2023-12-02
Bomba nella sinistra: l’idolo è «maschio tossico»
Leonardo Caffo, pensatore animalista e nemico degli «stereotipi di genere», accusato dalla moglie di violenze. Lui nega tutto e si sfoga: «Giornali e università mi hanno già scaricato. Il femminismo? Così è intolleranza».La vicenda di Leonardo Caffo è probabilmente una delle storie più interessanti e culturalmente più rilevanti degli ultimi anni. Dovrebbe essere utilizzata come caso di studio, poiché si tratta di una sorta di deflagrazione dell’ideologia prevalente, con un’onda d’urto che travolge più livelli. Sì: di tutto questo si dovrebbe discutere sulle riviste e nei dibattiti pubblici, se non fosse che si tratta anche di un angosciante caso giudiziario che devasta non soltanto le vite dei protagonisti, ma pure quella della loro bambina.Dal punto di vista mediatico, l’occasione non potrebbe essere più ghiotta. Caffo, classe 1988, era fino all’altro giorno un intellettuale piuttosto in vista, molto coccolato in alcuni ambienti che contano. Il suo curriculum - nonostante l’età relativamente giovane - è indicativo. Docente al alla Naba di Milano, vincitore di numerosi premi, firma del Corriere della Sera, autore di saggi pubblicati dai principali editori, fra cui Bompiani, Einaudi, collezionista di inviti ai festival. Insomma, uno che ce l’ha fatta a entrare nell’Olimpo dell’intellighenzia. Del resto le sue idee sono particolarmente adatte al pensiero dominante (e, sia detto per inciso e con estrema onestà, chi scrive le giudica decisamente sgradevoli). Caffo, animalista convinto, è un teorico dell’antispecismo, lavora sulla decostruzione delle identità, sullo sgretolamento di quelle che ha definito «classificazioni standard della sessualità». I suoi commenti sono usciti su riviste progressiste come Internazionale, e non c’è dubbio che - se Caffo non fosse al centro del disastro di cui ora diremo - oggi i suoi scritti verrebbero molto citati da quanti invocano lo smantellamento degli stereotipi di genere per contrastare la violenza sulle donne.Ed è esattamente qui che esplode il dramma. Una settimana fa, un titolo del Fatto quotidiano ha inchiodato Caffo alla sua croce: «Il filosofo progressista imputato per “inaudite violenze” alla compagna. Ma la notizia sparisce dall’Ansa. È a processo per percosse e insulti alla compagna». Altrettanto brutale Repubblica: «Con le accuse di maltrattamento aggravato e lesioni nei confronti della sua compagna, il filosofo Leonardo Caffo è sotto processo a Milano davanti a giudici della quinta sezione penale. Il trentacinquenne scrittore e docente universitario dopo la denuncia della donna del luglio 2022 ha ricevuto il mese successivo la misura cautelare l’obbligo di allontanamento dalla casa familiare e di divieto di avvicinamento ai luoghi della persona offesa». All’origine di tutto, un dispaccio dell’Ansa, che però è stato addirittura ritirato.Secondo quanto affermato dalla sua compagna, Caffo la maltrattava fisicamente e verbalmente. Le avrebbe persino rotto un dito, rifiutandosi poi di portarla al pronto soccorso, scegliendo una clinica privata proprio per evitare denunce. Dalle carte giudiziarie spuntano le frasi che le avrebbe scagliato contro: «Non vali nulla, sei una malata psichiatrica, dovresti ucciderti per fare un favore a tutti». E poi schiaffi, lancio di oggetti e tutto l’armamentario del peggior patriarcato.Se il racconto si fermasse qui, ci sarebbero in effetti tutti gli elementi per un cortocircuito clamoroso: il pensatore progressista decostruttore dei generi che si rivela un maschio tossico e violento, un mostro patriarcale. Se si vuole rimanere lucidi, tuttavia, ci sono da aggiungere al mosaico alcune tessere non irrilevanti, ovvero quelle su cui è impressa la versione di Caffo medesimo. Rintracciato al telefono dalla Verità, il filosofo si mostra saldo. «Non voglio e non posso raccontare nei dettagli quello che sta succedendo», ci dice. «Altrimenti non potrei chiedere ad altri di rispettare la mia situazione. Quel che posso dire è che il capo di imputazione citato dai giornali risale a un anno e mezzo fa, e in questo lasso di tempo sono avvenute parecchie cose. C’è un procedimento civile in corso, in cui è stato possibile dimostrare la mia ottima condotta con mia figlia (mentre gli parliamo, Caffo è in attesa che la piccola esca da scuola, ndr). A leggere certi articoli sembra che io sia stato già condannato o che non possa vedere la mia bambina. Per altro, nelle sedi giudiziarie competenti devono essere ancora ascoltati i protagonisti: non sono stato ascoltato io ma non è stata ascoltata neanche la controparte».Caffo ripete di essere totalmente innocente. «Certo che lo sono», ci dice, «sennò non starei nemmeno qui a parlare con lei. E soprattutto non avrei scelto il vaglio dibattimentale. L’ho fatto - certo assumendomi dei rischi - perché io voglio sentirmi dichiarare innocente; voglio che ci siano istituzioni competenti dello Stato a potersi esprimere sulla mia innocenza. Altrimenti avrei scelto altri modi per uscirne più agevolmente. Sto lottando anche come papà per poter avere il diritto di stare con mia figlia, e questo è un tema di cui in questo Paese non si parla per nulla».Qui, come potete intuire, si apre tutto un altro capitolo. Ed è un capitolo ruvido, ostico, in cui l’intellettuale che piccona le identità si trova inchiodato alla propria identità di maschio. Caffo è convinto che la discussione pubblica sui femminicidi si sia in qualche modo torta contro di lui, contribuendo a una mostrificazione mediatica che gli sta demolendo, oltre che la vita privata, anche quella professionale. Non per nulla, ieri ha indirizzato una lettera a vari quotidiani in cui scrive: «Perdere il lavoro, la credibilità umana e professionale davanti a molti, veder bruciato in un attimo il lungo percorso di ricerca di questi anni mi fa pensare che non abbia senso andare avanti».Parlando con La Verità, dichiara che «la violenza di genere è un fatto gravissimo che va assolutamente contestato, combattuto, criticato in tutti i modi, però senza cercare i mostri ovunque». Poi si rabbuia: «A me sembra che i tribunali veri funzionino bene ma che i tribunali mediatici funzionino malissimo, soprattutto quando arriva una preda ghiotta… Sono uscite un sacco di cazzate: sono stato preso come simbolo di non si sa bene cosa, sono stati lesi i diritti di mia figlia, perché si è parlato anche di lei, e poi sui social è iniziata una specie di gogna. Mi hanno fatto perdere tutto il lavoro, sono stato sospeso ovunque».Già, questo è un ulteriore cortocircuito, forse ancora più allucinante. Gli ambienti progressisti che prima coccolavano Caffo, ora sembrano averlo condannato senza appello, e senza processo. La sua università, che sulle prime sembrava esprimere cautela e tolleranza, lo ha di fatto rinnegato. «Io sono un dipendente e non sono appeso ai contratti occasionali», racconta l’interessato. «L’ateneo sostiene che mi tutelerà come lavoratore, ma che ragioni d’opportunità e il risentimento di tanti obbligano a una serie di cautele, dunque è meglio che io non entri in aula. Hanno fatto anche una cosa francamente discutibile: una sorta di processo a cui ovviamente non ero presente. Hanno chiesto agli studenti di esprimere la loro sensibilità sulla mia vicenda, cioè su di me e sulla mia famiglia. Nel frattempo sono stato abbandonato da giornali come Internazionale, che di facciata sono ipergarantisti e poi appena gli conviene ti silurano».Alla vicenda giudiziaria, già dolorosa di per sé, pare essersi aggiunto il carico ideologico: nel momento in cui si discute di violenza di genere, il filosofo accusato (ma ancora non condannato) di violenze diviene impresentabile. E questa constatazione impone a Caffo alcune amare considerazioni. «Se l’unico contributo che ha saputo dare il femminismo è questa intolleranza per cui basta una accusa per mettere in croce qualcuno, beh, non mi sembra che si tratti di qualcosa di buono per la democrazia. C’è gente che dice: “Se lo accusano sarà tutto vero, e se lo assolveranno sarà comunque vero perché si tratta di un maschio…”. E come si può uscire da una cosa del genere? E io sono fortunato, ho una voce, posso provare a difendermi. Ma ci sono centinaia di persone nella mia situazione, anche alcune che si sono suicidate. È questo ciò per cui stiamo lottando? Io sto lottando per mia figlia e sto lottando per un’idea di democrazia: la giustizia farà il suo corso, ma non possono decidere i giornalai, i social network, le persone che pubblicano i meme con la mia faccia da mostro».I processi faranno il loro corso, l’ideologia sta già facendo il suo. E lo spettacolo è piuttosto ripugnante.