2023-07-27
«Giro di soldi per le tasse»: Brunetta nei guai
Renato Brunetta (Getty Images)
L’ex ministro e attuale presidente del Cnel nel mirino della Procura di Roma per falso e finanziamento illecito (ma è caduta l’accusa di corruzione): avrebbe gonfiato il prezzo della cessione di una sua società alla moglie del vice capo di gabinetto.Il 21 maggio 2021 nella sua dichiarazione dei redditi al Parlamento l’allora ministro per la Pubblica amministrazione Renato Brunetta indicava la proprietà di quattro fabbricati e due terreni, di cinque vecchie autovetture, e delle quote di tre società: la Edit free Srl, la Mater divinis amoris Srl e della Rem research and consulting Srl. Proprio di quest’ultima da lì a quasi due mesi, il 15 luglio del 2021 avrebbe ceduto la sua partecipazione (il 50 per cento, 5.000 euro di valore nominale) alla dottoressa Emilia Cantera. «Un semplice rapporto tra privati» ha rivendicato ieri l’economista, quando il quotidiano La Repubblica ha rivelato che per quella compravendita il politico e attuale presidente del Cnel (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) è indagato per falso e finanziamento illecito.Il Tribunale dei ministri nel frattempo ha bocciato la più grave contestazione di corruzione dopo aver visionato gli atti inviati dalla Procura di Roma.I pm capitolini, però, non si sono fermati e, nei giorni scorsi, hanno inviato l’avviso di chiusura delle indagini ai diretti interessati.Brunetta è sotto inchiesta insieme con la Cantera, medico specializzato in oftalmologia, e con il di lei compagno, l’ex vicecapo di gabinetto al ministero di Brunetta, l’avvocato Paolo Narciso, ex ufficiale dell’Arma.E sono proprio i carabinieri di via In Selci a portare avanti le investigazioni.Gli indagati per i due reati sono Brunetta, Cantera, Narciso, il notaio Claudio Togna e il commercialista Canio Zampaglione, professionisti, gli ultimi due, utilizzati nelle operazioni contestate.La Rem research ha come oggetto sociale la progettazione, la fabbricazione e la vendita di «apparecchiature medicali» e di «dispositivi di protezione individuali». Verrebbero subito in mente le mascherine e i ricchi affari in epoca Covid se non fosse che i bilanci erano da ditta praticamente inattiva: zero euro i ricavi messi a bilancio nel 2020 e 3.500 euro nel 2019, con perdite rispettivamente per 11.500 e 8.300 euro.Nel 2013 Brunetta aveva acquistato, sempre al valore nominale di 5.000 euro, il 20 per cento della Rem dalla Cantera e il 30 dalla Holding smart device Srl (oggetto sociale praticamente sovrapponibile a quello della Rem) che attualmente ha come socio unico la Finnat fiduciaria e come amministratrice L.D., l’ultraottantenne mamma di Narciso. All’epoca, però, all’atto aveva preso parte il figliolo, in veste di amministratore unico e legale rappresentate della società.Ma nel 2021 cambia qualcosa. Brunetta è al governo, Narciso è il suo vicecapo di gabinetto al ministero e l’economista deve pagare l’Irpef con regolari F24 mensili. Ecco allora che la Rem esce dal torpore e dichiara a bilancio un fatturato di 61.000 mila euro e un utile di 1.300.Il 15 luglio dello stesso anno Brunetta e la Cantera si presentano davanti al notaio per la contestata compravendita. Nell’atto si legge che la cessione «viene fatta e accettata per il prezzo dalle parti dichiarato di 5.000 euro separatamente regolato tra la parte acquirente e la parte venditrice che rilascia del pagamento ampia, finale e liberatoria quietanza di saldo». Brunetta e Cantera fanno mettere a verbale che l’altro socio, la Hds (che possiede il 20 per cento) «ha precedentemente rinunciato al diritto di prelazione e che non esistono altri soggetti che possano esercitare eventuali diritti di prelazione».In realtà, da come risulterebbe anche da alcune intercettazioni, a Brunetta spetterebbero circa 60.000 euro per pagare l’Irpef all’Erario. Rate che corrispondono all’importo dei bonifici che arrivano dalla Cantera e dalla Hds. Nel fascicolo d’inchiesta gli investigatori registrano l’invio di sei pagamenti con causale «pagamento quota» per un totale di 26.350 euro, tra l’8 agosto 2021 e l’11 febbraio 2022. Versamenti avvenuti con cadenza mensile, con l’eccezione di gennaio, e che corrispondono quasi precisamente agli F24 saldati immediatamente dopo l’incasso da Brunetta. Il 5 ottobre 2021 l’atto di luglio viene modificato e le parti, che intanto hanno iniziato a scambiarsi i soldi, decidono di cambiare la versione.Nell’avviso di chiusura delle indagini si legge che dopo l’atto del 15 luglio, con cui Brunetta «simulatamente aveva ceduto a Emilia Cantera l’intera sua quota sociale» al prezzo di 5.000 euro, «il notaio Togna - di concerto con tutti i soggetti citati e su ideazione del commercialista Zampaglione e di Narciso - al solo scopo di creare provvista per il pagamento del debito tributario di Brunetta redigeva un ulteriore atto di cessione delle quote», le stesse già cedute alla Cantera, «a favore della Hsd per il prezzo di 60.000 euro, attestando falsamente […] che la prima cessione», di circa tre mesi prima, «doveva considerarsi disposta» per quel prezzo e che i 5.000 euro già pagati «dovevano intendersi come pagamento della prima rata di un importo dilazionato in ulteriori dieci rate bimestrali (a decorrere dal 31 luglio 2021, ndr), cosicché Brunetta poteva incassare sul proprio conto corrente i bonifici bancari, con i cui importi concorreva al pagamento dei propri debiti tributari».Un cambio di rotta che ha portato alla contestazione del falso.Infatti l’atto di ottobre viene utilizzato per poter inserire all’articolo due la seguente frase: «Il prezzo della predetta cessione veniva tra le parti stabilito in 60.000 euro […] ancorché per errore materiale nell’atto prefato sia stato indicato solo la cifra versata di Euro 5.000 e non l’importo dilazionato». A pagare, come detto, questa volta, è la Hsd che ha un bilancio vero: nel 2021, 170.000 euro di ricavi e 2.700 euro di utili.Per questo presunto stratagemma, nell’accusa di falso, vengono coinvolti tutti: Togna, Narciso, Zampaglione (il quale avrebbe predisposto la minuta dell’atto), la Cantera, coinvolta per avere sottoscritto i documenti di compravendita delle quote, e Brunetta, che sarebbe stato «il beneficiario del falso». Il tutto «con l’aggravante di falsità commessa in atto o parte di atto».A inizio anno il Tribunale dei ministri ha chiuso la sua inchiesta non ravvisando l’unico reato «ministeriale» per cui si procedeva, la corruzione. Quindi è venuta meno l’impostazione iniziale e adesso l’inchiesta viene portata avanti dalla sola Procura di Roma per le due contestazioni meno gravi.I pm Fabrizio Tucci e Gennaro Varone, coordinati dall’aggiunto Paolo Ielo, si preparano a chiedere il rinvio a giudizio. «È stata una vendita regolare» è stata la difesa di Brunetta con La Repubblica, «conclusa con chi aveva il diritto di comprare, la compagna del vice capo di gabinetto vantava un diritto di prelazione. La vendita è stata conclusa a un prezzo congruo, i reati di corruzione e illecito finanziamento (in realtà questa contestazione resta valida, ndr) sono stati archiviati dal Tribunale dei ministri che ha sottolineato come l’intera vicenda sia, in realtà, un semplice rapporto tra privati. Nonostante ciò, la procura continua ad indagare. Ho presentato un’ampia memoria attraverso la quale confido di aver chiarito tutto, non credo sia un reato per un ministro vendere delle quote societarie anche perché con quei soldi non ho finanziato attività politiche o elettorali». L’avvocato Franco Coppi, difensore dell’ex ministro, ha aggiunto: «Abbiamo documenti che a nostro avviso potranno dimostrare nelle opportune sedi l’infondatezza dell’accusa». La Procura e i carabinieri sembrano di diverso avviso.
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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