2019-12-12
Boris chiede pieni poteri agli inglesi per il divorzio finale da Bruxelles
Nelle elezioni di oggi Johnson punta alla maggioranza assoluta per giocarsi la carta dell'hard Brexit. In caso contrario il premier rischia lo stallo in Parlamento. Ma un aiuto potrebbe arrivare dall'anti europeista Nigel Farage.Si vota oggi nel Regno Unito per i 650 membri della Camera dei Comuni. E, a recarsi alle urne, saranno circa 45 milioni di cittadini britannici. Si tratta di una consultazione elettorale fondamentale che potrebbe risultare significativa soprattutto per il destino internazionale del Paese: non è infatti un mistero che le elezioni di oggi ruotino principalmente attorno alla spinosissima questione della Brexit, che dovrebbe aver luogo il prossimo 31 gennaio. In questo senso, il premier britannico, Boris Johnson, spera di ottenere un'ampia maggioranza che gli consenta di attuare il divorzio definitivo da Bruxelles. È del resto esattamente in tale ottica che - dopo l'ennesimo stallo sulla Brexit - lo scorso ottobre aveva chiesto e ottenuto di anticipare il voto.L'inquilino di Downing street vorrebbe avere le mani libere nei rapporti con l'Unione europea, non escludendo affatto la possibilità di una hard Brexit: Johnson sta pertanto corteggiando l'elettorato più euroscettico: è anche per questo che Nigel Farage, leader del Brexit party, ha evitato di presentare propri candidati nei collegi dove i conservatori risultano favoriti. Sembra quindi che le forze politiche ostili a Bruxelles abbiano costituito una vera e propria sorta di «santa alleanza». Johnson sta tra l'altro cercando di sfondare nel Nordest dell'Inghilterra, in un'area storicamente legata al Partito laburista: è anche per questo che i Tory hanno stavolta puntato su un programma economico meno liberista e maggiormente orientato al welfare state (soprattutto in materia sanitaria). Parrebbe quasi che l'intento di Johnson sia quello di rimodellare le classiche opposizioni partitiche della recente storia britannica, sottraendo alla sinistra alcuni suoi cavalli di battaglia.Sul fronte della strategia elettorale, nel corso di queste settimane, il premier ha fatto principalmente leva su due elementi: additare il leader laburista, Jeremy Corbyn, come un estremista di sinistra e - al contempo - sottolineare la sua irresolutezza e ambiguità proprio sulla questione Brexit. Due argomenti che, effettivamente, potrebbero risultare efficaci. Non bisogna infatti trascurare che, sull'uscita di Londra dall'Unione europea, il leader laburista non abbia mia tenuto una posizione realmente chiara. Tutto questo, mentre - a fine novembre -si era ritrovato tacciato di antisemitismo dal rabbino capo britannico, Ephraim Mirvis, che aveva messo sotto accusa l'intera leadership laburista attuale. Del resto, non bisogna dimenticare che il partito di Corbyn risulti profondamente dilaniato al suo stesso interno e che la linea ambigua sulla Brexit possa costargli oggi emorragie elettorali in due direzioni: quella conservatrice e quella liberaldemocratica. È d'altronde noto che i libdem, guidati da Jo Swinson, abbiano sposato una battaglia marcatamente europeista: una campagna che potrebbe risultare non poco attrattiva per le componenti laburiste di osservanza blairiana. Quelle componenti che, per intenderci, non hanno mai digerito il massimalismo di Corbyn, oltre ai suoi tentennamenti sulla Brexit.Per quanto riguarda gli ultimi sondaggi, la situazione appare confusa. Se tutti concordano su un vantaggio dei conservatori, i pronostici restano comunque relativamente ondivaghi. Ieri, Yougov ha sostenuto che la maggioranza dei Tory si sarebbe notevolmente assottigliata rispetto a rilevazioni precedenti, mentre - secondo il Financial Times - i conservatori disporrebbero di un vantaggio di 10 punti. Scenari quindi contraddittori e - del resto - abbiamo spesso constatato, negli ultimi tempi, come i sondaggi fatichino ormai a predire con efficacia i risultati delle consultazioni elettorali. Che i Tory riescano a ottenere la maggioranza, è quasi fuori discussione. L'incognita è però costituita dai numeri parlamentari che saranno capaci di conseguire. Se Johnson dovesse conquistare una maggioranza assoluta, l'ipotesi di una hard Brexit potrebbe farsi molto probabile: i conservatori lavorerebbero a una soluzione che consenta a Londra di liberarsi dai lacci europei e guarderebbero prevedibilmente alla stipulazione di un accordo commerciale bilaterale con gli Stati Uniti: un'eventualità da sempre caldeggiata dal presidente americano, Donald Trump. Nel caso in cui i Tory dovessero invece ottenere una maggioranza relativa, la situazione si complicherebbe non poco, con lo spettro del cosiddetto «Parlamento sospeso» (come accaduto a Theresa May dopo le elezioni del giugno 2017). Lo scenario più probabile a quel punto sarebbe quello di un'alleanza di tutte le forze contrarie alla Brexit: uno scenario che, tra le altre cose, potrebbe non escludere un nuovo referendum. Il problema è che una simile maggioranza rischierebbe di naufragare molto presto, a causa di probabilissimi dissidi intestini. Una convergenza tra figure tanto distanti come Corbyn e la Swinson non è affatto scontato che possa funzionare. Infine bisognerà monitorare il Partito nazionale scozzese di Nicola Sturgeon, che ha recentemente ribadito alla Bbbc i suoi propositi indipendentisti.
Nucleare sì, nucleare no? Ne parliamo con Giovanni Brussato, ingegnere esperto di energia e materiali critici che ci spiega come il nucleare risolverebbe tutti i problemi dell'approvvigionamento energetico. Ma adesso serve la volontà politica per ripartire.