2022-05-31
«C’è l’intesa, anzi no». L’Europa in panne sullo stop (farlocco) al petrolio russo
Anche la Ursula von der Leyen spegne l’ottimismo di Parigi: manca l’ok all’embargo marittimo. Misure forse rinviate alla fine di giugno.Consueto psicodramma a Bruxelles, alla riunione del Consiglio iniziata ieri e destinata a concludersi oggi: gran sventolio di bandiere Ue e toni sempre enfatici, ma nebbia fittissima sulle decisioni effettivamente da prendere, sulle quali permangono faglie tutt’altro che minori. E non è da escludere una soluzione furbesca: oggi l’annuncio di un sì di principio (vedremo su cosa), ma poi un sostanziale rinvio alla prossima riunione del 23-24 giugno. Intanto, all’apertura del Consiglio europeo, il primo modo di mettere le mani avanti è stato quello di abbassare clamorosamente l’asticella delle aspettative. Poiché già è un mese che va avanti il balletto sul sesto pacchetto di sanzioni da adottare, la strategia è stata quella - prim’ancora di iniziare il nuovo giro di discussioni - di circoscriverne ancora la portata: di limitarla solo al petrolio russo in generale, e in particolare soltanto al petrolio che giunge via mare (non quello che arriva tramite oleodotti). Non solo: il tutto con una tempistica ultrarallentata, da qui a fine 2022. Con (come foglia di fico) un impegno ad affrontare la questione delle restanti forniture «il più presto possibile». Insomma, al di là di ogni valutazione di merito, l’intenzione è parsa quella di dare almeno la sensazione di essere pronti a decidere qualcosa. E invece? E invece, perfino all’interno di un perimetro così ridimensionato, i protagonisti sono riusciti a dire tutto e il contrario di tutto. Un Emmanuel Macron assertivo e desideroso di accreditarsi un giorno come mediatore e il giorno dopo come leader fedele ai principi si è presentato al pre vertice del suo partito, Renew Europe, quasi cantando vittoria: «Stiamo andando verso un accordo sul sesto pacchetto di sanzioni». Peccato che, nella stessa sede, la premier estone Kaja Kallas lo abbia clamorosamente smentito: «Non credo che ci sarà alcun accordo oggi (ieri per chi legge, ndr), ma è realistico avvenga al prossimo vertice in programma a giugno». Molto prudente pure Ursula von der Leyen: «Sul sesto pacchetto di sanzioni abbiamo lavorato duramente, si sono fatti passi avanti ma non siamo ancora alla meta: ho aspettative basse su un accordo nelle prossime 48 ore. È importante mantenere la solidarietà e l’unità dell’Ue». Ma il colpo più duro alle aspettative degli ottimisti su un accordo rapido (sia pure al ribasso, come abbiamo visto) è prevedibilmente venuto da Viktor Orbán, che ha esordito stroncando le indiscrezioni positive: «La situazione è difficile, l’accordo sulle sanzioni non c’è. Se ci troviamo in questa situazione è colpa della Commissione europea, che ha presentato il sesto pacchetto di sanzioni senza prima avere l’accordo degli Stati membri, un modo di fare irresponsabile». Poi, di fatto preannunciando un supplemento non scontato di trattative, ha aggiunto: «Siamo pronti a sostenere il sesto pacchetto di sanzioni se ci saranno soluzioni per l’Ungheria». Quanto all’eccezione temporanea del petrolio via oleodotto, Orbán ha precisato che «è una buona soluzione, ma dobbiamo avere garanzie di poter avere il petrolio russo in altro modo se ci dovesse essere un incidente al condotto». In conclusione, il premier ungherese ha ovviamente liquidato l’accusa di lavorare per Vladimir Putin o addirittura di esserne un burattino: «Solo fake news».Tornando ai contenuti delle bozze, fonti di Bruxelles fanno sapere che, colpendo il greggio in arrivo via mare, le sanzioni coprirebbero i due terzi del petrolio che arriva dalla Russia. Sempre ferma restando - però - la necessità di prevedere «eccezioni» per alcuni Stati membri, con particolare riferimento al greggio che arriva tramite oleodotto. Nel caso in cui entro oggi i leader arrivino a un’intesa minima, in settimana il Coreper (cioè il Comitato dei rappresentanti permanenti) dovrebbe provvedere a limare i relativi testi. Sul versante dei pro accordo, ecco il presidente del Consiglio europeo, il belga Charles Michel: «Vogliamo sostenere l’Ucraina. Il sesto pacchetto di sanzioni è sul tavolo da molte settimane. È importante decidere, il momento è adesso e sono fiducioso che saremo in grado di farlo assieme, esprimendo una posizione unitaria sul tema». Nelle ore precedenti, altro ottimismo era stato sparso a piene mani dall’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Josep Borrell: «Raggiungeremo un accordo sul prossimo pacchetto di sanzioni entro lunedì pomeriggio», aveva detto alla radio France info. Quanto all’Italia, si segnala da 36 ore un attivismo mediatico di fonti governative per accreditare un’apertura europea sul tema - posto da Roma - del tetto al prezzo del gas. Mario Draghi ha commentato così le difficoltà dell’Ue sull’embargo all’oro nero: «Dobbbiamo mantenere unità sulle sanzioni. L’Italia è d’accordo sul pacchetto, purché non ci siano squilibri tra gli Stati membri». Volodymyr Zelenky, invece, accusa: dal quinto pacchetto di sanzioni sono stati uccisi 74 bimbi. Ora è facile prevedere che molte analisi (e colpevolizzazioni, a torto o a ragione) si concentreranno su Orbán e sul meccanismo dell’unanimità. Ma, con un po’ di onestà intellettuale, si tratta di spiegazioni insufficienti, davanti a una vicenda (quella del sesto pacchetto) che si trascina da settimane e non riesce a trovare un punto di caduta nemmeno su un accordo assolutamente al ribasso. Pesa la scarsa autorevolezza di troppi protagonisti, e pesano errori antichi, che hanno portato Paesi importanti - dalla Germania all’Italia - a una sempre più netta dipendenza dall’energia russa. E proprio chi oggi più strilla politicamente (il segretario del Pd Enrico Letta) è forse il leader che, nella sua stagione da primo ministro, ha maggiormente fatto crescere la subordinazione del nostro paese dal gas di Mosca.
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