2020-11-16
Ci accusano perché sbugiardiamo i potenti
Anni fa, un bravo cronista di nome Gian Marco Chiocci, che oggi dirige l'agenzia di stampa Adnkronos, mi portò la fotografia del portavoce di Romano Prodi, all'epoca presidente del Consiglio, mentre in auto sostava davanti a un viado che si prostituiva. Un fotografo del giro di Fabrizio Corona lo aveva seguito di notte, fino a immortalarlo in una situazione imbarazzante, e grazie a quell'istantanea lui e il suo capo sognavano di fare molti soldi. Invece dei quattrini, arrivò un'inchiesta giudiziaria con accuse pesanti, e la foto del portavoce con il prostituto finì nel fascicolo della Procura.Chiocci, più bravo di tutti gli altri colleghi che seguivano il caso, quella foto la recuperò e me la consegnò e io la pubblicai, come ho pubblicato centinaia di altre fotografie e centinaia di altri atti d'indagine. Ma siccome non riguardavano persone altolocate, bensì semplici cittadini, nessuno si indignò mai. Nel caso dell'uomo di Prodi invece, ci fu una sollevazione popolare. Non dei lettori, ma dei direttori, i quali si interrogarono sulla necessità di stampare una simile foto. Che senso ha e che cosa aggiunge, mi domandarono con fare accusatorio, e prima ancora che io potessi rispondere, già mi avevano condannato, manco avessi commesso il reato di lesa maestà. Durante una trasmissione tv, a uno di questi che aveva pubblicato le fotografie della casa di Cogne, con il letto e le pareti macchiate dagli schizzi di sangue del piccolo Samuele assassinato dalla madre, chiesi: che senso aveva e che cosa aggiungeva mettere in pagina quelle immagini dell'orrore? La risposta fu un balbettio imbarazzato e agli ascoltatori fu chiaro che la differenza la faceva il soggetto. Uno, cioè il portavoce, era un uomo di potere, che andava preservato, l'altro era un bambino di 3 anni cui la mamma aveva spappolato il cervello e di cui dunque si poteva anche mostrare il sangue. Del resto, uno poteva difendersi, e avere qualcuno che ne rappresentasse le ragioni, l'altro no, non aveva nessuno, se non la curiosità morbosa dei giornalisti.Negli anni, grazie alle intercettazioni e alla diffusione degli atti giudiziari, è stata pubblicata qualsiasi cosa senza senso: dalle chiacchiere prive di valore probatorio di Anna Falchi, alle faccende più intime e scabrose di Giovanni Consorte. Tuttavia, invece di indignarsi per l'uso e l'abuso che viene fatto degli atti di indagine, ci si indigna solo quando è colpito qualche potente, ma solo se si tratta di un amico o di un esponente della propria parte politica o di una parte che può tornare utile, altrimenti si lascia correre. Nel caso recente, degli appunti dell'avvocato Bianchi, c'è chi se l'è presa per la frase sessista riportata nel quaderno del presidente della Fondazione Open e attribuita a Matteo Renzi. Ma invece di avercela con il legale del Giglio Magico e con il suo leader, ce l'hanno con noi, che quella frase l'abbiamo trovata negli atti giudiziari e l'abbiamo riferita riproducendo anche il testo scritto a mano da Alberto Bianchi. Che senso ha e che cosa aggiunge all'inchiesta, ci è stato chiesto ancora una volta. Il senso è semplice, ancora una volta pubblichiamo una frase che è la rappresentazione del potere senza veli, della sua arroganza, del suo cinismo. Non siamo noi a scrivere di Maria Elena Boschi: è l'uomo che si faceva ritrarre accanto a lei in smoking. Non siamo noi a pensare che dovrebbe fare la moglie, un figlio, altrimenti «è tr...», ma Renzi o per lo meno questo è ciò che scrive Bianchi. Dunque, non ci sono sciacallaggi, killeraggi giornalistici, fughe di notizie, anche perché quelle notizie non sono rubate: sono depositate in tribunale e chi le recupera non è al soldo di questo o di quello, di una fazione o di una procura. Il giornalista che le ottiene (in questo caso Giacomo Amadori) è semplicemente più bravo degli altri e sta facendo il proprio mestiere, che è appunto trovare le notizie, mentre i colleghi che criticano invece non lo fanno. Quanto alla sostanza delle accuse, come nella vicenda del direttore che pubblicò le foto della casa di Cogne, esse vengono magari da chi in passato ha difeso le inchieste sulle tendenze sessuali di un direttore considerato nemico di nome Dino Boffo, e le prime pagine dove la moglie di Silvio Berlusconi era definita velina ingrata e di lei si diceva che avesse un amante. Gossip, questo sì, che per di più nemmeno era inserito in un fascicolo giudiziario e la cui pubblicazione non aveva di sicuro alcun senso né aggiungeva nulla. Comunque stiano tranquilli i politici e i colleghi che oggi davanti alle notizie si scaldano: nonostante le minacce e nonostante le lezioni di bon ton che ci vengono impartite, Amadori, Amendolara, China e tutta la redazione della Verità continueranno a fare il proprio mestiere, senza padrini né padroni. Troveranno le notizie, comode o scomode, e le pubblicheranno.Ps. Caro Alessandro Sallusti, il viaggio costato 134.900 euro per andare poche ore in America e assecondare la propria vanità, non è un affare privato, perché le fondazioni non servono per pagare i conti dei politici, ma per fare altro, e per questo godono di alcune esenzioni fiscali e normative. Senza dire che poi i privati non sono benefattori che regalano il proprio denaro per consentire a Renzi di fare un viaggio negli Usa. Quanto alle battute da osteria sulle donne, anche io ne ho sentite tante, ma quella riguardante Maria Elena Boschi non è una battuta: è una frase sessista e volgare scritta nel diario di Alberto Bianchi, insieme ad altre che riguardano soldi, nomine, potere. Non è il maresciallo a trascrivere: è il presidente della Fondazione Open a scrivere. È l'amico di Renzi, che oggi proprio con i suoi appunti è diventato il suo peggior nemico.
Francesca Albanese (Ansa)
La sede della Corta penale internazionale dell’Aia (Ansa)