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2023-09-01
Carola e i socialisti cannoneggiano Tunisi
Carola Rackete (Ansa)
I cinque approdi delle ultime 24 ore, con 405 migranti mercoledì e 46 ieri, hanno portato la statistica del Viminale sugli sbarcati a quota 114.526. Una dura prova per il sistema d’accoglienza: tra rete Sai, quella attivata con i Comuni, e centri d’accoglienza ci sono già 136.632 ospiti. Erano 98.740 un anno fa. Le presenze più numerose si registrano nei centri d’accoglienza: 99.849; in 34.761 sono ospitati nel sistema Sai e 2.022 si trovano negli hotspot. Il flusso migratorio che dai porti tunisini e libici continua a pompare migranti verso le coste italiane sembra inarrestabile.
Da inizio anno a luglio gli attraversamenti irregolari nel Mediterraneo centrale sono più che raddoppiati (+115 per cento), registrando un totale di 89.034, certifica Frontex. E a più partenze corrispondono sempre più morti in mare: il cadavere di un uomo, in avanzato stato di decomposizione, è stato ripescato a largo di Lampedusa dai militari della Guardia di finanza e non è stato ancora possibile stabilire da quanto tempo fosse in acqua. Inoltre, le autorità italiane devono anche riarrestare i clandestini già espulsi: dopo i 22 tunisini arrestati tra Lampedusa e Porto Empedocle l’altro giorno, ne sono stati individuati altri otto, colpiti da decreti di respingimento o di espulsione. Fregandosene delle disposizioni delle autorità italiane, si sono rimessi su un barcone e sono salpati di nuovo. Sono finiti agli arresti domiciliari tra i 1.300 ospiti dell’hotspot di Lampedusa (ieri è stato disposto il trasferimento di mille persone, 500 delle quali sono partite per Reggio Calabria durante il pomeriggio con la nave militare Dattilo). Nel frattempo un terzo hotspot è stato attivato in provincia di Ragusa, nella zona industriale di Modica, e funzionerà in appoggio a quello di Pozzallo. È una struttura destinata ai minori non accompagnati. E già ospita i primi cento migranti approdati dalla Tunisia. Come gli ultimi 46 sbarcati, recuperati da una motovedetta della Guardia di finanza. Anche loro sono salpati dalla Tunisia e, precisamente, dal porto di Sfax, uno dei preferiti dalle organizzazioni di trafficanti di esseri umani. «Abbiamo concordato con le autorità della Tunisia di sviluppare un piano di attuazione del memorandum, avremo cinque tabelle che coprono i diversi pilastri in cui questo verrà discusso in dettaglio con l’obiettivo di garantire che ciò venga portato avanti il prima possibile, data la situazione preoccupante relativa alla migrazione ma anche in considerazione delle opportunità esistenti in altri settori», ha detto ieri il capo della direzione generale politiche di vicinato della Commissione europea, Geert Jan Koopman, intervenendo in commissione Affari esteri del Parlamento europeo. Koopman ha spiegato anche che si sta cercando di «accelerare questo processo».
Il vicepremier Antonio Tajani anche ieri, al suo arrivo alla riunione informale dei ministri degli Esteri Ue a Toledo, ha ricordato l’importanza «di lavorare con la Tunisia». E ha aggiunto: «Ovviamente per l’Italia il memorandum è una buona opzione. Dobbiamo lavorare per la stabilità della Tunisia e dobbiamo investire più fondi per attuare l’accordo per fermare l’immigrazione illegale. La polizia tunisina sta facendo bene in questo periodo e noi siamo pronti a fare di più, abbiamo proposto anche la fornitura di nuove motovedette per la loro Guardia costiera. È importante che l’accordo tra Ue e la Tunisia venga subito attuato». Alla Verità risultano già 45.610 migranti recuperati dalle autorità tunisine in mare o nel momento in cui tentavano di salpare, mentre sono già 2.108 i barchini sequestrati (ieri sono stati sequestrati addirittura dei cantieri navali abusivi a Jebeniana). I risultati, insomma, cominciano a vedersi. Ma la spada di Damocle per la Tunisia è il Fondo monetario internazionale che ha subordinato lo sblocco di un finanziamento da 900 milioni di euro ad alcune riforme strutturali. «Per la stabilità della Tunisia», valuta Tajani, «serve più flessibilità da parte del Fondo monetario internazionale».
Martedì il presidente del Partito popolare europeo Manfred Weber aveva incontrato il premier tunisino Kais Saied a Cartagine. L’incontro, concentrato sul partenariato strategico e sulla stretta cooperazione tra la Tunisia e l’Unione europea, nonché sulla necessità di aumentare le opportunità di investimento in Tunisia, si è concluso con questa dichiarazione di Weber: «Quella della migrazione è una sfida comune di Ue e Tunisia, che dobbiamo affrontare insieme». Ieri però il leader del Ppe si è beccato i rimbrotti socialisti: «Non dobbiamo mai scendere a compromessi sui diritti umani», ha affermato il segretario generale esecutivo del Pse, Giacomo Filibeck. Il Pse sostiene che «in un’intervista pubblicata dal quotidiano statunitense Politico, il leader del Ppe avrebbe respinto le prove di maltrattamenti di migranti da parte delle autorità tunisine». E si è subito iscritta al fronte anti Tunisia anche la disobbediente Carola Rackete: «Le condizioni per i migranti in Italia sono peggiorate e trovo scandaloso che l’Ue abbia trattato con la Tunisia. Abbiamo visto cosa fanno le forze di sicurezza tunisine ai migranti nel deserto e come li abbandonano lì. Tutta l’Unione europea è coinvolta». Poi se l’è presa con Giorgia Meloni: «Quando il governo Meloni cerca di presentarsi come moderato a Bruxelles non dobbiamo crederci, è un governo di estrema destra e tutti devono esserne consapevoli».
Migranti, Italia cornuta e mazziata. Siamo invasi e l’Onu ci sgrida pure
Non sono pochi gli elettori di destra convinti che si dovrebbe ricorrere a maniere più spicce per risolvere il problema dell’immigrazione clandestina in aumento, e i loro auspici sono senz’altro condivisibili. Resta tuttavia necessario un esercizio di realtà. Come insegna il caso Salvini - con i processi, il linciaggio mediatico e le feroci opposizioni a più livelli - quando si usa il pugno duro si rispetta senza dubbio la volontà dei cittadini, ma allo stesso tempo ci si trova a combattere contro nemici anche molto potenti. Non si tratta soltanto di affrontare l’opposizione italica, tutto sommato inconsistente, ma di fronteggiare forze sovranazionali che impongono da tempo una visione a senso unico del problema migratorio, esercitano pressioni e pongono robusti ostacoli all’azione politica. Lo dimostra il surreale comunicato stampa diffuso ieri dal Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione razziale, ente inutile se mai ve n’è stato uno. Tale comitato ha convocato una conferenza stampa per dirsi «preoccupato dal fatto che politici e funzionari governativi di alto livello abbiano utilizzato discorsi di odio e razzismo contro le minoranze etniche, in particolare rom, sinti e camminanti e persone di origine africana, nei media e su Internet». E poiché è preoccupato, il comitato invita l’Italia ad applicare «efficacemente la propria legislazione per combattere l’incitamento all’odio e l’incitamento alla discriminazione razziale e a garantire che tutti i discorsi di odio e i crimini di matrice razzista siano effettivamente indagati e coloro che sono giudicati colpevoli siano puniti, indipendentemente dal loro status ufficiale». Secondo i furboni dell’Onu esisterebbe addirittura «un allarme sugli atti razzisti durante eventi sportivi, comprese aggressioni fisiche e verbali contro atleti di origine africana». Ecco, letta questa roba si capisce velocemente quale sia la mentalità dominante a livello internazionale. Le discriminazioni immaginarie e le grida allo stadio sono la priorità per gli occhiuti funzionari Onu, ma non risulta che questi vigilantes anti discriminazioni si siano battuti con eguale determinazione quando le discriminazioni effettivamente avvenivano, e cioè durante il delirio pandemico. Anzi, sempre ieri questi fenomeni si sono premurati di bacchettare gli Stati europei (Svizzera in primis) che non hanno revocato la proprietà intellettuale sui brevetti dei vaccini. Però di chi ha perso lavoro e dignità a causa del green pass se ne sono sempre amabilmente fregati. Ciò che a costoro interessa è che l’immigrazione di massa non incontri ostacoli. E infatti, guarda un po’, il Comitato Onu ha pensato bene di criticare la legislazione italiana, «in particolare la legge sull’immigrazione e sulla sicurezza del 2018 e la “legge Cutro” del 2023, che hanno reso i migranti, i richiedenti asilo e i rifugiati più vulnerabili alle violazioni dei diritti umani, in particolare alle violazioni dei loro diritti alla vita e sicurezza». Di più: i rappresentanti delle Nazioni Unite si sono premurati di difendere le Ong, contestando «le restrizioni legali imposte alle operazioni di ricerca e salvataggio in mare, che potrebbero impedire alle organizzazioni di salvare migranti, richiedenti asilo e rifugiati».Insomma, a sentire questi solerti difensori dei diritti l’Italia dovrebbe «adottare tutte le misure necessarie per combattere la discriminazione nei confronti dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati e tutelare il loro diritto alla vita, alla sicurezza e all’integrità fisica». E dovrebbe inoltre «garantire che migranti e richiedenti asilo possano richiedere protezione internazionale e accedere alle procedure per la determinazione dello status di rifugiato». Con tutta evidenza, se qui esiste un problema è legato al numero di migranti in ingresso e non certo al razzismo e alla discriminazione. Per altro, nel momento in cui i diritti sono stati violati pesantemente, l’Onu se n’è infischiata. Ciò che però conta per le istituzioni internazionali è che noi si obbedisca e si svolga in silenzio il compito assegnato: farci carico di centinaia di migliaia di stranieri. Queste sono le forze che tocca fronteggiare. Ricordarlo non serve a fornire alibi all’esecutivo, ma a comprendere che la battaglia sull’immigrazione è in realtà una battaglia contro un sistema. E per vincerla, purtroppo, non basta vincere le elezioni.
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Sbarchi senza sosta sulle nostre coste. Dalla commissione Esteri dell’Unione chiedono di accelerare sull’attuazione del patto con il Paese nordafricano. Antonio Tajani: «Più flessibilità dall’Fmi con Saied». Ma la Rackete e il Pse vogliono rompere gli accordi.Siamo invasi e l'Onu ci sgrida pure: il Comitato anti discriminazioni delle Nazioni Unite deplora il razzismo (inesistente).Lo speciale contiene due articoli.I cinque approdi delle ultime 24 ore, con 405 migranti mercoledì e 46 ieri, hanno portato la statistica del Viminale sugli sbarcati a quota 114.526. Una dura prova per il sistema d’accoglienza: tra rete Sai, quella attivata con i Comuni, e centri d’accoglienza ci sono già 136.632 ospiti. Erano 98.740 un anno fa. Le presenze più numerose si registrano nei centri d’accoglienza: 99.849; in 34.761 sono ospitati nel sistema Sai e 2.022 si trovano negli hotspot. Il flusso migratorio che dai porti tunisini e libici continua a pompare migranti verso le coste italiane sembra inarrestabile. Da inizio anno a luglio gli attraversamenti irregolari nel Mediterraneo centrale sono più che raddoppiati (+115 per cento), registrando un totale di 89.034, certifica Frontex. E a più partenze corrispondono sempre più morti in mare: il cadavere di un uomo, in avanzato stato di decomposizione, è stato ripescato a largo di Lampedusa dai militari della Guardia di finanza e non è stato ancora possibile stabilire da quanto tempo fosse in acqua. Inoltre, le autorità italiane devono anche riarrestare i clandestini già espulsi: dopo i 22 tunisini arrestati tra Lampedusa e Porto Empedocle l’altro giorno, ne sono stati individuati altri otto, colpiti da decreti di respingimento o di espulsione. Fregandosene delle disposizioni delle autorità italiane, si sono rimessi su un barcone e sono salpati di nuovo. Sono finiti agli arresti domiciliari tra i 1.300 ospiti dell’hotspot di Lampedusa (ieri è stato disposto il trasferimento di mille persone, 500 delle quali sono partite per Reggio Calabria durante il pomeriggio con la nave militare Dattilo). Nel frattempo un terzo hotspot è stato attivato in provincia di Ragusa, nella zona industriale di Modica, e funzionerà in appoggio a quello di Pozzallo. È una struttura destinata ai minori non accompagnati. E già ospita i primi cento migranti approdati dalla Tunisia. Come gli ultimi 46 sbarcati, recuperati da una motovedetta della Guardia di finanza. Anche loro sono salpati dalla Tunisia e, precisamente, dal porto di Sfax, uno dei preferiti dalle organizzazioni di trafficanti di esseri umani. «Abbiamo concordato con le autorità della Tunisia di sviluppare un piano di attuazione del memorandum, avremo cinque tabelle che coprono i diversi pilastri in cui questo verrà discusso in dettaglio con l’obiettivo di garantire che ciò venga portato avanti il prima possibile, data la situazione preoccupante relativa alla migrazione ma anche in considerazione delle opportunità esistenti in altri settori», ha detto ieri il capo della direzione generale politiche di vicinato della Commissione europea, Geert Jan Koopman, intervenendo in commissione Affari esteri del Parlamento europeo. Koopman ha spiegato anche che si sta cercando di «accelerare questo processo». Il vicepremier Antonio Tajani anche ieri, al suo arrivo alla riunione informale dei ministri degli Esteri Ue a Toledo, ha ricordato l’importanza «di lavorare con la Tunisia». E ha aggiunto: «Ovviamente per l’Italia il memorandum è una buona opzione. Dobbiamo lavorare per la stabilità della Tunisia e dobbiamo investire più fondi per attuare l’accordo per fermare l’immigrazione illegale. La polizia tunisina sta facendo bene in questo periodo e noi siamo pronti a fare di più, abbiamo proposto anche la fornitura di nuove motovedette per la loro Guardia costiera. È importante che l’accordo tra Ue e la Tunisia venga subito attuato». Alla Verità risultano già 45.610 migranti recuperati dalle autorità tunisine in mare o nel momento in cui tentavano di salpare, mentre sono già 2.108 i barchini sequestrati (ieri sono stati sequestrati addirittura dei cantieri navali abusivi a Jebeniana). I risultati, insomma, cominciano a vedersi. Ma la spada di Damocle per la Tunisia è il Fondo monetario internazionale che ha subordinato lo sblocco di un finanziamento da 900 milioni di euro ad alcune riforme strutturali. «Per la stabilità della Tunisia», valuta Tajani, «serve più flessibilità da parte del Fondo monetario internazionale».Martedì il presidente del Partito popolare europeo Manfred Weber aveva incontrato il premier tunisino Kais Saied a Cartagine. L’incontro, concentrato sul partenariato strategico e sulla stretta cooperazione tra la Tunisia e l’Unione europea, nonché sulla necessità di aumentare le opportunità di investimento in Tunisia, si è concluso con questa dichiarazione di Weber: «Quella della migrazione è una sfida comune di Ue e Tunisia, che dobbiamo affrontare insieme». Ieri però il leader del Ppe si è beccato i rimbrotti socialisti: «Non dobbiamo mai scendere a compromessi sui diritti umani», ha affermato il segretario generale esecutivo del Pse, Giacomo Filibeck. Il Pse sostiene che «in un’intervista pubblicata dal quotidiano statunitense Politico, il leader del Ppe avrebbe respinto le prove di maltrattamenti di migranti da parte delle autorità tunisine». E si è subito iscritta al fronte anti Tunisia anche la disobbediente Carola Rackete: «Le condizioni per i migranti in Italia sono peggiorate e trovo scandaloso che l’Ue abbia trattato con la Tunisia. Abbiamo visto cosa fanno le forze di sicurezza tunisine ai migranti nel deserto e come li abbandonano lì. Tutta l’Unione europea è coinvolta». Poi se l’è presa con Giorgia Meloni: «Quando il governo Meloni cerca di presentarsi come moderato a Bruxelles non dobbiamo crederci, è un governo di estrema destra e tutti devono esserne consapevoli».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/carola-socialisti-cannoneggiano-tunisi-2664712590.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="migranti-italia-cornuta-e-mazziata-siamo-invasi-e-lonu-ci-sgrida-pure" data-post-id="2664712590" data-published-at="1693508151" data-use-pagination="False"> Migranti, Italia cornuta e mazziata. Siamo invasi e l’Onu ci sgrida pure Non sono pochi gli elettori di destra convinti che si dovrebbe ricorrere a maniere più spicce per risolvere il problema dell’immigrazione clandestina in aumento, e i loro auspici sono senz’altro condivisibili. Resta tuttavia necessario un esercizio di realtà. Come insegna il caso Salvini - con i processi, il linciaggio mediatico e le feroci opposizioni a più livelli - quando si usa il pugno duro si rispetta senza dubbio la volontà dei cittadini, ma allo stesso tempo ci si trova a combattere contro nemici anche molto potenti. Non si tratta soltanto di affrontare l’opposizione italica, tutto sommato inconsistente, ma di fronteggiare forze sovranazionali che impongono da tempo una visione a senso unico del problema migratorio, esercitano pressioni e pongono robusti ostacoli all’azione politica. Lo dimostra il surreale comunicato stampa diffuso ieri dal Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione razziale, ente inutile se mai ve n’è stato uno. Tale comitato ha convocato una conferenza stampa per dirsi «preoccupato dal fatto che politici e funzionari governativi di alto livello abbiano utilizzato discorsi di odio e razzismo contro le minoranze etniche, in particolare rom, sinti e camminanti e persone di origine africana, nei media e su Internet». E poiché è preoccupato, il comitato invita l’Italia ad applicare «efficacemente la propria legislazione per combattere l’incitamento all’odio e l’incitamento alla discriminazione razziale e a garantire che tutti i discorsi di odio e i crimini di matrice razzista siano effettivamente indagati e coloro che sono giudicati colpevoli siano puniti, indipendentemente dal loro status ufficiale». Secondo i furboni dell’Onu esisterebbe addirittura «un allarme sugli atti razzisti durante eventi sportivi, comprese aggressioni fisiche e verbali contro atleti di origine africana». Ecco, letta questa roba si capisce velocemente quale sia la mentalità dominante a livello internazionale. Le discriminazioni immaginarie e le grida allo stadio sono la priorità per gli occhiuti funzionari Onu, ma non risulta che questi vigilantes anti discriminazioni si siano battuti con eguale determinazione quando le discriminazioni effettivamente avvenivano, e cioè durante il delirio pandemico. Anzi, sempre ieri questi fenomeni si sono premurati di bacchettare gli Stati europei (Svizzera in primis) che non hanno revocato la proprietà intellettuale sui brevetti dei vaccini. Però di chi ha perso lavoro e dignità a causa del green pass se ne sono sempre amabilmente fregati. Ciò che a costoro interessa è che l’immigrazione di massa non incontri ostacoli. E infatti, guarda un po’, il Comitato Onu ha pensato bene di criticare la legislazione italiana, «in particolare la legge sull’immigrazione e sulla sicurezza del 2018 e la “legge Cutro” del 2023, che hanno reso i migranti, i richiedenti asilo e i rifugiati più vulnerabili alle violazioni dei diritti umani, in particolare alle violazioni dei loro diritti alla vita e sicurezza». Di più: i rappresentanti delle Nazioni Unite si sono premurati di difendere le Ong, contestando «le restrizioni legali imposte alle operazioni di ricerca e salvataggio in mare, che potrebbero impedire alle organizzazioni di salvare migranti, richiedenti asilo e rifugiati».Insomma, a sentire questi solerti difensori dei diritti l’Italia dovrebbe «adottare tutte le misure necessarie per combattere la discriminazione nei confronti dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati e tutelare il loro diritto alla vita, alla sicurezza e all’integrità fisica». E dovrebbe inoltre «garantire che migranti e richiedenti asilo possano richiedere protezione internazionale e accedere alle procedure per la determinazione dello status di rifugiato». Con tutta evidenza, se qui esiste un problema è legato al numero di migranti in ingresso e non certo al razzismo e alla discriminazione. Per altro, nel momento in cui i diritti sono stati violati pesantemente, l’Onu se n’è infischiata. Ciò che però conta per le istituzioni internazionali è che noi si obbedisca e si svolga in silenzio il compito assegnato: farci carico di centinaia di migliaia di stranieri. Queste sono le forze che tocca fronteggiare. Ricordarlo non serve a fornire alibi all’esecutivo, ma a comprendere che la battaglia sull’immigrazione è in realtà una battaglia contro un sistema. E per vincerla, purtroppo, non basta vincere le elezioni.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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