2021-09-07
Ci lasciano la libertà, ma solo di obbedire
Sergio Mattarella e il ministro Maria Cristina Messa, nel nome della «collettività» in pericolo, bacchettano i non inoculati. I quali, comunque, esercitano un diritto costituzionale. Additarli come «malati» è il primo passo per arrivare a silenziare tutti i non allineati all'ideologia di StatoL'unica spiegazione possibile è che non si rendano conto di ciò che stanno dicendo, dei precedenti che stanno creando. Va detto: non è facile comprendere di essere nell'errore quando praticamente tutti, intorno, ti danno ragione, ti applaudono e ti chiedono di essere ancora più diretto e deciso. È in questo modo, purtroppo, che si pongono le fondamenta su cui edificare le cattedrali del totalitarismo. No, non si rendono conto del potenziale, e delle conseguenze, delle loro affermazioni, altrimenti correrebbero ai ripari, si smentirebbero invece di rincarare la dose. Vogliamo credere che sia così, perché l'alternativa non è affatto piacevole.Nel giro di poche ore, prima il presidente della Repubblica e poi un ministro hanno spiegato che bisogna rinunciare alla libertà individuale in nome di una non ben precisata «libertà collettiva». Gli editorialisti dei principali quotidiani si sono sciolti nel godimento, molti capi di partito si sono spellati i palmi, persino tanti cittadini hanno mostrato apprezzamento. «Non si invochi la libertà per sottrarsi alla vaccinazione, perché quell'invocazione equivale alla richiesta di licenza di mettere a rischio la salute altrui e in qualche caso di mettere in pericolo la vita altrui», ha detto domenica Sergio Mattarella. Poi ha aggiunto: «Chi pretende di non vaccinarsi e comunque di svolgere una vita normale, frequentando luoghi condivisi, di lavoro, di intrattenimento, di svago, in realtà costringe tutti gli altri a limitare la propria libertà, a rinunziare a prospettive di normalità di vita».Già la scelta delle parole è inquietante. Secondo il presidente, chi non si vaccina non dovrebbe avere la «pretesa» di svolgere «una vita normale». Significa che una persona sana la quale scelga di esercitare un suo diritto costituzionale - rifiutare un farmaco - non dovrebbe poter «vivere normalmente». Negli anni abbiamo concesso libera circolazione a spacciatori, clandestini, terroristi, organizzatori di rave illegali. Ma non dobbiamo concederla a chi rifiuti un trattamento sanitario. Vi pare una posizione condivisibile? Sulla stessa linea dell'inquilino del Colle - ovviamente - si posiziona anche il ministro dell'Università, Maria Cristina Messa: «Bisogna pensare agli altri in questo momento e non a sé stessi», dichiara. «Capisco che uno possa pensare che questa sia una lesione della propria libertà individuale, ma esiste una libertà collettiva che ha prevalenza». Qui non si tratta di invocare una «libertà senza limiti», cioè di pretendere che ciascuno possa fare il diavolo che gli pare senza curarsi degli altri. La cultura conservatrice da sempre insiste sull'importanza dei confini e della comunità. «La vita è di natura sua collettiva», scriveva Enrico Corradini, padre del nazionalismo italiano. Ma ora non si sta chiedendo al singolo di sacrificare sé stesso al fine di contribuire a una grandiosa impresa collettiva. No: gli si dice di sacrificare l'altro, il vicino «malato», per garantire la propria sopravvivenza fisica. Altro che legame comunitario, qui si gioca sulla paura del contagio. Si mira all'immunità, che è l'opposto della comunità. Non a caso Mattarella, la Messa e quanti danno loro ragione compiono una pericolosa sovrapposizione tra «non vaccinato» e «malato». Dichiarano che chi non si vaccina mette in pericolo la vita degli altri. Ma è falso. Al massimo, se è vero che i vaccini funzionano, il non vaccinato mette in pericolo sé stesso, non gli altri. È lui a rischiare, eventualmente, di finire in terapia intensiva (ricovero per cui ha già pagato, versando negli anni un bel po' di contributi all'erario). Per la collettività, il presunto no vax non è «pericoloso». Egli può contagiare, è vero, ma anche i vaccinati possono farlo. Però i vaccinati - se il vaccino fa il suo dovere - sono protetti. In realtà, nei fatti, il problema non esiste. Se dovessimo aderire alla logica perversa dei fanatici della sanificazione, dovremmo dire che i no vax moriranno tutti in breve tempo: questione risolta, dunque. Se invece intendiamo restare nell'ambito della ragionevolezza, ci basta guardare i dati per notare come i non vaccinati siano sempre meno. Per fortuna, poi, sembra stiano calando anche i numeri dei ricoveri. Ciò che non diminuisce ma aumenta è semmai il tasso di violenza liberticida presente nelle esternazioni dei governanti, e con le parole di Mattarella siamo forse giunti all'apogeo. Non resta che chiedersi che cosa verrà dopo. Si possono anche detestare i presunti no vax, ma è doveroso chiedersi: dopo di loro, a chi toccherà? A chi sarà tolta la libertà individuale di vivere «una vita normale» in nome della «libertà collettiva» i cui confini sono tracciati dal governo? Magari, un bel giorno, diranno che l'evasore fiscale, l'omofobo e il razzista non devono poter circolare liberamente o avere accesso ai servizi. E tanta gente sarà pure d'accordo, trascurando un piccolo dettaglio: se oggi, per ragioni politiche, si chiama «malato» un uomo sano, perché domani non si potrebbe chiamare «evasore» chi è vittima di un errore o chi non ha potuto pagare le tasse perché schiacciato dalla burocrazia? Il metodo è sempre lo stesso. In base all'ideologia si stabilisce il perimetro della «vera libertà». Poi si decreta che chi si oppone all'ideologia è pericoloso (razzista, malato, odiatore) e lo si colloca fuori dal perimetro. A quel punto, il gioco è fatto: la libertà della persona è cancellata. Rimangono soltanto le concessioni fatte dai politici, che prendono il nome di «libertà collettiva». Ecco che cosa ci stanno invitando a fare davvero. Ci spingono a eliminare il reietto, il renitente: egli è l'ostacolo che si frappone alla conquista del Lebensraum, dello spazio vitale necessario al «sano» per rimanere tale. Fate pure allora, battete le mani, e tenetevi stretta la libertà collettiva di obbedire.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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