Mentre la case europee chiudono le catene di montaggio in nome del Green deal per sopperire all’inquinamento asiatico, i gruppi di Pechino fanno il record di vendite di vetture tradizionali. L’elettrico da noi non sfonda e Xi l’ha capito prima di Ursula.
Mentre la case europee chiudono le catene di montaggio in nome del Green deal per sopperire all’inquinamento asiatico, i gruppi di Pechino fanno il record di vendite di vetture tradizionali. L’elettrico da noi non sfonda e Xi l’ha capito prima di Ursula. La Cina è il Paese che inquina di più nel mondo. Infatti, da sola produce circa il 30 per cento delle emissioni globali di gas serra, più di Stati Uniti, Unione europea e India messi assieme. Per cercare di ridurre l’immissione di CO2 nell’atmosfera che, appunto, per un terzo è responsabilità di Pechino, la Ue ha avviato un piano che prevede tra le altre cose lo stop alla produzione di auto a motore termico entro il 2035, con una riconversione dell’industria e dei consumi a favore delle quattro ruote elettriche. Fin qui nulla di nuovo: sono cose che si sanno e che lasciano piuttosto perplessi, in quanto l’Europa inquina a livello mondiale per il 6 per cento, ossia poco o nulla rispetto alla Cina. Tuttavia, il disorientamento aumenta quando si scopre che le case automobilistiche di Pechino hanno deciso di aumentare la produzione di veicoli con motore termico, con l’obiettivo piuttosto evidente di conquistare le quote di mercato lasciate libere dalle industrie a quattro ruote dell’Europa. In pratica, nella Ue si rischia di essere cornuti e mazziati, ovvero si chiudono le catene di montaggio in nome del Green deal per un mondo più pulito, mentre la Cina, a cui si deve per almeno un terzo l’inquinamento globale, riapre linee di produzione tradizionali. Secondo l’agenzia di stampa Bloomberg, la notizia si accompagna a un fenomeno registrato negli ultimi mesi. Dall’inizio dell’anno, le vendite di veicoli elettrici hanno subito in tutta Europa un forte rallentamento. In particolare, la frenata ha riguardato le quattro ruote made in Cina, che però - guarda la stranezza - continuano complessivamente ad aumentare. Infatti, nel primo trimestre, secondo i dati forniti da Dataforce, le vendite hanno raggiunto il loro massimo storico, con oltre 150.000 auto immatricolate. Vi pare un non senso? No, perché calano le vetture elettriche acquistate e aumentano quelle ibride, cioè con motore termico a cui si aggiunge un piccolo propulsore a batteria. Della cifra complessiva di auto di marca cinese, solo il 30 per cento era spinta da un accumulatore: tutte le altre avevano un motore a benzina con l’aggiunta dell’elettrico. Per chi non lo sapesse, il 30 per cento è una percentuale che non si vedeva dall’inizio del 2020. Vuol dire che invece di accrescersi, il mercato dei veicoli elettrici si restringe, scompaginando dunque tutti i piani di Bruxelles, che vorrebbe l’eutanasia delle auto che viaggiano con i combustibili fossili in capo a dieci anni.Che l’auto elettrica fosse destinata a una battuta d’arresto era prevedibile e non soltanto perché le quattro ruote a batteria continuano a costare di più rispetto a quelle con motore termico. Ma anche per ragioni di autonomia e di infrastrutture di ricarica. Finché le colonnine in giro per l’Europa scarseggeranno e i tempi per fare il pieno di energia richiederanno un’ora o più, l’auto con la spina rappresenterà sempre una quota marginale del parco macchine, perché la fruizione della vettura non è per tutti. Di certo non lo è per chi non ha una stazione di ricarica riservata o sotto casa e nemmeno per chi percorre molti chilometri e non ha tempo da perdere in attesa di avere il serbatoio di energia che lo metta in grado di viaggiare. Ma al di là dei problemi tecnici e pratici dovuti all’autonomia dei veicoli, a spingere le ibride cinesi è anche un altro fattore. La Ue, per difendersi dall’importazione di auto elettriche a prezzi più bassi di quelle immesse sul mercato dalle aziende europee, ha applicato dei dazi che hanno reso meno competitive le quattro ruote di Pechino. Dunque, i colossi cinesi hanno pensato di buttarsi sull’ibrido, su cui in questo momento l’Unione non ha messo tasse. Risultato, non solo la Cina produce motori a scoppio che noi vorremmo mettere fuori legge, ma addirittura si fa beffe di noi, vendendoli in Europa a prezzi concorrenziali rispetto a quelli delle nostre case automobilistiche. In pratica, grazie alle follie green di Ursula von der Leyen e dei suoi compari, finiamo per regalare alla Cina il nostro mercato.
Elly Schlein (Ansa)
Corteo a Messina per dire no all’opera. Salvini: «Nessuna nuova gara. Si parte nel 2026».
I cantieri per il Ponte sullo Stretto «saranno aperti nel 2026». Il vicepremier e ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, snocciola dati certi e sgombera il campo da illazioni e dubbi proprio nel giorno in cui migliaia di persone (gli organizzatori parlano di 15.000) sono scese in piazza a Messina per dire no al Ponte sullo Stretto. Il «no» vede schierati Pd e Cgil in corteo per opporsi a un’opera che offre «comunque oltre 37.000 posti di lavoro». Nonostante lo stop arrivato dalla Corte dei Conti al progetto, Salvini ha illustrato i prossimi step e ha rassicurato gli italiani: «Non è vero che bisognerà rifare una gara. La gara c’è stata. Ovviamente i costi del 2025 dei materiali, dell’acciaio, del cemento, dell’energia, non sono i costi di dieci anni fa. Questo non perché è cambiato il progetto, ma perché è cambiato il mondo».
Luigi Lovaglio (Ansa)
A Milano si indaga su concerto e ostacolo alla vigilanza nella scalata a Mediobanca. Gli interessati smentiscono. Lovaglio intercettato critica l’ad di Generali Donnet.
La scalata di Mps su Mediobanca continua a produrre scosse giudiziarie. La Procura di Milano indaga sull’Ops. I pm ipotizzano manipolazione del mercato e ostacolo alla vigilanza, ritenendo possibile un coordinamento occulto tra alcuni nuovi soci di Mps e il vertice allora guidato dall’ad Luigi Lovaglio. Gli indagati sono l’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone; Francesco Milleri, presidente della holding Delfin; Romolo Bardin, ad di Delfin; Enrico Cavatorta, dirigente della stessa holding; e lo stesso Lovaglio.
Leone XIV (Ansa)
- La missione di Prevost in Turchia aiuta ad abbattere il «muro» del Mediterraneo tra cristianità e Islam. Considerando anche l’estensione degli Accordi di Abramo, c’è fiducia per una florida regione multireligiosa.
- Leone XIV visita il tempio musulmano di Istanbul ma si limita a togliere le scarpe. Oggi la partenza per il Libano con il rebus Airbus: pure il suo velivolo va aggiornato.
Lo speciale contiene due articoli.
Pier Carlo Padoan (Ansa)
Schlein chiede al governo di riferire sull’inchiesta. Ma sono i democratici che hanno rovinato il Monte. E il loro Padoan al Tesoro ha messo miliardi pubblici per salvarlo per poi farsi eleggere proprio a Siena...
Quando Elly Schlein parla di «opacità del governo nella scalata Mps su Mediobanca», è difficile trattenere un sorriso. Amaro, s’intende. Perché è difficile ascoltare un appello alla trasparenza proprio dalla segretaria del partito che ha portato il Monte dei Paschi di Siena dall’essere la banca più antica del mondo a un cimitero di esperimenti politici e clientelari. Una rimozione selettiva che, se non fosse pronunciata con serietà, sembrerebbe il copione di una satira. Schlein tuona contro «il ruolo opaco del governo e del Mef», chiede a Giorgetti di presentarsi immediatamente in Parlamento, sventola richieste di trasparenza come fossero trofei morali. Ma evita accuratamente di ricordare che l’opacità vera, quella strutturale, quella che ha devastato la banca, porta un marchio indelebile: il Pci e i suoi eredi. Un marchio inciso nella pietra di Rocca Salimbeni, dove negli anni si è consumato uno dei più grandi scempi finanziari della storia repubblicana. Un conto finale da 8,2 miliardi pagato dallo Stato, cioè dai contribuenti, mentre i signori del «buon governo» locale si dilettavano con le loro clientele.






