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2019-05-12
Il domatore Saviano
chiude il circo del Salone e benedice la censura
Ansa
«Il massacro sistematico di una propaganda non risponde mai sui temi ma attacca i suoi oppositori sul personale. Appena hai una posizione critica verso la loro propaganda, non rispondono sui temi, ma sempre sulla persona che ha parlato». Sono parole pronunciate ieri, al Salone del libro di Torino, da Roberto Saviano. E descrivono perfettamente l'azione del regime sottoculturale vigente, anche se lo scrittore campano le rivolge al bersaglio sbagliato, cioè ai populisti. Alla fiera letteraria più triste che si ricordi è successo proprio quello che il caro Roberto ha descritto. Di fronte a editori e autori critici verso la propaganda che infetta i media asserviti al pensiero dominante, non si è risposto «sui temi», ma «sulla persona». La casa editrice Altaforte è stata bandita e costretta a organizzare una presentazione in un albergo torinese distante dal Lingotto. Dei libri pubblicati dal marchio «fascista» non si è discusso. Però si è fatto un gran parlare dell'editore Francesco Polacchi, delle sue posizioni politiche, della sua fedina penale, delle sue attività imprenditoriali. Non hanno risposto sui temi, si sono concentrati sulla persona. Come fanno i regimi.
Ecco che cosa resterà del Salone di quest'anno: il sapore stomachevole di «dittatura dolce» e un po' vigliacca, di intellettuali che si nascondono dietro ai celerini per eliminare di soppiatto i nemici politici. La caricatura di un regime, debole nei toni ma sufficientemente violenta negli esiti.
Il direttore del circo, Nicola Lagioia, è soddisfatto: «Tutta l'organizzazione messa a punto da Torino Città del libro penso stia soddisfacendo gli editori e questo è un punto importante», dice. «Il modello di collaborazione tra il pubblico e i privati, che peraltro erano già fornitori del Salone, funziona. Certo è un meccanismo che va oliato per evitare che si creino situazioni come quella di Altaforte, ma penso che sia un modello da promuovere». Chiaro, bisogna oliare il meccanismo, di modo che - dall'anno prossimo - gli editori sgraditi non possano nemmeno avvicinarsi, così ci si risparmia il fastidio di chiamare la derattizzazione.
Sorride Lagioia, gongolano tutti i partigiani del terzo millennio, quelli che si ritirano in montagna (ma solo per farsi una settimana alla spa): Michela Murgia, Zerocalcare, Sandro Veronesi, e gli altri saltimbanchi. Persino uno capace di lampi d'intelligenza come Michele Serra, ieri su Repubblica, offriva la sua benedizione alla mordacchia democratica. Hanno vinto: si sono fatti tra di loro persino il dibattito sul fascismo. Del resto, l'intera pantomima se la sono gestita in famiglia. Prima, tramite il commissario Christian Raimo, hanno invocato la censura. Poi si sono divisi in correnti: chi voleva boicottare; chi voleva andare mai in polemica; chi ne approfittava per pubblicizzare il libretto fresco di stampa. E poi, immancabili, i sinceri «liberali», quelli che tifano libertà di pensiero. Come Pierluigi Battista, che in segno di protesta ha acquistato i libri di Altaforte e subito (lo ha detto lui) li ha buttati nel cestino. Chiaro: si acquistano così si fa bella figura, ma lo schifo per l'idea diversa rimane. In ogni caso, non c'è stato uno che i libri di Altaforte li abbia sfogliati e commentati. Solo sdegno e sberleffi.
Il volume con l'intervista a Matteo Salvini è stato defenestrato, in compenso ieri il Saviano di cui sopra ha potuto concionare fino allo sfinimento, attaccando il governo a ogni sospiro (si è concentrato soprattutto sulla chiusura dei porti, definita «orrore umano e politico»). Via il ministro dell'Interno, largo allo scrittore narciso che attacca i poliziotti e si fa lo spot accanto ai taxisti del mare di Medici senza frontiere (di cui ha presentato il libro). Questa sì che è democrazia.
Dato che abbiamo citato Michele Serra, viene proprio voglia di parafrasare un celebre titolo del suo Cuore, quello che recitava: «Hanno la faccia come il culo». Perdonate il tono da bar, ma la frase descrive perfettamente i piccoli censori del Salone e tutti i loro fiancheggiatori. Ad esempio Nicola Zingaretti, segretario del Pd. Allo stand della Feltrinelli di Torino, come noto, era in vendita il suo libro Piazza grande, nel quale il leader democratico fa una bella esibizione di revisionismo storico sull'Urss: «Se non ci fosse stata l'Unione sovietica [...] non sarebbero state possibili le lotte dei partiti democratici e di sinistra».
Costui è lo stesso Zingaretti che ieri, su Repubblica, si permetteva di dare consigli sull'insegnamento della storia nelle scuole. «Dobbiamo rafforzare la presenza degli insegnanti», ha scritto, «e contribuire a una formazione continua e aggiornata (per molti la seconda metà del Novecento rimane un terreno sconosciuto)». Vero: infatti Zingaretti è il primo a ignorare la storia dell'Urss, dei gulag e dei massacri perpetrati in nome del socialismo reale. Lui però, non è stato estromesso dal Salone, e anzi può continuare a farsi bello sputando banalità sulla memoria e lo studio del passato.
Questa è la cultura dominante in Italia, e il Salone è il suo profeta.
Il Salone canta «Bella ciao». Altaforte: «Class action contro chi ci ha allontanato»
E ti pareva che non saltava fuori pure Bella ciao. Ieri l'autrice del libro-intervista a Matteo Salvini, la giornalista Chiara Giannini, si è «intrufolata» al Salone del libro di Torino con una copia del volume pubblicato da Altaforte, il temibile ed eversivo editore fascista. Non appena l'ha notata, un prode commesso dello stand di Feltrinelli ha intonato i primi versi del canto partigiano. A quel punto, la vibrante energia del grido battagliero ha contagiato anche diversi visitatori, che si sono uniti al coro, mentre la Giannini brandiva il testo come un esorcista brandisce il crocifisso. Una scena epica, con picchi di pathos che chi ha seguito la serie Netflix, La casa di carta e ricorda il momento in cui i due protagonisti si abbracciano, sussurrandosi commossi proprio le parole di Bella ciao, avrà di sicuro colto.
Ennesima giornata di passione, dunque, alla kermesse libraria del capoluogo piemontese, da cui, dopo interminabili polemiche, lo stand di Altaforte è stato escluso. La casa editrice vicina a Casapound, guidata da Francesco Polacchi, ha presentato il libro della Giannini in un hotel in pieno centro a Torino. «La polemica su Altaforte si è scatenata prima delle dichiarazioni di Francesco Polacchi», ha detto la giornalista: «Penso sia semplicemente un attacco strumentale al ministro Matteo Salvini, che si è fidato di me. Quando ho fatto la richiesta ai suoi più stretti collaboratori di poter pubblicare il libro-intervista, ho inviato una mail dicendo che l'avrei fatto con Altaforte. Il ministro non ha rilasciato un'intervista ad Altaforte, ma a Chiara Giannini. E per quanto riguarda Casapound», ha proseguito, «non mi sembra sia un partito illegale». Accalorata, l'autrice si è lasciata andare anche a un paragone un po' ardito: «Massimo rispetto per gli scampati ai campi di concentramento, è un capitolo della storia vergognoso che mi addolora moltissimo. Loro hanno subito una restrizione della loro libertà, la stessa che sto subendo io». Ma a parte questo discutibile passaggio, la Giannini su una cosa ha ragione: è ingiusto che «un piccolo gruppo di personaggi italiani» voglia imporre il proprio «punto di vista sugli altri: è veramente assurdo». Così, mentre Polacchi annunciava che molti autori della sua casa editrice sono pronti a sottoscrivere una class action contro i responsabili della censura al Salone, la legale della giornalista spiegava che chiederà un risarcimento agli organizzatori per aver danneggiato la sua cliente. Dopo la conferenza stampa, la Giannini si è recata al Lingotto, sede della rassegna libraria, per denunciare la censura subita e «per far vedere a tutti quelli che me l'hanno impedito, compreso il signor Nicola Lagioia (direttore del Salone, ndr) e la sindaca Chiara Appendino, che la cultura spacca i ponti e può entrare ovunque». La Giannini ha anche rifiutato di essere etichettata come fascista: «L'editore», che invece aveva orgogliosamente ammesso le proprie simpatie, «parla a nome personale. Io non sono fascista, non mi sono mai schierata politicamente. Per quale motivo impedirmi di presentare il libro?».
Proprio nei momenti in cui la Giannini inscenava la sua protesta al Lingotto, si è consumato l'eroico atto di resistenza del libraio di Feltrinelli, che a Repubblica ha raccontato: «La signora Inge Feltrinelli è morta da un anno e non mi è sembrato proprio il caso di venire a fare propaganda davanti alla sua fotografia. È stata una provocazione. Ho intonato Bella ciao perché sono un antifascista, sono un democratico».
Curioso, però, che i «democratici» tollerino solamente chi la pensa come loro e siano, al limite, disposti a pubblicare i libri di pericolosi estremisti di destra (Carl Schmitt, Ernst Jünger, Martin Heidegger e altri), purché rechino il marchio delle case editrici politicamente rispettabili. Curioso che gli antifascisti, quelli che deridono l'oscurantismo medievale e commemorano contriti i roghi di libri del regime nazista, usino con i loro avversari ideologici metodi molto simili a quelli di chi, gli oppositori, li mandava al confino. E pensare che durante il fascismo, grazie alla lungimiranza del filosofo Giovanni Gentile, non mancarono gli intellettuali ostili a Benito Mussolini che potevano godere di una certa libertà.
Sulla vicenda si è espresso anche Giampaolo Rossi, consigliere d'amministrazione Rai, che in un'intervista al Primato Nazionale ha puntato il dito su una «élite intellettuale sempre più arrogante e chiusa nella sua autoreferenzialità», capace di compiere un «atto di ottusità barbarica». D'altro canto, i sinistri, che si percepiscono vittime di un un permanente assedio neofascista, vanno compresi.
Questi signori sono sopravvissuti a decenni senza potere grazie al subappalto alla cultura concesso dalla Democrazia cristiana. Dopo il crollo della prima Repubblica si erano abituati pure ad averlo, il potere. Ora sono saltati tutti gli schemi. Destra e sinistra sono categorie afasiche. Loro perdono sempre più consenso e sempre più potere. E mentre si squalifica il culturame che producono, il «nemico», di cultura, ne macina parecchia. Immaginate il trauma: scalzati dalle poltrone, scalzati dalle cattedre. È logico che i figliastri di Antonio Gramsci reagiscano scompostamente, ora che si vedono sfuggire ogni ambizione egemonica. Peraltro, pur essendo noi convinti che sia opportuno evitare ogni riferimento a tragedie come quella dei lager, non possiamo non notare che l'esultanza della scrittrice Halina Birenbaum, sopravvissuta all'Olocasuto, per la cacciata di Altaforte, è stata inopportuna. Possibile che ciò che l'esperienza della persecuzione razziale le ha insegnato, sia il valore morale della censura?
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Finisce la rassegna segnata dalla guerra a un piccolo editore. E pure Nicola Zingaretti (Pd) loda la polizia culturale.Anche l'autrice del volume-intervista a Matteo Salvini chiederà i danni agli organizzatori. E quando si è presentata al Lingotto, dallo stand Feltrinelli è partito il coro rosso Bella ciao.Lo speciale contiene due articoli.«Il massacro sistematico di una propaganda non risponde mai sui temi ma attacca i suoi oppositori sul personale. Appena hai una posizione critica verso la loro propaganda, non rispondono sui temi, ma sempre sulla persona che ha parlato». Sono parole pronunciate ieri, al Salone del libro di Torino, da Roberto Saviano. E descrivono perfettamente l'azione del regime sottoculturale vigente, anche se lo scrittore campano le rivolge al bersaglio sbagliato, cioè ai populisti. Alla fiera letteraria più triste che si ricordi è successo proprio quello che il caro Roberto ha descritto. Di fronte a editori e autori critici verso la propaganda che infetta i media asserviti al pensiero dominante, non si è risposto «sui temi», ma «sulla persona». La casa editrice Altaforte è stata bandita e costretta a organizzare una presentazione in un albergo torinese distante dal Lingotto. Dei libri pubblicati dal marchio «fascista» non si è discusso. Però si è fatto un gran parlare dell'editore Francesco Polacchi, delle sue posizioni politiche, della sua fedina penale, delle sue attività imprenditoriali. Non hanno risposto sui temi, si sono concentrati sulla persona. Come fanno i regimi. Ecco che cosa resterà del Salone di quest'anno: il sapore stomachevole di «dittatura dolce» e un po' vigliacca, di intellettuali che si nascondono dietro ai celerini per eliminare di soppiatto i nemici politici. La caricatura di un regime, debole nei toni ma sufficientemente violenta negli esiti. Il direttore del circo, Nicola Lagioia, è soddisfatto: «Tutta l'organizzazione messa a punto da Torino Città del libro penso stia soddisfacendo gli editori e questo è un punto importante», dice. «Il modello di collaborazione tra il pubblico e i privati, che peraltro erano già fornitori del Salone, funziona. Certo è un meccanismo che va oliato per evitare che si creino situazioni come quella di Altaforte, ma penso che sia un modello da promuovere». Chiaro, bisogna oliare il meccanismo, di modo che - dall'anno prossimo - gli editori sgraditi non possano nemmeno avvicinarsi, così ci si risparmia il fastidio di chiamare la derattizzazione. Sorride Lagioia, gongolano tutti i partigiani del terzo millennio, quelli che si ritirano in montagna (ma solo per farsi una settimana alla spa): Michela Murgia, Zerocalcare, Sandro Veronesi, e gli altri saltimbanchi. Persino uno capace di lampi d'intelligenza come Michele Serra, ieri su Repubblica, offriva la sua benedizione alla mordacchia democratica. Hanno vinto: si sono fatti tra di loro persino il dibattito sul fascismo. Del resto, l'intera pantomima se la sono gestita in famiglia. Prima, tramite il commissario Christian Raimo, hanno invocato la censura. Poi si sono divisi in correnti: chi voleva boicottare; chi voleva andare mai in polemica; chi ne approfittava per pubblicizzare il libretto fresco di stampa. E poi, immancabili, i sinceri «liberali», quelli che tifano libertà di pensiero. Come Pierluigi Battista, che in segno di protesta ha acquistato i libri di Altaforte e subito (lo ha detto lui) li ha buttati nel cestino. Chiaro: si acquistano così si fa bella figura, ma lo schifo per l'idea diversa rimane. In ogni caso, non c'è stato uno che i libri di Altaforte li abbia sfogliati e commentati. Solo sdegno e sberleffi. Il volume con l'intervista a Matteo Salvini è stato defenestrato, in compenso ieri il Saviano di cui sopra ha potuto concionare fino allo sfinimento, attaccando il governo a ogni sospiro (si è concentrato soprattutto sulla chiusura dei porti, definita «orrore umano e politico»). Via il ministro dell'Interno, largo allo scrittore narciso che attacca i poliziotti e si fa lo spot accanto ai taxisti del mare di Medici senza frontiere (di cui ha presentato il libro). Questa sì che è democrazia. Dato che abbiamo citato Michele Serra, viene proprio voglia di parafrasare un celebre titolo del suo Cuore, quello che recitava: «Hanno la faccia come il culo». Perdonate il tono da bar, ma la frase descrive perfettamente i piccoli censori del Salone e tutti i loro fiancheggiatori. Ad esempio Nicola Zingaretti, segretario del Pd. Allo stand della Feltrinelli di Torino, come noto, era in vendita il suo libro Piazza grande, nel quale il leader democratico fa una bella esibizione di revisionismo storico sull'Urss: «Se non ci fosse stata l'Unione sovietica [...] non sarebbero state possibili le lotte dei partiti democratici e di sinistra». Costui è lo stesso Zingaretti che ieri, su Repubblica, si permetteva di dare consigli sull'insegnamento della storia nelle scuole. «Dobbiamo rafforzare la presenza degli insegnanti», ha scritto, «e contribuire a una formazione continua e aggiornata (per molti la seconda metà del Novecento rimane un terreno sconosciuto)». Vero: infatti Zingaretti è il primo a ignorare la storia dell'Urss, dei gulag e dei massacri perpetrati in nome del socialismo reale. Lui però, non è stato estromesso dal Salone, e anzi può continuare a farsi bello sputando banalità sulla memoria e lo studio del passato. 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A quel punto, la vibrante energia del grido battagliero ha contagiato anche diversi visitatori, che si sono uniti al coro, mentre la Giannini brandiva il testo come un esorcista brandisce il crocifisso. Una scena epica, con picchi di pathos che chi ha seguito la serie Netflix, La casa di carta e ricorda il momento in cui i due protagonisti si abbracciano, sussurrandosi commossi proprio le parole di Bella ciao, avrà di sicuro colto. Ennesima giornata di passione, dunque, alla kermesse libraria del capoluogo piemontese, da cui, dopo interminabili polemiche, lo stand di Altaforte è stato escluso. La casa editrice vicina a Casapound, guidata da Francesco Polacchi, ha presentato il libro della Giannini in un hotel in pieno centro a Torino. «La polemica su Altaforte si è scatenata prima delle dichiarazioni di Francesco Polacchi», ha detto la giornalista: «Penso sia semplicemente un attacco strumentale al ministro Matteo Salvini, che si è fidato di me. Quando ho fatto la richiesta ai suoi più stretti collaboratori di poter pubblicare il libro-intervista, ho inviato una mail dicendo che l'avrei fatto con Altaforte. Il ministro non ha rilasciato un'intervista ad Altaforte, ma a Chiara Giannini. E per quanto riguarda Casapound», ha proseguito, «non mi sembra sia un partito illegale». Accalorata, l'autrice si è lasciata andare anche a un paragone un po' ardito: «Massimo rispetto per gli scampati ai campi di concentramento, è un capitolo della storia vergognoso che mi addolora moltissimo. Loro hanno subito una restrizione della loro libertà, la stessa che sto subendo io». Ma a parte questo discutibile passaggio, la Giannini su una cosa ha ragione: è ingiusto che «un piccolo gruppo di personaggi italiani» voglia imporre il proprio «punto di vista sugli altri: è veramente assurdo». Così, mentre Polacchi annunciava che molti autori della sua casa editrice sono pronti a sottoscrivere una class action contro i responsabili della censura al Salone, la legale della giornalista spiegava che chiederà un risarcimento agli organizzatori per aver danneggiato la sua cliente. Dopo la conferenza stampa, la Giannini si è recata al Lingotto, sede della rassegna libraria, per denunciare la censura subita e «per far vedere a tutti quelli che me l'hanno impedito, compreso il signor Nicola Lagioia (direttore del Salone, ndr) e la sindaca Chiara Appendino, che la cultura spacca i ponti e può entrare ovunque». La Giannini ha anche rifiutato di essere etichettata come fascista: «L'editore», che invece aveva orgogliosamente ammesso le proprie simpatie, «parla a nome personale. Io non sono fascista, non mi sono mai schierata politicamente. Per quale motivo impedirmi di presentare il libro?». Proprio nei momenti in cui la Giannini inscenava la sua protesta al Lingotto, si è consumato l'eroico atto di resistenza del libraio di Feltrinelli, che a Repubblica ha raccontato: «La signora Inge Feltrinelli è morta da un anno e non mi è sembrato proprio il caso di venire a fare propaganda davanti alla sua fotografia. È stata una provocazione. Ho intonato Bella ciao perché sono un antifascista, sono un democratico». Curioso, però, che i «democratici» tollerino solamente chi la pensa come loro e siano, al limite, disposti a pubblicare i libri di pericolosi estremisti di destra (Carl Schmitt, Ernst Jünger, Martin Heidegger e altri), purché rechino il marchio delle case editrici politicamente rispettabili. Curioso che gli antifascisti, quelli che deridono l'oscurantismo medievale e commemorano contriti i roghi di libri del regime nazista, usino con i loro avversari ideologici metodi molto simili a quelli di chi, gli oppositori, li mandava al confino. E pensare che durante il fascismo, grazie alla lungimiranza del filosofo Giovanni Gentile, non mancarono gli intellettuali ostili a Benito Mussolini che potevano godere di una certa libertà. Sulla vicenda si è espresso anche Giampaolo Rossi, consigliere d'amministrazione Rai, che in un'intervista al Primato Nazionale ha puntato il dito su una «élite intellettuale sempre più arrogante e chiusa nella sua autoreferenzialità», capace di compiere un «atto di ottusità barbarica». D'altro canto, i sinistri, che si percepiscono vittime di un un permanente assedio neofascista, vanno compresi. Questi signori sono sopravvissuti a decenni senza potere grazie al subappalto alla cultura concesso dalla Democrazia cristiana. Dopo il crollo della prima Repubblica si erano abituati pure ad averlo, il potere. Ora sono saltati tutti gli schemi. Destra e sinistra sono categorie afasiche. Loro perdono sempre più consenso e sempre più potere. E mentre si squalifica il culturame che producono, il «nemico», di cultura, ne macina parecchia. Immaginate il trauma: scalzati dalle poltrone, scalzati dalle cattedre. È logico che i figliastri di Antonio Gramsci reagiscano scompostamente, ora che si vedono sfuggire ogni ambizione egemonica. Peraltro, pur essendo noi convinti che sia opportuno evitare ogni riferimento a tragedie come quella dei lager, non possiamo non notare che l'esultanza della scrittrice Halina Birenbaum, sopravvissuta all'Olocasuto, per la cacciata di Altaforte, è stata inopportuna. Possibile che ciò che l'esperienza della persecuzione razziale le ha insegnato, sia il valore morale della censura?
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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