2021-02-23
Caos risarcimenti per i non vaccinati. C’è il nodo privacy
L'Inail deve sciogliere l'incognita su chi sceglie di non assumere il farmaco. In assenza di obbligo, gli assegni sarebbero dovuti.Quali sono le implicazioni sul lavoro per chi sceglie volontariamente di non vaccinarsi dal Covid-19? A sollevare questa domanda ci ha pensato ieri Salvatore Giuffrida, il direttore sanitario dell'ospedale San Martino di Genova che ha chiesto all'Inail come debbano essere considerati i 15 infermieri che hanno contratto il Coronavirus in corsia dopo aver rifiutato la puntura. Si tratta di personale che va considerato meritevole del risarcimento previsto in questi casi dall'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro, oppure si sta parlando di professionisti inidonei alla loro attività professionale? Al momento, sul tema, è stata aperta un'istruttoria che porterà a una soluzione nel giro di trenta giorni. Prima di rispondere, però, l'Inail ha intenzione di chiedere lumi al ministero del lavoro, a quello della Sanità e al Garante della privacy. Non è ancora chiaro, ad ogni modo l'Inail sta valutando di concedere gli indennizzi anche a chi ha rifiutato il vaccino e già ieri sera i vertici dell'istituto si sono riuniti sul da farsi. Del resto, la questione è a dir poco spinosa perché il vaccino, per legge, non è obbligatorio e perché la scelta di non concedere le adeguate coperture assicurative ai contagiati aprirebbe un vaso di Pandora in tema di privacy. Se così fosse, vorrebbe dire che l'Inail dovrebbe essere a conoscenza delle scelte di coscienza di ogni lavoratore e che questo, potenzialmente, potrebbe determinare coperture diverse in base alle scelte di ogni singolo individuo. La materia è sensibilissima: il datore di lavoro non può richiedere, né maneggiare o diffondere, dati sanitari coperti dal più alto livello di privacy, cosa che potrebbe portare a discriminazioni. Certo, a fare la differenza potrebbe essere la professione di ognuno. Un membro non vaccinato del personale sanitario, ogni giorno a stretto contatto coi malati di Coronavirus, avrebbe altissime possibilità di ammalarsi. Bisognerebbe dunque chiedersi se una soluzione possa essere quella di obbligare almeno certe categorie di professionisti a vaccinarsi: quelle più esposte al virus come il personale sanitario, appunto, ma anche tutti coloro a contatto con il pubblico come i lavoratori della logistica, quelli della ristorazione e diversi altri ancora. Cosa che, però, striderebbe in presenza, come siamo adesso, di una vaccinazione di massa con altissime adesioni (anzi, con il problema di non avere abbastanza dosi rispetto alla domanda). Il fatto è che l'Inail non ha poteri legislativi, è un ente assicurativo che opera secondo le norme vigenti. La Verità ha sentito diversi esperti sul tema e la posizione di tutti sembra unanime: l'unica istituzione che se ne deve occupare è il governo, che deve fare una legge ad hoc. «Il presupposto di questa diatriba», ci dice Enzo De Fusco, ex consulente giuridico del consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, «è capire se è legittimo o meno per il lavoratore rifiutare di vaccinarsi. La verità è che, ad oggi, lo è. In punta di diritto il professionista è legittimato a fare la sua scelta e a rifiutarsi di essere vaccinato. Alla fine, si tratta di un dispositivo di sicurezza, però, non c'è una norma definita. Se l'operaio non si mette le scarpe infortunistiche commette un illecito. In questo caso, però, la legge lo consente e l'Inail non può prendere una posizione su una scelta che viene ritenuta legittima», conclude De Fusco. Dello stesso avviso anche Paolo Capone, segretario generale dell'Ugl. «L'invito per tutti è ovviamente quello di vaccinarsi», spiega, «ma è chiaro che un intervento lo debba fare l'amministrazione centrale. Qualcuno si deve prendere la responsabilità di fare una legge e determinarne le conseguenze. Pensare che la privacy è più importante del bene pubblico, mi riesce difficile. Si tratta di una scelta che non possono fare l'Inail o i sindacati. Serve un legislatore, se no è solo un dibattito fine a sé stesso. L'Inail è un ente assicurativo che opera all'interno delle norme vigenti».«È in primis un un problema di attenzione deontologica da parte degli operatori sanitari che devono prendersi cura di persone terze e non solo la loro», aggiunge Angelo Colombini, segretario confederale della Cisl, «l'Inail, essendo un istituto che deve difendere i lavoratori non può permettersi di non risarcire chi si ammala sul lavoro. E non può nemmeno decidere da sola sul da farsi. Fino a quando non ci sarà una legge che obbliga alla vaccinazione, diventa difficile mettere in discussione le scelte del lavoratore. Anche se sono medici o infermieri». Insomma, negare il risarcimento per i lavoratori malati appare difficile. L'articolo 32 della Costituzione non lascia dubbi. Nessuno può essere obbligato a ricevere trattamenti sanitari, se non per disposizione di legge. Senza considerare che gli infermieri di Genova hanno agito con il benestare del medico responsabile della struttura e anche questo, in caso di rifiuto da parte dell'istituto, potrebbe avere un peso.