Paese, fra complessi siderurgici e grandi dighe in costruzione, pozzi petroliferi e paesi rurali «modello», un viaggio che ha lo scopo di documentare gli esiti della Rivoluzione e dell’industrializzazione forzata delle regioni rurali. Nonostante sia accompagnato da una guida imposta dal regime e obbligato a visitare solo determinati luoghi, Cartier-Bresson riesce a mostrare anche gli aspetti meno positivi: lo sfruttamento del lavoro umano, il controllo militare, l’onnipresenza della propaganda .
Al pari del primo, anche questo secondo reportage riscuote enorme successo editoriale e lo stile di Cartier- Bresson, attento agli avvenimenti e ai soggetti ritratti, ma anche all’equilibrio generale della composizione, uno stile «puro» e poetico allo stesso tempo, rappresenta una svolta nella storia del fotogiornalismo e, in Occidente, segnerà l’immagine della Cina di Mao fino agli anni Settanta.
Una mostra di grande importanza, imperdibile sia per chi già conosce Henry Cartier- Bresson sia per chi si approccia a lui per la prima volta. Immagini che sono storia e arte allo stesso tempo. L’emozione unica di vedere il mondo attraverso lo sguardo di uno dei più grandi maestri della fotografia del ‘900.
Continua a leggere
Riduci
Due momenti fondamentali nella storia della Cina - l’istituzione del regime comunista (1948-1949) e il «Grande balzo in avanti» di Mao Zedong (1958) - visti attraverso gli occhi di Henri Cartier-Bresson, pioniere del fotogiornalismo e mostro sacro della fotografia mondiale. Questo il tema della grande mostra allestita sino al 9 luglio al Mudec, il Museo delle Culture di Milano.È difficile riassumere in poche righe chi fu Henry Cartier- Bresson (1908-2004) e la sua influenza sulla fotografia contemporanea, fotogiornalismo in primis. Basti ricordare che si è guadagnato il soprannome di «occhio del secolo» e molti fotografi di fama mondiale (uno su tutti, Ferdinando Scianna) ne parlano come il « maestro in assoluto», sposando la sua estetica del «momento decisivo», ossia quell’attimo perfetto in cui scattare una foto cristallizzando per sempre un momento, quel momento, senza studio o premeditazione. Il bianco e nero un vero marchio di fabbrica, usato come una tavolozza di colori per evidenziare la forma e la sostanza della realtà. E poi la sua Leica, inseparabile compagna di lavoro, strumento principale con cui immortalare velocemente attimi di vita quotidiana, grandi eventi storici, persone, luoghi, particolari .Amico di Robert Capa, David Seymour, George Rodger e William Vandivert (insieme ai quali, nel 1947, fonda la Magnum Photos, destinata a diventare la più importante agenzia fotografica del mondo), in più di mezzo secolo di attività Cartier-Bresson è riuscito a raccontare e a tradurre in immagini la storia del mondo, spaziando dalla Francia alla Cina, dall’India agli Stati Uniti. Ed è la Cina, colta in due diversi momenti della sua millenaria storia, la protagonista della mostra allestita al MUDEC di Milano.La Mostra al MUDEC Con oltre cento stampe originali e una ricca raccolta di documenti e materiali d’archivio, la mostra milanese - curata da Michel Frizot e Ying-Lung – riunisce due diversi reportage di Cartier- Bresson: il primo, realizzato fra il 1948 e 1949 su commissione della rivista Life e durato ben dieci mesi invece delle due settimane previste, racconta la caduta di Nanchino, retta dal Kuomintang e gli «ultimi giorni di Pechino» prima dell’arrivo delle truppe di Mao; il secondo, datato 1958, è un viaggio di quattro mesi attraverso tutto il Paese, fra complessi siderurgici e grandi dighe in costruzione, pozzi petroliferi e paesi rurali «modello», un viaggio che ha lo scopo di documentare gli esiti della Rivoluzione e dell’industrializzazione forzata delle regioni rurali. Nonostante sia accompagnato da una guida imposta dal regime e obbligato a visitare solo determinati luoghi, Cartier-Bresson riesce a mostrare anche gli aspetti meno positivi: lo sfruttamento del lavoro umano, il controllo militare, l’onnipresenza della propaganda . Al pari del primo, anche questo secondo reportage riscuote enorme successo editoriale e lo stile di Cartier- Bresson, attento agli avvenimenti e ai soggetti ritratti, ma anche all’equilibrio generale della composizione, uno stile «puro» e poetico allo stesso tempo, rappresenta una svolta nella storia del fotogiornalismo e, in Occidente, segnerà l’immagine della Cina di Mao fino agli anni Settanta.Una mostra di grande importanza, imperdibile sia per chi già conosce Henry Cartier- Bresson sia per chi si approccia a lui per la prima volta. Immagini che sono storia e arte allo stesso tempo. L’emozione unica di vedere il mondo attraverso lo sguardo di uno dei più grandi maestri della fotografia del ‘900.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
Continua a leggere
Riduci
Getty Images
Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
Continua a leggere
Riduci
Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
Continua a leggere
Riduci