
Contrordine, industriali. Il salario minimo non serve, serve un salario giusto. Lo ha detto ieri nella sua relazione all’assemblea annuale - l’ultima del suo mandato - il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi. Facendo una giravolta rispetto alle dichiarazioni di poco più di due mesi fa, quando aveva aperto la porta al cavallo di battaglia di Pd e Cgil assicurando che non c’era alcun veto da parte dell’associazione.
Ieri, Bonomi ha cambiato sponda e si è allineato con la maggioranza di governo. «Più che un salario minimo serve un salario giusto», ha detto alla platea dei soci riuniti all’auditorium Parco della musica di Roma. Sottolineando che «la mera introduzione di un salario minimo legale, non accompagnata da un insieme di misure volte a valorizzare la rappresentanza, non risolverebbe né la grande questione del lavoro povero, né la piaga del dumping contrattuale, né darebbe maggior forza alla contrattazione collettiva». E ancora: «La discussione di questi mesi sulla opportunità o meno di introdurre per legge un salario minimo sembra trascurare che la nostra Costituzione ci obbliga a riconoscere al lavoratore un salario giusto. Questa funzione, nello spirito della nostra Costituzione, è affidata - per quanto concerne il lavoro subordinato - alla contrattazione collettiva. Esiste un legame indissolubile tra salari e produttività», ha aggiunto.
E infine ricordato che «il settore industriale negli ultimi 20 anni ha avuto dinamiche retributive di gran lunga superiori a quelle registrate dal resto della nostra economia». Di certo, (lo ha certificato persino Romano Prodi in una recente intervista) i 9 euro all’ora sono in realtà 6. Ed è solo per gonfiare la cifra già misera che il Partito democratico e gli altri sostenitori del provvedimento usano il lordo invece del netto. Ed è altrettanto chiaro che con meno di 6 euro l’ora non si campa.
Eppure lo scorso 3 luglio Bonomi aveva usato parole assai diverse davanti all’assemblea di Assolombarda: «Se vogliamo parlare di salario minimo con una soglia di 9 euro non è un problema di Confindustria, i nostri contratti sono tutti superiori. Non c’è un veto, anzi è una grande sfida ed entriamo nel pieno dei temi», aveva detto dichiarandosi d’accordo con i sindacati anche sulla necessità di rinnovare i contratti scaduti. Non a caso, l’apertura del numero uno degli industriali era stata subito rilanciata da Giuseppe Conte con un esultante «non siamo soli in questa battaglia». Se a luglio si era accodato a Maurizio Landini, ieri ha invertito la rotta. All’assemblea annuale di Confindustria ha scelto di non parlare di economia, né di Pnrr, ma ha lanciato la stoccata al salario minimo, convinto - adesso - che ne serva uno giusto legato alla contrattazione collettiva.
Nel suo lungo intervento di ieri Bonomi ha poi auspicato che il taglio del cuneo venga reso strutturale dal governo nella prossima legge di bilancio, che vengano messe in campo «riforme che leghino governabilità e capacità di dare voce e rappresentanza alle tante istanze che la società civile è capace di esprimere» e ha chiesto alle forze politiche di «evitare di progettare interventi sulla forma di Stato e sulla forma di governo maturati e ispirati da una dialettica divisiva». «Penso che la strada per mettere più soldi nelle tasche degli italiani sia il taglio delle tasse e credo che qualche riflessione da questo punto di vista vada fatta. Il governo ha fatto un taglio in corso d’anno e auspichiamo che lo renda strutturale in questa legge di bilancio», ha sottolineato.
All’indomani del decimo rialzo consecutivo dei tassi di interesse varato da Francoforte, il presidente degli industriali ha poi ricordato che le imprese hanno la necessità di investire nelle nuove tecnologie, «ma nel momento in cui lo faccio mi trovo nella difficoltà di una politica di rialzo dei tassi che non è la sola strada per combattere l’inflazione. Non è rialzando i tassi che si risolve automaticamente il problema. Ci sono altri strumenti. Il rialzo dei tassi incide sugli stimoli a investire da parte dell’impresa. I finanziamenti sono crollati. Auspico che non si vada in recessione, ma questo limita la capacità di crescita e investimenti. Oggi stiamo compiendo un danno che vedremo tra anni», ha aggiunto. Per poi attaccare la tassa sugli extraprofitti delle banche definendola «un prelievo forzoso».
Un assist al governo è invece arrivato sul fronte delle relazioni con la Cina («L’accordo sulla Via della seta in quanto tale, dal punto di vista degli scambi non ha portato nulla») e su quelle delle politiche europee relative alla transizione green. «Le critiche sulla sfida climatica non nascono dal negazionismo o dall’indifferenza ai suoi effetti. La sostenibilità ambientale è ineludibile, ma non può prescindere dalla sostenibilità economica e da quella sociale». Le misure per la transizione climatica, ha aggiunto, sono state prese «senza considerare tutti gli interessi degni di tutela e l’enorme sforzo che lo shock dei prezzi del gas ci avrebbe inflitto». Inoltre, le nuove regolazioni come il Fit for 55 «sono state assunte dalla Commissione Ue senza una dotazione finanziaria comune».





