2022-06-18
Bocciata la legge per riformare i cda delle quotate
Paolo Savona (Imagoeconomica)
Il dl, targato Luciano D’Alfonso (Pd), si sarebbe infilato nella vicenda Generali. I super tecnici, da Paolo Savona a Piergaetano Marchetti, lo stroncano.Il dibattito sulla corporate governance, ovvero sulle regole per il governo delle società quotate, è tornato sotto i riflettori del mercato durante la battaglia sulle Generali che si è consumata nell’assemblea con la sconfitta di chi l’aveva aperta proprio per cambiare quelle regole a Trieste, ovvero il tandem Caltagirone-Del Vecchio. A ottobre 2021, ovvero quando ancora la sfida non era entrata nel vivo ma era già chiaro che nella futura caccia all’ultimo voto sarebbero stati determinanti anche quelli dei fondi azionisti del Leone, il senatore del Pd nonché presidente della commissione Finanze del Senato, Luciano D’Alfonso, e quello 5 stelle, Emiliano Fenu, hanno proposto un disegno di legge per modificare il Testo unico della finanza, forse ispirati dallo scontro in atto proprio sulle Generali. Il ddl 2433 è «finalizzato a introdurre specifiche regole procedurali e di trasparenza in merito alle ipotesi nelle quali, presso gli emittenti quotati, sia il cda uscente a presentare una propria lista di candidati ai fini del rinnovo dell’organo di gestione». In sostanza, l’idea dei due senatori è quella di limitare la possibilità per le società quotate di presentare la lista del cda. Per esempio chiedendo, per quelle che lo facciano, di considerare comunque come «parti correlate» tutti i fondi con quote del capitale superiori allo 0,5 per cento. Tradotto: se uno o più grandi fondi internazionali avessero più di un duecentesimo del capitale di una società e questa volesse assegnare agli stessi fondi la gestione di un loro portafoglio, tutte le decisioni dovrebbero passare attraverso la procedura assai complessa che regolamenta i rapporti con le parti correlate. La proposta già all’epoca aveva fatto alzare più di un sopracciglio per il rischio di ingessare le aziende: i fondi interessati a fare business con grandi banche e assicurazioni italiane che presentano la lista del cda potrebbero, a quel punto, decidere che il gioco non vale la candela e uscire dall’azionariato. Sul disegno di legge, giovedì scorso, si è tenuto un convegno in Senato con l’obiettivo, ha sottolineato il senatore D’Alfonso aprendo il dibattito, di avere «un confronto preliminare tra tutti i soggetti coinvolti per poter analizzare tutte le criticità della proposta di legge». Il risultato, però è stato che gran parte dei tecnici invitati a intervenire hanno, di fatto, bocciato la proposta facendone emergere nuovi limiti. Piergaetano Marchetti, professore emerito di diritto industriale e commerciale della Bocconi, ha per esempio sottolineato che «l’ordinamento nazionale deve essere competitivo con il sistema europeo, non in senso più permissivo, ma certamente non deve essere limitante per le società, evitando norme che abbiano costi maggiori di quanto richiesto dal diritto europeo». E anche che «se ci fosse stato anche solo un sentore che il voto di lista apra ad un mercato del voto ci sarebbe già stato un intervento normativo in merito». I meccanismi di elezione di un cda «devono essere paragonati a una legge elettorale e, quindi, metaforicamente, non può esistere una legge elettorale perfetta e totalmente priva di difetti», ha poi evidenziato Massimo Belcredi, professore ordinario di Finanza aziendale alla Cattolica di Milano. Un altro intervento critico è stato quello del professor Maurizio Irrera, dell’Università di Torino, che ha spiegato che la priorità deve essere quella di garantire la contendibilità della maggioranza del consiglio, anche ai soci che intendono presentare liste alternative. Per Mario Stella Richter, ordinario di Diritto commerciale dell’Università Tor Vergata di Roma, la presentazione di liste dai cda uscenti «favorisce la competenza, poiché il consiglio lo fa per curare un interesse altrui, mentre i soci lo fanno seguendo prerogative personali». Ancor più netto Marco Ventoruzzo, ordinario di Diritto commerciale alla Bocconi: «Ci sono dubbi sulla sussistenza delle ragioni per un intervento di questo tipo e ancor più sul merito di molte delle previsioni caratterizzanti il testo in esame» ha detto. Per Marco Maugeri, ordinario di diritto commerciale all’Università degli Studi Europea di Roma, «questo disegno di legge non garantisce un’adeguata autonomia statutaria» e per Giuliana Scognamiglio, docente a La Sapienza di Roma, bisogna «evitare di creare un risultato che aumenti ulteriormente la complessità e la confusione normativa». Al convegno di giovedì ha partecipato anche il presidente della Consob, Paolo Savona, che ha dato un numero interessante: 49 società quotate in Piazza Affari, quindi circa un quarto del totale, ha inserito nel proprio statuto la possibilità che il cda uscente presenti una lista di candidati per il rinnovo. Ma la lista del cda è stata utilizzata solo da 20 quotate in cinque stagioni assembleari.