Che vada con il Pd o corra da solo, il fondatore di Azione ha voti inversamente proporzionali al suo ego e alla sua arroganza. Sotto la soglia anche Matteo Renzi, mentre la supera Gianluigi Paragone di cui non parla nessuno. Ma i giornalisti italiani vivono di strani innamoramenti. Il centrodestra è dato al 48%. E trova l’intesa sull’introduzione della flat tax in cinque anni.
Che vada con il Pd o corra da solo, il fondatore di Azione ha voti inversamente proporzionali al suo ego e alla sua arroganza. Sotto la soglia anche Matteo Renzi, mentre la supera Gianluigi Paragone di cui non parla nessuno. Ma i giornalisti italiani vivono di strani innamoramenti. Il centrodestra è dato al 48%. E trova l’intesa sull’introduzione della flat tax in cinque anni.Per alcune settimane l’Italia è rimasta in attesa che Carlo Calenda decidesse se alle prossime elezioni lo si sarebbe notato di più qualora si fosse alleato con il Pd oppure se la visibilità sarebbe stata maggiore in caso avesse optato per una corsa in solitaria. Articoli, commenti, appelli dell’establishment cultural-politico: la scelta del fondatore di Azione per giorni ha tenuto banco, riempiendo le pagine dei giornali di dotte analisi sugli effetti che tale decisione avrebbe potuto provocare sul futuro del Paese. Alla fine, come è noto, il Churchill dei Parioli, autonominatosi interprete unico dell’Agenda Draghi, ha preferito rompere con il Pd per allearsi, forse, con Italia viva di Matteo Renzi.Dopo avere archiviato l’intesa con il partito di Enrico Letta, infatti ora la stampa tutta segue con apprensione gli sviluppi della trattativa per dare vita a un terzo polo, con Calenda e l’ex presidente del Consiglio, il quale per favorire l’accordo pare perfino essere disposto a cedere il posto di prima donna all’ex ministro, indicandolo come presidente del Consiglio in caso di vittoria.Il problema è che per settimane si è discusso di niente e ancora oggi si continua a dibattere del nulla. Calenda e Renzi infatti, non hanno alcuna probabilità di vincere le elezioni. Che si mettano insieme o decidano di correre da soli, nessuno di loro ha alcuna concreta possibilità di diventare premier. E quasi certamente non l’avrebbero avuta nemmeno se entrambi avessero deciso di stringere un patto con Il Pd, ossia con il maggior partito della sinistra. Dopo settimane di chiacchiere, una media ponderata dei sondaggi più recenti ha attribuito a Renzi una percentuale del 2,2% e a Calenda del 2%. Tanto per essere chiari, se questo sarà il risultato, né il primo né il secondo entreranno in Parlamento, perché la legge elettorale prevede una soglia di sbarramento al 3%. Giusto per capirci, e soprattutto per comprendere come giornali e tv abbiano alimentato per giorni un dibattito privo di sostanza, Italexit, il partito guidato dall’ex giornalista Gianluigi Paragone, sebbene nessuno ne parli è accreditato dagli esperti di un consenso superiore a quello di Calenda. Una percentuale ovviamente maggiore anche di quella di cui godrebbe Renzi.Il fondatore di Azione, da quando è iniziata la campagna elettorale pone condizioni per concedere i suoi favori, ma l’arroganza con cui detta legge è inversamente proporzionale ai suoi voti. Verdi e Sinistra italiana, i due partiti che Calenda voleva escludere dall’accordo con il Pd, per i sondaggisti hanno il doppio dei voti di cui dispone l’ex ministro.Peraltro, se anche il Churchill dei Parioli avesse accettato di fare parte dell’ammucchiata di Letta, con Bonelli, Fratoianni e, soprattutto, Di Maio, le cose sarebbero cambiate poco. Tutti insieme, i micropartitini guidati dai tre fanno il 5% (ammesso e non concesso che i voti si possano sommare) e con Calenda sarebbero arrivati al 7, percentuale sufficiente a far sfiorare il 30% alla coalizione di centrosinistra, ma non in grado di far oltrepassare a Letta e compagni quella soglia.Rappresentando meno di un terzo dell’elettorato attivo, il campo largo del segretario del Pd non sarebbe bastato a far sbocciare nessuna maggioranza di governo. Soprattutto considerando che al centrodestra in questo momento è attribuita una percentuale intorno al 48%.Ovviamente, siamo certi che aver svelato l’irrilevanza di Carlo Calenda nella campagna elettorale non metterà fine alla sitcom a cui ha dato vita il fondatore di Azione. Da qui al 25 settembre siamo convinti che ci toccheranno altre puntate del tormentone politico che va in onda a testate unificate ormai da tempo. Dal giorno in cui prese la tessera del Pd per poi stracciarla, salvo poi pretendere che il Partito democratico lo candidasse sindaco di Roma, il guastafeste dei Parioli è uno di quei mostri di cui ogni tanto la stampa del nostro Paese si innamora, scambiando i propri desideri per la realtà. Se toccasse ai cronisti politici decidere, Calenda sarebbe già a Palazzo Chigi da un pezzo. Infatti, chi altri è in grado di garantire un tweet quotidiano che valga un titolo? Detto in altre parole, più le spara grosse e più la stampa lo adora...
Diego Fusaro (Imagoeconomica)
Il filosofo Diego Fusaro: «Il cibo nutre la pancia ma anche la testa. È in atto una vera e propria guerra contro la nostra identità culinaria».
La filosofia si nutre di pasta e fagioli, meglio se con le cotiche. La filosofia apprezza molto l’ossobuco alla milanese con il ris giald, il riso allo zafferano giallo come l’oro. E i bucatini all’amatriciana? I saltinbocca alla romana? La finocchiona toscana? La filosofia è ghiotta di questa e di quelli. È ghiotta di ogni piatto che ha un passato, una tradizione, un’identità territoriale, una cultura. Lo spiega bene Diego Fusaro, filosofo, docente di storia della filosofia all’Istituto alti studi strategici e politici di Milano, autore del libro La dittatura del sapore: «La filosofia va a nozze con i piatti che si nutrono di cultura e ci aiutano a combattere il dilagante globalismo guidato dalle multinazionali che ci vorrebbero tutti omologati nei gusti, con le stesse abitudini alimentari, con uno stesso piatto unico. Sedersi a tavola in buona compagnia e mangiare i piatti tradizionali del proprio territorio è un atto filosofico, culturale. La filosofia è pensiero e i migliori pensieri nascono a tavola dove si difende ciò che siamo, la nostra identità dalla dittatura del sapore che dopo averci imposto il politicamente corretto vorrebbe imporci il gastronomicamente corretto: larve, insetti, grilli».
Leonardo
Il fondo è pronto a entrare nella divisione aerostrutture della società della difesa. Possibile accordo già dopo l’incontro di settimana prossima tra Meloni e Bin Salman.
La data da segnare con il circoletto rosso nell’agenda finanziaria è quella del 3 dicembre. Quando il presidente del consiglio, Giorgia Meloni, parteciperà al quarantaseiesimo vertice del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg), su espressa richiesta del re del Bahrein, Hamad bin Isa Al Khalifa. Una presenza assolutamente non scontata, perché nella Penisola araba sono solitamente parchi con gli inviti. Negli anni hanno fatto qualche eccezione per l’ex premier britannica Theresa May, l’ex presidente francese François Hollande e l’attuale leader cinese Xi Jinping e poco altro.
Emmanuel Macron (Ansa)
Bruxelles apre una procedura sull’Italia per le banche e tace sull’acciaio transalpino.
L’Europa continua a strizzare l’occhio alla Francia, o meglio, a chiuderlo. Questa volta si tratta della nazionalizzazione di ArcelorMittal France, la controllata transalpina del colosso dell’acciaio indiano. La Camera dei deputati francese ha votato la proposta del partito di estrema sinistra La France Insoumise guidato da Jean-Luc Mélenchon. Il provvedimento è stato approvato con il supporto degli altri partiti di sinistra, mentre Rassemblement National ha ritenuto di astenersi. Manca il voto in Senato dove l’approvazione si preannuncia più difficile, visto che destra e centro sono contrari alla nazionalizzazione e possono contare su un numero maggiore di senatori. All’Assemblée Nationale hanno votato a favore 127 deputati contro 41. Il governo è contrario alla proposta di legge, mentre il leader di La France Insoumise, Mélenchon, su X ha commentato: «Una pagina di storia all’Assemblea nazionale».
Maria Rita Parsi (Imagoeconomica)
La celebre psicologa e psicoterapeuta Maria Rita Parsi: «È mancata la gradualità nell’allontanamento, invece è necessaria Il loro stile di vita non era così contestabile da determinare quanto accaduto. E c’era tanto amore per i figli».
Maria Rita Parsi, celebre psicologa e psicoterapeuta, è stata tra le prime esperte a prendere la parola sulla vicenda della famiglia del bosco.






