2025-03-13
        Caso Ramy, la perizia dà ragione all’Arma: niente speronamento, carabinieri corretti
    
 
La consulenza della procura di Milano: «Nessun urto alla fine dell’inseguimento». La morte dell’egiziano è colpa dell’amico.«La colpa non fu dei carabinieri ma di chi guidava lo scooter». Per la perizia cinematica disposta dalla procura di Milano, a causare la caduta che provocò la morte di Ramy Elgaml non fu l’aggressività dei militari che inseguivano. Anzi, per i consulenti dei pm esperti in quel ramo della fisica che si occupa del moto dei corpi, la pattuglia tenne un comportamento corretto e non tentò mai di speronare la moto in fuga verso la periferia. Nessuna scena da Copkiller nella notte da incubo del 24 novembre scorso. Nessuna sindrome John Wayne negli 8 chilometri di inseguimento, come fece credere la narrazione tossica di numerosi media nei giorni successivi la tragedia che costò la vita a un ragazzo di 19 anni di origine egiziana. Ci sono voluti quasi 4 mesi per ristabilire una certa obiettività dei fatti, nell’immediato stravolti dal consueto, insopprimibile tentativo a sinistra di criminalizzare le forze dell’ordine. Per uno squallido riflesso pavloviano e per giustificare la rivolta degli immigrati che misero a ferro e fuoco il quartiere Corvetto. Ricordiamo tutti i processi televisivi, i video-denuncia che non denunciavano, le sgangherate ricostruzioni «minuto per minuto», i cortei violenti nelle piazze incendiate, la sfilata conformista dei soliti noti che puntavano il dito accusatore verso le divise anche quando i vigili urbani cominciavano a negare le presunte responsabilità dell’Arma.Ora la perizia di 164 pagine depositata e firmata dall’ingegner Domenico Romaniello fa ulteriore chiarezza sulla dinamica dell’accaduto. E sottolinea: «Per quanto attiene al vice brigadiere conducente dell’autovettura di servizio Alfa Romeo Giulietta, la disamina di tutti i video e l’attenta analisi hanno confermato che questi, aderendo al dovere d’ufficio, ha proceduto nell’inseguimento dei due fuggitivi attenendosi alle procedure previste nei casi di inseguimenti di veicoli». Ma a un certo punto «si è trovato nell’impossibilità di poter attuare un’azione difensiva efficace in relazione alla manovra improvvisa ed imprevedibile attuata dal conducente del motoveicolo, di taglio della propria traiettoria». Il conducente ha frenato quando doveva frenare, ha tenuto «un comportamento conforme alle procedure», ma non ha potuto evitare l’urto fra gazzella Alfa Romeo e scooter T-Max Yamaha, determinato dallo scarto improvviso di quest’ultimo, guidato da Fares Bouzidi, di origine tunisina. In ogni caso l’impatto è avvenuto prima della caduta e non all’angolo fra via Ripamonti e via Quaranta, dove Ramy Elgaml è stato sbalzato dal sellino. Secondo i consulenti la perdita del controllo dello scooter non fu determinata dal comportamento del carabiniere ma dall’ultima manovra spericolata di chi era scappato ai posti di blocco: la moto avrebbe perso definitivamente aderenza tentando una svolta repentina. E Ramy è morto perché è finito contro il palo di un semaforo. Nel documento viene anche specificato per chi se lo fosse dimenticato «che quello non fu un normale indicente stradale ma un’operazione di pubblica sicurezza. E comunque, dall’analisi dei video agli atti e della dash cam dell’auto dei carabinieri, secondo i periti «non emerge mai l’intenzione di speronare il veicolo in fuga o di farlo cadere». Riguardo alle responsabilità di Bouzidi (a tutt’oggi indagato per omicidio stradale come il vice brigadiere), la perizia ha pochi dubbi. «È possibile sostenere che le cause del grave sinistro mortale vadano ascritte al comportamento del conducente del motoveicolo Yamaha per la sua condotta sconsiderata e pericolosa». Fares Bouzidi ha violato più norme del codice della strada. «Opponendosi all’alt dei carabinieri, dava avvio ad un inseguimento anomalo e tesissimo, ad elevatissima velocità lungo la viabilità urbana cittadina, con una guida spregiudicata ed estremamente pericolosa», scrivono i consulenti. Scene da Far West metropolitano. «Sprezzante del pericolo, si è assunto il rischio delle conseguenze per sé e per il trasportato». Mentre la difesa di Bouzidi proverà a confutare la consulenza con i propri esperti, la memoria torna alla campagna di fango contro l’Arma e alla strumentalizzazione della vicenda in chiave politica. La carrellata dei giudici del giorno dopo è da pelle d’oca. Giuseppe Sala (sindaco di Milano): «I carabinieri hanno sbagliato, hanno fatto un inseguimento notturno di 20 minuti, le loro parole sono inaccettabili» (l’audio di bordo riportava alla centrale: «Sono caduti». Risposta: «Bene» - ndr). Franco Gabrielli, ex capo della polizia e allora consulente di Sala per la Sicurezza: «Quello non è il modo di condurre un inseguimento, esiste il principio della proporzionalità». Prima di essere contestata alla fiaccolata per Ramy, Carmela Rozza (Pd) vergò la sua verità: «Rispetto per questi ragazzi, la loro versione si sta rivelando veritiera. A fine inchiesta l’Arma prenda provvedimenti sui militari coinvolti». Ma il record dell’immaginazione è di Pino Roccisano (Avs milanese): «No alla paura e alla repressione. La morte di Ramy ricorda le pagine buie della cronaca statunitense». Nelle settimane successive i centri sociali e i collettivi studenteschi tentarono davvero di trasformare Ramy Elgaml nel George Floyd italiano. Per fortuna senza riuscirci.
        Beatrice Venezi (Imagoeconomica)