2020-05-10
Boccia mistifica i numeri contro le aziende
Il ministro sostiene che sul luogo di lavoro si contagino 300 persone al dì e ne muoiano 10. I dati Inail sono 10 volte più bassi e includono medici, infermieri e sanitari che valgono l'88% del totale. Un modo per prolungare il lockdown e chiedere più Stato.Attenzione a maneggiare i numeri, si rischia di strumentalizzarli e di criminalizzare delle categorie. Il riferimento non è generico, ma si riferisce all'intervista rilasciata dal ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia, al Corriere della Sera. Nel testo e nel titolo si spiega che nei luoghi di lavoro si assiste a circa 300 contagi e a 10 morti al giorno. Falso. Venerdì sera l'Inail ha diffuso le statistiche relative ai lavoratori infetti da Covid-19 e anche quelle sui deceduti. Sono dal 24 febbraio al 4 maggio 37.000 contagiati e i deceduti 129. Premessa: il decreto Cura Italia prevede che tutti i lavoratori affetti da Covid-19 diventino automaticamente casi di incidenti sul luogo di lavoro. Non c'è alcuna base scientifica sottostante, è solo perché qualcuno doveva pur pagarli e la scelta logica è ricaduta sull'Inail. Lo stesso discorso vale per chi non è riuscito a sopravvivere alla malattia. Nella rilevazione precedente (diffusa il 30 aprile e riferita al 21), il numero complessivo dei contagiati era di 28.000 unità, mentre i morti 98. Quindi Boccia sbaglia i calcoli. I morti sono 2 al giorno, almeno se prendiamo il riferimento delle ultime settimane e sono 1,5 nel lasso di tempo complessivo della rilevazione Istat. Ma la cosa ancor più grave è che il ministro omette un dettaglio fondamentale. L'Inail - per dovere di legge - include nel dato anche tutti coloro che si sono ammalati lavorando in ospedale, nelle case di cura e nelle Rsa. Anzi, per essere precisi, se togliamo dall'elenco i medici, gli infermieri, i fisioterapisti, gli operatori sociosanitari e socio assistenziali, il numero di infetti da Covid scende a 4.400 unità. Equiparare un ospedale a una fabbrica è un atteggiamento che ci pare un insulto nei confronti delle migliaia di imprenditori che negli ultimi due mesi si sono dati da fare per tenere in piedi la baracca Italia. «Non voglio fare alcuna polemica con il ministro», spiega alla Verità, Enrico Carraro, presidente di Confindustria Veneto, «ma certe posizioni mi amareggiano. Ci siamo tutti attivati per mettere in sicurezza l'intera linea produttiva, la filiera non solo fornendo mascherine, ma anche riorganizzando i modelli lavorativi, e posso garantire che le fabbriche sono luoghi di sicurezza e non certo di infezione. Cito un solo dato. Dall'inizio della crisi, lo Spisal, servizio prevenzione igiene, ha svolto circa 5.000 controlli con rilievi solo nell'1% dei casi. Ed erano tutte cose da poco», conclude Carraro ricordando a Boccia che quando vuole può andare in fabbrica a vedere di persona lo stato delle cose. Dello stesso parere anche Luigi Scordamaglia , consigliere delegato di Filiera Italia e quindi rappresentante di imprenditori che non hanno smesso di lavorare nemmeno nei giorni di lockdown totale. «L'industria alimentare non si è mai fermata, e ha adottato sin da subito protocolli rigidi per coniugare tutela del lavoratore e prosieguo dell'attività per garantire cibo ai cittadini», commenta Scordamaglia. «Il risultato è stato che l'incidenza dei positivi tra i lavoratori della stragrande maggioranza delle industrie alimentari è stata inferiore a quella della popolazione generale delle province in cui le industrie si trovano. Venire a lavorare, cioè, nel rispetto di rigide regole, ha fatto ammalare meno: questo dicono i numeri». Il resto sa di mosse politiche, utili forse a sostenere la necessità del lockdown per evitare che il governo (sempre più nel caos) affronti la ripartenza. O, peggio: criminalizzare gli imprenditori può aiutare le tendenze stataliste in atto e questo fa venire i brividi.D'altronde abbiamo visto come è stata affrontata l'emergenza a fine febbraio. E se vogliamo entrare nei dettagli, gli operatori sanitari sono stati lasciati soli e senza idonei strumenti di difesa. Mascherine assenti, solo per fare un esempio. Dunque Boccia dovrebbe puntare il dito su sé stesso in quanto rappresentante del governo, e sul suo collega titolare della Salute. Omettiamo il ruolo del commissario straordinario Domenico Arcuri, convinto come nella vecchia Urss che basti scrivere su un foglio un prezzo di Stato per far sì che magicamente le maschere appaiano nelle farmacie o sulle piattaforme di ecommerce. Se Boccia non ritiene necessario fare ammenda dei danni che il governo Conte sta facendo al Paese, non sta a noi chiederglielo. Ma non dovrebbe fare mistificazione sui numeri per far intendere che le fabbriche e i luoghi di lavoro siano dei posti in cui ci si infetta. Lasciando intendere che solo lo Stato ci salva dalla pandemia. Non è infatti la prima volta che gira la frittata in tale direzione. Anche quando ha definito «da valutare» la proposta del collega Andrea Orlando di far entrare lo Stato dentro le aziende. Fondi in cambio di scelte strategiche. È una strada inaccettabile. «La burocrazia di questo Paese, che non ha smesso di fare danni neanche durante il Covid, è già abbastanza dannosa quando sta fuori dalle aziende immaginiamola all'interno. Se per ricevere aiuti diretti si fosse obbligati a portare una burocrazia pubblica spesso antindustriale all'interno dell'azienda, è meglio rinunciare», commenta Scordamaglia. Meglio che lo Stato sia lontano, dalle aziende: meno danni. Meglio che non si pensi a prolungare il lockdown per dare ossigeno al governo Conte: sarebbe un atto di cui rispondere davanti alla Costituzione.