Il libro «La proprietà e i suoi nemici», di cui pubblichiamo alcuni estratti, punta il faro sulla deriva che porta Stati e organismi come l’Ue a usare l’emergenza continua, dal Covid al clima, come un’arma per accrescere il proprio potere e sottomettere i cittadini.
Il libro «La proprietà e i suoi nemici», di cui pubblichiamo alcuni estratti, punta il faro sulla deriva che porta Stati e organismi come l’Ue a usare l’emergenza continua, dal Covid al clima, come un’arma per accrescere il proprio potere e sottomettere i cittadini.La direttiva detta «case green» è soltanto l’ultimo frutto avvelenato di un’idea pervertita di Unione europea e, oltre a ciò, dello stesso declino del diritto. Sorta per favorire la convivenza nel Vecchio continente superando le barriere che separavano gli Stati nazionali, oggi l’Unione tende a presentarsi come uno Stato in costruzione (il progetto degli «Stati Uniti d’Europa»), che cerca sempre più di dotarsi di tutti quegli elementi che contraddistinguono una realtà sovrana. [...]Nello specifico, la direttiva (sulle case green, ndr) si proporrebbe di aiutare l’umanità di fronte ai danni che potrebbero derivare a tutti da un aumento della temperatura. [...] La tesi propagandata dai politici e da quanti danno un contributo alla loro causa è che un riscaldamento globale di un grado sarebbe non soltanto accompagnato da molti più guasti che vantaggi [...], ma sarebbe tutto da imputare all’azione umana. L’obiettivo della green transition si basa su questa tesi: le attività umane producono anidride carbonica e quest’ultima è la causa dell’aumento della temperatura.Su tale punto, ancor più che su quelli precedenti, è facilmente percepibile come l’ideologia sia nemica del pluralismo culturale e quindi della ricerca scientifica.Nel corso degli anni, in effetti, sono stati numerosi gli studi condotti da scienziati di prestigio che hanno portato il loro contributo al dibattito in materia. Sappiamo con certezza, inoltre, che il clima sulla terra è sempre cambiato: talvolta riscaldandosi e in altri momenti raffreddandosi. In quei casi, ovviamente, non vi era alcuna origine antropica: non erano le attività umane a generare tutto ciò, ma le costanti trasformazioni che la stella al centro del nostro sistema, il sole, conosce di continuo.La cosa interessante è che, a dispetto delle intimidazioni provenienti dai difensori dell’ideologia verde [...] il dibattito in materia rimane aperto. Eppure la grancassa politico-mediatica ha ormai imposto - fuori dall’ambito degli specialisti - l’idea che mettere in discussione la tesi secondo cui il global warming avrebbe al 100% un’origine riconducibile alle emissioni umane di CO2 equivarrebbe a essere nemici della scienza. [...]La natura dogmatica di tutta questa impostazione emerge con chiarezza, infine, quando ci si chiede cosa si possa fare. [...] Se sapessimo con ragionevole certezza che la terra sta surriscaldandosi, che le conseguenze di tutto questo sono negative e che la causa è da addebitare agli esseri umani, nulla ci dice che la soluzione debba venire dal blocco delle nostre attività che emettono CO2. Tutto dipende dai costi di una scelta simile e dalle alternative disponibili.Immaginiamo che si sappia che il costo per l’umanità di questa cosiddetta transizione verde (che obbligherà a buttar via tante produzioni e tecnologie) sia 100 e che la scelta di non operare questo stop generalizzato ma di agire per correggere le conseguenze del global warming sia 50, per quale motivo si dovrebbe imboccare la prima strada? [...]In fondo, però, il global warming non fa altro che riproporre situazioni che abbiamo già conosciuto. Sull’argomento, le competenze dei filosofi, dei giuristi e degli scienziati sociali sono molto più importanti di quelle dei climatologi, dato che qui si tratta di riconoscere come questa fase estrema della modernità abbia visto il radicalizzarsi di questioni ben note.Fin dai suoi primi passi, in effetti, lo Stato moderno ha imposto una concezione monista del potere sovrano che ha soppiantato la complessità plurale dell’ordine giuridico del Medioevo. Gli effetti di tale cambiamento radicale sono ancora sotto i nostri occhi.Un dato caratteristico della società contemporanea è proprio da riconoscere nella riduzione del diritto a semplici decisioni del governante di turno. Ormai ci siamo un po’ tutti abituati a pensare che le regole della convivenza siano comandi provenienti da chi è stato designato a ciò dal processo politico che seleziona i governanti e i legislatori. A sinistra la copertina del libro «La proprietà e i suoi nemici». A destra Carlo LottieriLe radici di questo statalismo sono profonde. Nell’età moderna, nell’Europa continentale s’è assistito a un fenomeno inedito: alla quasi completa conquista del diritto da parte della classe politica. Se in età medievale il diritto aveva una vita propria e godeva di una larga autonomia, a un certo punto i principi hanno iniziato a considerarlo «cosa loro». [...]La modernità ha visto l’assorbimento del diritto da parte della politica e, di conseguenza, il trionfo della legge. Ne è derivato che a un certo punto ci siamo convinti che non ci diamo regole per tutelare i nostri diritti, ma che al contrario abbiamo diritti perché qualcuno ha calato dall’alto talune ben precise leggi. [...]Negli ultimi vent’anni, per giunta, quella visione arbitraria e illiberale del diritto ha elaborato una sua versione ancor più radicale. A partire dall’attacco alle Torri Gemelle, i regimi democratici di matrice europea hanno dovuto fare i conti con ripetute situazioni emergenziali legate prima al terrorismo internazionale di matrice islamista, poi alla crisi finanziaria dei subprime, quindi alla pandemia, e in seguito alla guerra russoucraina, alle difficoltà di approvvigionamento energetico, alla grande questione (appunto) del global warming.Di fronte a queste situazioni nuove, le classi politiche si sono sentite legittimate a sospendere molti diritti in precedenza considerati inviolabili: si pensi all’introduzione, negli Usa, del cosiddetto «Patriot act». Poiché l’ordinamento non è quasi nulla più che l’architettura delle regole che il ceto governante delinea, siamo entrati in una fase di costante stato di necessità nel quale la nozione stessa di «regola» è venuta meno. Se ogni giorno non so quale comportamento sia lecito e quale non lo sia, come è accaduto in larga parte d’Europa durante i mesi più duri della pandemia, questo significa che non c’è più alcuna «norma» né «normalità». Il governo degli uomini ha definitivamente soppiantato il governo delle regole.La tesi prevalente è che questa ricorrente sospensione del diritto sia necessaria. La lezione di Carl Schmitt e di altri, però, è lì a sottolineare che gli stati di eccezione sono in larga misura una costruzione artificiale, condizionata dagli interessi in gioco. Se prendiamo il caso della crisi finanziaria del 2007-2008, ad esempio, molti hanno ben spiegato come essa sia stata il risultato anche e soprattutto di politiche monetarie, e quindi del venir meno delle regole fondamentali che caratterizzano l’economia libera [...]. Dinanzi a quelle difficoltà, allora, il moltiplicarsi di decisioni governative non era affatto necessario né opportuno.È la politica che dapprima ha minato la stabilità del sistema economico e poi ha saputo sfruttare la crisi che essa stessa ha generato, moltiplicando la propria capacità d’intervento. In questa situazione sembra allora difficile che le società di tradizione europea tornino a scoprire la vera natura del diritto, che dovrebbe appartenere alla società e non alla classe politica. Per questa stessa ragione appare difficile immaginare che si possa uscire da questo profluvio di ordini, i quali rendono tanto instabile l’ordinamento. Entro questo quadro non sappiamo con quali norme ci troveremo a operare tra qualche anno (basti pensare alle direttive europee in tema di vetture e abitazioni), con il risultato che ogni progetto imprenditoriale appare difficile.Alla base di tutto questo, allora, c’è l’antica, antichissima questione del potere. Perché non c’è dubbio che il potere esiste e una delle sue manifestazioni più caratteristiche consiste proprio nella capacità da parte di alcuni (dominatori) di estrarre le risorse di altri (dominati).Larga parte della cultura contemporanea va letta come un apparato «ideologico» - stavolta in senso marxiano (idee che sono lì a giustificare e legittimare l’arbitrio) - che è espressamente al servizio dei potenti. Quando Liam Murphy e Thomas Nagel affermano che non esiste alcuna illegittimità della tassazione dal momento che la proprietà è un «mito», essi sono infatti funzionali all’azione di chi opprime il prossimo con la fiscalità, con gli espropri e con la regolazione. In un loro libro di vent’anni fa (The Myth of Ownership: Taxes and Justice) questi due autori statunitensi avevano sposato una prospettiva radicalmente legalista, secondo la quale la proprietà è un costrutto del tutto artificiale e che ha la sua sola origine nell’ordinamento. Siamo proprietari, insomma, grazie a qualche articolo del Codice. Al tempo stesso, è parte dell’ordinamento anche il diritto tributario e, di conseguenza, è l’ordinamento nella sua sovrana solitudine a stabilire chi deve avere e chi non deve avere. Con la tassazione, i titoli prima affidati a qualche privato vengono trasferiti a qualche politico e pubblico funzionario: a questo punto i sovrani dispongono di un’illimitata capacità di estrazione delle risorse, che questa ideologia legalista rende quasi del tutto «innocente».Se non si comprende come la direttiva compaia in un Occidente dominato da questa cultura politica del tutto servile nei riguardi del potere sovrano e degli intrecci tra politica, cultura ed economia, si capisce ben poco di quanto sta avvenendo.La direttiva, quindi, colpisce le case, perché l’istituto della proprietà era già stato ampiamente svuotato, e con esso anche quel baluardo a tutela della libertà che ha rappresentato per secoli.Carlo Lottieri, docente di filosofia all’università di Verona
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Polizia di fronte al Louvre (Ansa)
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