2022-10-13
Il centrodestra non esce dallo stallo e adesso rischia la falsa partenza
Salta il vertice di coalizione e continuano i dialoghi separati. Si lavora all’ipotesi Ignazio La Russa presidente del Senato e il leghista Riccardo Molinari a guidare la Camera. Sui ministeri invece resistono i veti incrociati.«Come presidente del Senato il nome di Roberto Calderoli mi sembra autorevole. Per Matteo Salvini ministro dell’Interno parlano chiaro i numeri, una persona che ha ridotto del 90% gli sbarchi. Piantedosi? Salvini è il punto di partenza, poi vedremo come vanno le trattative. È lui il ministro migliore che la Lega può esprimere». La sintesi dell’ennesima giornata di trattative nel centrodestra per mettere a punto la squadra di governo è di Andrea Crippa, deputato della Lega. Oggi, primo giorno della nuova legislatura, deputati e senatori devono eleggere i presidenti delle Camere, ma fino a ieri sera non c’era ancora alcuna certezza su ciò che accadrà. Eppure un accordo va trovato: partire con il piede sbagliato, per il centrodestra, sarebbe una tragedia politica. L’indicazione di massima prevede Ignazio La Russa di Fratelli d’Italia alla presidenza del Senato e Riccardo Molinari della Lega alla Camera, ma come di consueto le due poltrone si incastrano nel mosaico della formazione della squadra di governo, e qui siamo ancora in alto mare. A rendere ancora più confuso il quadro, le dichiarazioni contrastanti di due big di Fratelli d’Italia: «Un accordo c’è. non ci sono problemi», ha detto ai cronisti il senatore di Fdi Giovanbattista Fazzolari; «Accordo raggiunto sulle presidenze delle Camere? Fazzolari nega di avervelo detto, voleva dire che c’è la capacità di trovare una sintesi», ha corretto il tiro La Russa. «Entro domani (oggi, ndr) non ci sarà un accordo sui ministri, non è possibile. Ma serve un accordo sulle Camere», ha spiegato con grande chiarezza il sottosegretario uscente alla Difesa Giorgio Mulè, di Forza Italia. Salvini non accetta veti da parte di Giorgia Meloni, Silvio Berlusconi nemmeno: la leader di Fdi e il Cav ieri si sono visto per un’oretta a Villa Grande, ma i nodi non sembrano sciolti. Berlusconi ieri è tornato al Senato nove anni dopo essere stato cacciato a causa della legge Severino: una soddisfazione enorme per il Cav, che ha pubblicato su Twitter la foto del suo attesissimo ritorno: «Eccomi di nuovo al Senato», ha scritto Berlusconi, «ho appena completato le pratiche per la registrazione. Domani (oggi, ndr) sarò presente alla prima seduta di questa XIX legislatura a Palazzo Madama». Berlusconi, ringalluzzito anche dalla buona performance di Forza Italia alle elezioni, non accetta, non può accettare, il veto della Meloni su Licia Ronzulli, che la leader di Fdi non vuole al governo. Al di là di tutti i retroscena, è evidente che il destino personale della senatrice di Forza Italia non è, e non potrebbe certamente essere, l’unico scoglio sulla strada della formazione del governo: la sensazione è che si tratti di un paravento dietro il quale si nascondono altre incomprensioni tra la Meloni da una parte e Berlusconi e Salvini dall’altra. Il Cav non ci sta a farsi umiliare dalla Meloni: la Ronzulli è una sua fidatissima collaboratrice, dire di no alla sua presenza al governo è uno schiaffo all’ex premier. Ieri sera su questo argomento si sono rincorse molte indiscrezioni, tra le quali l’ipotesi che la Ronzulli rinunci all’ingresso nel governo per assumere il ruolo di capogruppo di Forza Italia al Senato. Detto ciò, la giornata di ieri ha fatto registrare un altro problema: il vertice tra la Meloni, Berlusconi e Salvini non si è svolto. La Meloni è stata a Villa Grande e ha incontrato poi, separatamente, Salvini: «Sto andando dalla fidanzata», ha risposto il leader del Carroccio, all’uscita da Montecitorio, a chi gli ha chiesto se fosse diretto verso la residenza romana di Berlusconi. «C’è ancora stasera (ieri sera, ndr), c’è tempo, non troppo ma ce n’è», ha detto da parte sua Giancarlo Giorgetti a chi gli chiedeva di commentare il mancato vertice tra i leader del centrodestra. Giorgetti sembra destinato al ministero dell’Economia: «Il partito di Salvini», hanno riferito fonti della Lega, «non vede l’ora di cominciare a occuparsi dei dossier di governo. Il segretario ha spiegato che se verrà chiesto alla Lega di occuparsi di temi fondamentali come economia, sicurezza, opere pubbliche e autonomia sappiamo come farlo e con chi farlo». Al di là di indiscrezioni, retroscena, messaggi e telefonate, il dato di fatto, l’unico che interessa agli italiani, è che oggi sapremo se e come il centrodestra avrà raggiunto un accordo sulla presidenza dei due rami del Parlamento, e quindi pure sul governo. Il totoministri di ieri segnalava in crescita le quotazioni della presidente del consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro, Marina Calderone, destinata appunto al Lavoro. Matteo Salvini non ha rinunciato del tutto al ministero dell’Interno, ma potrebbe ripiegare sull’Agricoltura. Alessandro Morelli, per la Lega, potrebbe andare alle Infrastrutture. Tornando a Fi, sembrano blindati, per le loro competenze, Antonio Tajani che è stato presidente del Parlamento europeo, vicepresidente della Commissione europea, Commissario europeo per i Trasporti e per l’Agricoltura; Maria Elisabetta Alberti Casellati, presidente uscente del Senato, già due volte sottosegretario alla Salute e alla Giustizia ed ex componente del Consiglio superiore della magistratura; e Anna Maria Bernini, capogruppo uscente a Palazzo Madama e docente di diritto pubblico comparato alla facoltà di economia della università di Bologna. Per Fdi, Carlo Nordio è sempre collocato alla Giustizia, mentre Adolfo Urso, gradito a Washington e a Bruxelles, è in pole per la Difesa. Ai rapporti con l’Europa andrà Raffaele Fitto.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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