- Prima di votare l’ok alle iniezioni sotto i 5 anni, i regolatori Usa hanno consultato uno studio per cui il Covid è tra le principali cause dei decessi infantili. Solo che i dati erano stati raccolti male, conteggiavano due volte il Sars-Cov-2 e includevano pure i maggiorenni.
- Trovata la Spike nei tessuti cardiaci degli inoculati con la miocardite. La presenza della proteina è spia di una reazione autoimmune al farmaco a Rna.
Prima di votare l’ok alle iniezioni sotto i 5 anni, i regolatori Usa hanno consultato uno studio per cui il Covid è tra le principali cause dei decessi infantili. Solo che i dati erano stati raccolti male, conteggiavano due volte il Sars-Cov-2 e includevano pure i maggiorenni.Trovata la Spike nei tessuti cardiaci degli inoculati con la miocardite. La presenza della proteina è spia di una reazione autoimmune al farmaco a Rna.Lo speciale comprende due articoli. Quando si dice fare carte false. Il 17 giugno scorso, gli esperti di vaccinazione degli statunitensi Centers for disease control and prevention (Cdc) si sono riuniti per discutere dell’opportunità di autorizzare le punturine anti Covid nei minori di 5 anni. Peccato che l’intero dibattito si sia svolto in base alle indicazioni che provenivano da uno studio, ancora in fase di revisione, pieno di falle. E peccato pure che questa stessa ricerca, condotta da autori britannici su dati americani, sia poi finita sul tavolo della Food and drug administration, che una settimana fa ha dato l’ok definitivo alle iniezioni dai 6 mesi in su. Il pre print, firmato da undici scienziati, stimava che il Covid fosse «una delle principali cause di morte nei bambini e nei giovani da 0 a 19 anni» negli Stati Uniti. Solo c i luminari hanno fatto parecchia confusione con le cifre. Per usare l’espressione con la quale l’Istituto superiore di sanità italiano ha smentito i suoi stessi bollettini periodici, l’analisi aveva dei «limiti intrinseci» ed era condizionata da «fattori di confondimento». Primo problema. L’articolo precisava: «Consideriamo il Covid-19 solo come causa di morte principale (e non come quella che ha contribuito al decesso)». I dati desunti dal National center for health statistics, però, includevano anche le circostanze in cui il coronavirus è stato semplicemente menzionato nei certificati relativi ai pazienti defunti, come si poteva evincere confrontando i numeri del Nchs con quelli del database Wonder, in capo ai Cdc americani. In sostanza, il pre print ha conteggiato sia i ragazzini morti per il Covid sia quelli morti con il Covid. Un vecchio magheggio che ovunque ha determinato uno spropositato rigonfiamento delle statistiche.Secondo problema, più tecnico ma altrettanto rilevante. Il ranking delle cause di morte nei giovani ha combinato le cifre cumulative, riferite a un periodo di 26 mesi, con i decessi per singolo anno. Risultato: il Covid ha finito per essere classificato due volte. E infatti, nella lista discussa dai cervelloni dei Cdc, il Sars-Cov-2 figura sia come quarta, sia come sesta causa di morte. Ma, a meno che non sia cambiato qualcosa di recente, al creatore ci si va una volta sola.Già diversi giorni fa un sito di fact checking, Covid-19 in Georgia, s’era preso la briga di rifare i calcoli attingendo al database Wonder, distinguendo i morti con Covid da quelli per Covid e focalizzandosi sui casi annuali, piuttosto che sulle cifre cumulative. È venuto fuori che, al di sotto di un anno d’età, mentre la classifica in mano ai Cdc identificava il Covid come quarta causa di morte, il virus cinese era in realtà la nona. Da 1 a 14 anni, anziché essere la quinta causa (o la quarta, nel range 10-14), era l’ottava. E da 15 a 19 anni, lungi dall’essere la quarta, era la sesta. Peraltro, l’idea di stilare la classifica dei biechi mietitori non risponde esattamente a rigorosi criteri scientifici. Basti pensare che, tra 1 e 4 anni, gli incidenti provocano 25 volte più decessi del Sars-Cov-2 su base annua. Persino scomponendo quella categoria piuttosto generica e concentrandosi su annegamenti, sinistri stradali e overdose di droghe, la malattia di Wuhan rimane una minaccia molto meno seria per la vita di bambini e adolescenti. Quindi, di per sé, affermare che il Covid sia la quarta - ovvero, la nona - causa di morte in una certa fascia d’età non significa granché. Di sicuro, non supporta la conclusione del team di studiosi britannici, secondo i quali «le nostre scoperte evidenziano l’importanza di continue campagne di vaccinazione nei bambini e nei giovani». E la toppa che hanno provato a mettere gli autori, sommersi da una valanga di critiche dopo che il loro lavoro aveva acquisito una certa notorietà, è forse peggiore del buco. Uno di loro, Seth Flaxman, su Twitter aveva promesso un immediato aggiornamento del paper, dal quale, comunque, sarebbe emerso che «il Covid è una delle prime dieci cause di morte nei bambini di tutte le età e la prima causa di morte per infezioni o malattie respiratorie». Di nuovo: siamo sicuri che tale conclusioni giustifichino il proposito di inseguire i neonati con l’ago? Notiamo, anzitutto, che il coronavirus, dalla top 5 o 6, è scivolato alla top 10. Se militasse in serie A, sarebbe precipitato dalla zona Champions all’esclusione dalle coppe europee. Che poi il Covid rimanga la prima causa di decesso per malattie respiratorie pare un’ovvietà, visto che il patogeno può provocare polmonite e, generalmente, la polmonite tende a essere più grave di una rinite.Rileviamo che gli esperti di Cdc e Fda non solo non si sono resi conto che stavano maneggiando una ricerca seriamente deficitaria, ma hanno pensato di utilizzarla per promuovere l’iniezione nei minori di 5 anni, benché essa avesse incluso, nella propria coorte, anche i maggiorenni. Sarebbero questi i competenti di cui ci dobbiamo fidare? Le cui valutazioni vengono seguite a ruota dall’Agenzia europea del farmaco? Ed è possibile che ancora non ci decidiamo a lasciare in pace i piccoli, sebbene Omicron buchi allegramente i vaccini che proviamo a rifilare loro e che espongono specie gli adolescenti a seri effetti collaterali cardiaci? Intervistato dalla Stampa ieri, Guido Forni, dell’Accademia dei Lincei, ha avuto il coraggio di rispondere così a una domanda sul flop della campagna d’inoculazioni sui bimbi: «Quanti nonni sono stati contagiati dai nipoti. I bambini sono diffusori efficaci e vanno protetti per loro e per gli altri». Ma quand’è che la scienza si è trasformata nell’arte di manipolare le coscienze e negare l’evidenza?<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/carte-false-per-rifilare-il-vaccino-ai-neonati-2657577241.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="trovata-la-spike-nei-tessuti-cardiaci-degli-inoculati-con-la-miocardite" data-post-id="2657577241" data-published-at="1656447121" data-use-pagination="False"> Trovata la Spike nei tessuti cardiaci degli inoculati con la miocardite Dopo una biopsia endomiocardica (Bem), indispensabile per formulare una corretta diagnosi di miocardite e segni di scompenso cardiaco acuto, in 14 su 15 pazienti vaccinati è stata riscontrata un’infiammazione miocardica. Lo segnala uno studio tedesco, di ricercatori di diversi dipartimenti di cardiologia di Berlino, Magonza, Düsseldorf e di altri centri universitari, appena pubblicato su Multidisciplinary digital publishing institut (Mdpi), editore di riviste scientifiche ad accesso aperto. La conclusione è che la presenza della proteina Spike all’interno del cuore rappresenterebbe una risposta autoimmunologica alla vaccinazione. Una relazione causale definitiva con il vaccino non è stata stabilita, ma «i dati suggeriscono una connessione temporale» con l’insorgenza dell’infiammazione miocardica. I pazienti, di età dai 18 ai 68 anni, undici vaccinati con Pfizer, due con Astrazeneca e due con J&J, hanno tutti rivelato un esordio improvviso di grave insufficienza ventricolare sinistra e la maggior parte presentava sintomi aggiuntivi come dispnea, dolore toracico, frequenza respiratoria ridotta e ridotta capacità di esercizi, che comparivano in media dopo 7 o 14 giorni dalla vaccinazione. Cinque pazienti hanno mostrato gravi complicazioni, tra cui scompenso cardiaco e choc cardiogeno, due hanno dovuto essere rianimati prima del ricovero in terapia intensiva. Ciascun paziente era stato sottoposto a test di laboratorio, ecocardiografia ed elettrocardiogramma, sei a un’ulteriore risonanza magnetica cardiaca, infine tutti a biopsia. Sono ancora «limitati» i casi di miocardite post vaccino, accertati dopo aver prelevato e analizzato un frammento di muscolo cardiaco, fanno sapere i ricercatori. La conclusione è che come causa delle miocarditi sono escluse le infezioni virali, Covid incluso, quindi gli studiosi ipotizzano che «i meccanismi autoimmunologici potrebbero essere una spiegazione». L’elemento più di spicco è che in 9 pazienti su 15 la proteina Spike è stata trovata in cellule del tessuto muscolare cardiaco, i cardiomiociti, quindi arriva al cuore dove può innescare una risposta infiammatoria. «La miocardite è un effetto collaterale allarmante, che deve essere monitorato attentamente», sottolineano gli autori dello studio, unendosi alle segnalazioni che si stanno moltiplicando da inizio 2021. Un altro studio tedesco è stato da poco pubblicato sulla piattaforma Preprints. Michael Mörz, dell’Istituto di patologia della clinica Dresden-Friedrichstadt, riporta i risultati dell’autopsia condotta su un uomo di 77 anni morto nel gennaio di quest’anno, tre settimane dopo la sua terza vaccinazione anti Covid con Pfizer. Soffriva di una forma grave di Parkinson, era stato ricoverato al pronto soccorso con polmonite da aspirazione, che si verifica quando materiale estraneo penetra nei polmoni, di solito cibo quando si mangia e si beve. I parenti avevano chiesto l’autopsia ed è emersa vasculite nel cervello, nel cuore e nell’aorta, principalmente con il coinvolgimento dei linfociti, che indicano una causa immunologica. La proteina Spike è stata rilevata nei tessuti danneggiati (sia nel cervello, sia nei tessuti con infiammazione vascolare), ma non il nucleocapside, il che secondo lo studio è la prova che la Spike proveniva dalla vaccinazione Covid e non da un’infezione naturale. Un’ulteriore conferma che servono studi preclinici sistematici appropriati per valutare l’effetto indesiderato della vaccinazione basata su Rna messaggero.
Elly Schlein (Ansa)
Avete presente Massimo D’Alema quando confessò di voler vedere Silvio Berlusconi chiedere l’elemosina in via del Corso? Non era solo desiderare che fosse ridotto sul lastrico un avversario politico, ma c’era anche l’avversione nei confronti di chi aveva fatto i soldi.
Beh, in un trentennio sono cambia ti i protagonisti, ma la sinistra non è cambiata e continua a odiare la ricchezza che non sia la propria. Così adesso, sepolto il Cavaliere, se la prende con il ceto medio, i nuovi ricchi, a cui sogna di togliere gli sgravi decisi dal governo Meloni. Da anni si parla dell’appiattimento reddituale di quella che un tempo era la classe intermedia, ma è bastato che l’esecutivo parlasse di concedere aiuti a chi guadagna 50.000 euro lordi l’anno perché dal Pd alla Cgil alzassero le barricate. E dire che poche settimane fa la pubblicazione di un’analisi delle denunce dei redditi aveva portato a conclusioni a dir poco sor prendenti. Dei 42,6 milioni di dichiaranti, 31 milioni si fanno carico del 23,13 dell’Irpef, mentre gli altri 11,6 milioni pagano il resto, ovvero il 76,87 per cento.
In sintesi, il 43 per cento degli italiani non paga l’imposta, mentre chi guadagna più di 60.000 euro lordi l’anno paga per due. Di fronte a questi numeri qualsiasi persona di buon senso capirebbe che è necessario alleggerire la pressione fiscale sul ceto medio, evitando di tartassarlo. Qualsiasi, ma non i vertici della sinistra. Pd, Avs e Cgil dunque si agitano compatti contro gli sgravi previsti dal la finanziaria, sostenendo che il taglio dell’Irpef è un regalo ai più ricchi. Premesso che per i redditi alti, cioè quello 0,2 per cento che in Italia dichiara più di 200.000 euro lordi l’anno, non ci sarà alcun vantaggio, gli altri, quelli che non sono in bolletta e guadagnano più di 2.000 euro netti al mese, pare davvero difficile considerarli ricchi. Certo, non so no ridotti alla canna del gas, ma nelle città (e quasi sempre le persone con maggiori entrate vivono nei capoluoghi) si fa fatica ad arrivare a fine mese con uno stipendio che per metà e forse più se ne va per l’affitto. Negli ultimi anni le finanziarie del governo Meloni hanno favorito le fasce di reddito basse e medie. Ora è la volta di chi guadagna un po’di più, ma non molto di più, e che ha visto in questi anni il proprio potere d’acquisto eroso dall’inflazione. Ma a sinistra non se la prendono solo con i redditi oltre i 50.000 euro. Vogliono anche colpire il patrimonio e così rispolverano una tassa che punisca le grandi ricchezze e le proprietà immobiliari. Premesso che le due cose non vanno di pari passo: si può anche possedere un appartamento del valore di un paio di milioni ma, avendolo ereditato dai geni tori, non avere i soldi per ristrutturarlo e dunque nemmeno per pagare ogni anno una tassa.
Dunque, possedere un alloggio in centro, dove si vive, non sempre è indice di patrimonio da ricchi. E poi chi ha una seconda casa paga già u n’imposta sul valore immobiliare detenuto ed è l’I mu, che nel 2024 ha consentito allo Stato di incassare l’astronomica cifra di 17 miliardi di euro, il livello più alto raggiunto negli ultimi cinque anni. Milionari e miliardari, quelli veri e non immaginati dai compagni, certo non hanno il problema di pagare una tassa sui palazzi che possiedono, ma non hanno neppure alcuna difficoltà a ingaggiare i migliori fiscali sti per sottrarsi alle pretese del fisco e, nel caso in cui neppure i professionisti sia no in grado di metterli al riparo dall’Agenzia delle entrate, possono sempre traslocare, spostando i propri soldi altrove. Come è noto, la finanza non ha confini e l’apertura dei mercati consente di portare le proprie attività dove è più conveniente. Quando proprio il Pd, all’e poca guidato da Matteo Renzi, decise di introdurre una flat tax per i Paperoni stranieri, migliaia di nababbi presero la residenza da noi. E se domani l’imposta venisse abolita probabilmente andrebbero altrove, seguiti quasi certamente dai ricconi italiani. Del resto, la Svizzera è vicina e, come insegna Carlo De Benedetti, è sempre pronta ad accogliere chi emigra con le tasche piene di soldi. Inoltre uno studio ha recentemente documentato che l’introduzione negli Usa di una patrimoniale per ogni dollaro incassato farebbe calare il Pil di 1 euro e 20 centesimi, con una perdita secca del 20 per cento. Risultato, la nuova lotta di classe di Elly Schlein e compagni rischia di colpire solo il ceto medio, cancellando gli sgravi fiscali e inasprendo le imposte patrimoniali. Quando Mario Monti, con al fianco la professoressa dalla lacrima facile, fece i compiti a casa per conto di Sarkozy e Merkel , l’Italia entrò in de pressione, ma oggi una patrimoniale potrebbe essere il colpo di grazia.
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Il toro iconico di Wall Street a New York (iStock)
Democratici spaccati sul via libera alla ripresa delle attività Usa. E i mercati ringraziano. In evidenza Piazza Affari: + 2,28%.
Il più lungo shutdown della storia americana - oltre 40 giorni - si sta avviando a conclusione. O almeno così sembra. Domenica sera, il Senato statunitense ha approvato, con 60 voti a favore e 40 contrari, una mozione procedurale volta a spianare la strada a un accordo di compromesso che, se confermato, dovrebbe prorogare il finanziamento delle agenzie governative fino al 30 gennaio. A schierarsi con i repubblicani sono stati sette senatori dem e un indipendente affiliato all’Asinello. In base all’intesa, verranno riattivati vari programmi sociali (tra cui l’assistenza alimentare per le persone a basso reddito), saranno bloccati i licenziamenti del personale federale e saranno garantiti gli arretrati ai dipendenti che erano stati lasciati a casa a causa del congelamento delle agenzie governative. Resta tuttavia sul tavolo il nodo dei sussidi previsti ai sensi dell’Obamacare. L’accordo prevede infatti che se ne discuterà a dicembre, ma non garantisce che la loro estensione sarà approvata: un’estensione che, ricordiamolo, era considerata un punto cruciale per gran parte del Partito democratico.
2025-11-10
Indivia belga, l’insalata ideale nei mesi freddi per integrare acqua e fibre e combattere lo stress
iStock
In autunno e in inverno siamo portati (sbagliando) a bere di meno: questa verdura è ottima per idratarsi. E per chi ha l’intestino un po’ pigro è un toccasana.
Si chiama indivia belga, ma ormai potremmo conferirle la cittadinanza italiana onoraria visto che è una delle insalate immancabili nel banco del fresco del supermercato e presente 365 giorni su 365, essendo una verdura a foglie di stagione tutto l’anno. Il nome non è un non senso: è stata coltivata e commercializzata per la prima volta in Belgio, nel XIX secolo, partendo dalla cicoria di Magdeburgo. Per questo motivo è anche chiamata lattuga belga, radicchio belga oppure cicoria di Bruxelles, essendo Bruxelles in Belgio, oltre che cicoria witloof: witloof in fiammingo significa foglia bianca e tale specificazione fa riferimento al colore estremamente chiaro delle sue foglie, un giallino così delicato da sfociare nel bianco, dovuto a un procedimento che si chiama forzatura. Cos’è questa forzatura?
Zohran Mamdani (Ansa)
Nella religione musulmana, la «taqiyya» è una menzogna rivolta agli infedeli per conquistare il potere. Il neosindaco di New York ne ha fatto buon uso, associandosi al mondo Lgbt che, pur incompatibile col suo credo, mina dall’interno la società occidentale.
Le «promesse da marinaio» sono impegni che non vengono mantenuti. Il detto nasce dalle numerose promesse fatte da marinai ad altrettanto numerose donne: «Sì, certo, sei l’unica donna della mia vita; Sì, certo, ti sposo», salvo poi salire su una nave e sparire all’orizzonte. Ma anche promesse di infiniti Rosari, voti di castità, almeno di non bestemmiare, perlomeno non troppo, fatte durante uragani, tempeste e fortunali in cambio della salvezza, per essere subito dimenticate appena il mare si cheta. Anche le promesse elettorali fanno parte di questa categoria, per esempio le promesse con cui si diventa sindaco.






