2023-10-06
Tribunali recidivi: cambio sesso senza bisturi
Nel riquadro, Fabiola De Stefano, avvocato delle cause Lgbt (IStock)
Dopo il caso di Trapani, anche i giudici di Campobasso approfittano delle porte aperte dalla Cassazione. E concedono a un uomo di diventare formalmente donna, senza interventi anatomici. Ma solo sulla base dell’accertamento della «disforia di genere».I giudici del tribunale di Trapani erano stati i primi a recepire una decisione della Cassazione che nel 2015 aveva permesso la rettifica all’anagrafe sul cambio di sesso senza operazione chirurgica, discostandosi dall’opinione prevalente fino a quel momento, sia in dottrina che in giurisprudenza. Ora si accoda Campobasso. L’altro giorno la Sezione civile presieduta da Enrico Di Dedda, ex presidente del tribunale penale di Cosenza che sulla stampa locale veniva descritto come «uno dalla sentenza creativa» e dalle molte «bocciature» in Cassazione, ha depositato la seconda innovativa decisione sul cambio di sesso, quanto meno per la procedura adottata. Per la verità, infatti, di sentenze che vanno in questa direzione ce ne sono già state diverse: a Paola (Cosenza), a Rovereto (Trento), a Perugia, ad Avellino e ad Avezzano (L’Aquila). Il procedimento di Campobasso, però, ha seguito un iter quasi esclusivamente documentale. Il giudice estensore è Emanuela Luciani che, ottenuto il parere favorevole della Procura, ha attribuito «il sesso femminile, in luogo di quello maschile già enunciato nell’atto di nascita» e ha «ordinato all’ufficiale dello stato civile di rettificare il sesso del cittadino sostituendo il precedente sesso maschile con il nuovo sesso femminile, sostituendo il precedente nome con il nuovo». Il tutto senza operazione chirurgica. Che fino alla sentenza della Cassazione del 2015 era condizione necessaria per la trasformazione anagrafica. La parte, assistita dall’avvocato Fabiola De Stefano, nome ricorrente nelle istanze giudiziarie del mondo Lgbt, ha sostenuto davanti ai giudici che la legge in vigore, se bene interpretata, non presenta la necessità «dell’intervento chirurgico demolitorio o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari», per ottenere la rettifica del sesso nei registri. Una condizione, però, è ancora ritenuta indispensabile: l’accertamento della sussistenza della disforia di genere. Il giudice deve quindi accertare se la persona ha raggiunto una condizione di benessere psicofisico e dimostra di essersi calata completamente nel genere percepito. La scelta, in sede di colloquio, deve risultare irreversibile. L’avvocato De Stefano, quindi, secondo i giudici di Campobasso, avrebbe dato «prova sufficiente delle intervenute modificazioni dei caratteri sessuali della parte attrice (la persona che ha presentato il ricorso, ndr) e dell’intervenuta transizione dell’identità di genere». In sostanza se un uomo si sente donna e lo dimostra può evitare l’intervento chirurgico. Ma ci sono delle questioni che restano aperte. Soprattutto in linea di principio. Il passaggio anagrafico permette in modo automatico e controverso di accedere al sistema che garantisce le quote rosa, con tutti gli obblighi previsti dalla legislazione per permettere una maggiore integrazione di genere nelle aziende e anche nella rappresentanza politica, tramite le quote di lista. Non solo: consente di accedere alla pensione con un anno di anticipo e se si è dipendenti di un’azienda interessata a una fase di rilancio aziendale con lavoratori in esubero o da ricollocare, si potrà usufruire dell’Opzione donna (il requisito anagrafico scende a 58 anni). Dopo le sentenze di Trapani e di molti altri tribunali, quindi, si è già all’ennesimo caso andato in decisione e, stando a quanto è possibile rintracciare sulla cronaca locale, ci sarebbero anche altri due procedimenti pendenti ad Avellino. La slavina sembra essere partita. E con la facilità d’accesso all’alterazione anagrafica, sarà possibile cambiare sesso magari anche solo per partecipare alle gare sportive nelle categorie femminili. Quello di Campobasso, infatti, è stato un processo che proprio gli avvocati hanno definito come «documentale», ovvero solo basato sull’intenzione di dimostrare la disforia di genere. Raccolta la documentazione, la persona che ha chiesto il cambio di sesso, come previsto dalla procedura, si è sottoposta al colloquio con il giudice per spiegare come è maturata la sua decisione. E non è stato neppure necessario, come invece accade in altri procedimenti simili, la nomina di un consulente tecnico d’ufficio per poter bilanciare con un parere terzo le istanze presentate dal richiedente. È stata una decisione della Consulta (la numero 221 del 2015) a fornire ai giudici che trattano i casi di trasformazione anagrafica ampi poteri, non riconoscendo il trattamento medico-chirurgico quale presupposto indispensabile per il mutamento del sesso e affidando all’autorità giudiziaria l’apprezzamento finale, «in relazione alla specificità del caso concreto», sull’effettiva necessità dell’intervento operatorio da parte dell’interessato. Saltati i paletti legislativi, quindi, è facile prevedere la scomparsa di decisioni di segno opposto. Senza finire sotto i ferri e, ora, perfino senza sottoporsi a una perizia dei consulenti tecnici d’ufficio.
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