2022-08-29
Giovanni Toti: «Bisogna uscire dalla retorica delle rinnovabili»
Giovanni Toti (Getty Images)
Il governatore ligure: «Imprese schiacciate fra prezzi stellari e burocrazia. Un esecutivo in carica c’è, facciamo proposte».Giovanni Toti, governatore della Liguria: ancora si parla di sospendere la campagna elettorale, come propone Carlo Calenda, per trovare soluzioni rapide al caro energia. Possibile? «Mi sembra quasi una trovata pubblicitaria, ma senza nessun prodotto da vendere. È come quando stai perdendo la partita e vuoi scappare col pallone, e magari sei pronto a contestare il risultato per impraticabilità del campo. Calenda, che si professa macroniano, dovrebbe sapere che in Francia si è svolta tranquillamente un’elezione presidenziale mentre in Ucraina cadevano le bombe. Ma nessuno si è sognato di chiedere l’interruzione della campagna elettorale». Però una soluzione all’esplosione delle bollette va trovata al più presto. «Se i partiti si accordassero per dare un appoggio forte al governo al fine di trovare soluzioni, questo sarebbe certamente un segnale di maturità. Non è detto si debba fare propaganda politica su tutto». Quali sarebbero queste soluzioni?«Si facciano delle proposte, perché un governo in carica lo abbiamo. Se queste proposte arrivano, i partiti si muovano per realizzare, convertendo eventualmente i relativi decreti, o affidando pieni poteri al governo per trattare in Europa. Tra sospendere la campagna elettorale, e andare in giro a promettere con il megafono bollette gratis per tutti, tipo superenalotto, voglio sperare ci sia una civile via di mezzo…». La sua proposta?«Usiamo i fondi europei già stanziati. Durante la prima ondata covid, la direttiva Von der Leyen autorizzò i governi nazionali, per il tramite delle regioni, a riprogrammare i fondi europei dedicati alle imprese. Quella direttiva cambiò la destinazione originaria, dirottando quei soldi per risarcire le aziende colpite dai lockdown». Vorrebbe replicare oggi?«Visto che in queste ore stiamo discutendo - anche a livello regionale - la destinazione di tutti i fondi europei (si parla di diversi miliardi) perché non impiegare questi soldi per sostegno alle imprese colpite dal caro energia? Sarebbe una mossa già prevista a bilancio, dunque non graverebbe sulla contabilità nazionale, né su quella europea». Ma servirebbe comunque una direttiva europea?«Serve certamente un accordo. Ma nulla vieta, come facemmo per il covid, di prendere quei fondi, che oggi sono intonsi, e dedicarli ad esempio all’abbattimento dei costi in bolletta, o alla riconversione a gasolio delle caldaie a gas, che già per le piccole aziende artigiane vorrebbe dire risparmiare centinaia di euro ogni mese». Il punto è che i Paesi europei non si accordano: ci sono interessi in conflitto. «Ma in questo caso si tratta di soldi già nostri. Già a disposizione dell’Italia. Dunque sarebbe una decisione meno destabilizzante. È vero che l’Europa ha riservato quei soldi per obiettivi prioritari, tipo la digitalizzazione, ma primum vivere: se l’impresa muore perché non riesce a pagare le bollette, cosa digitalizzi?» Oltre a questo, occorre rivedere le politiche green? «Dobbiamo uscire dall’insopportabile retorica delle rinnovabili. Non solo le imprese pagano il gas a prezzi stellari, ma sborsano fior di quattrini per i certificati verdi sull’emissione di Co2: queste cose vanno superate. E poi, se vogliamo arrivare a una decente produzione di rinnovabili in un tempo ragionevolmente corto, bisogna una buona volta disboscare la burocrazia dei permessi ambientali, e accelerare i processi autorizzativi, anche paesaggistici. Tutti parlano di burocrazia asfissiante, poi però quando propongo di togliere il parere vincolante delle soprintendenze, nessuno ha il coraggio di procedere. Si tratta di avere cultura di governo, e decidere». E’ fattibile uno scostamento di bilancio per mitigare le bollette? «I partiti potrebbero autorizzare il governo a uno scostamento, ma attenzione: la coperta resta la stessa. Dobbiamo essere consapevoli che i soldi per abbassare la bolletta non potremo investirli nella riforma del fisco, o negli aiuti per i mutui promessi dal Pd. Perché prima o poi l’Europa ci richiamerà all’ordine. E se le Banche centrali alzano i tassi per contrastare l’inflazione, si rischia di entrare in un circolo vizioso: facciamo debito sapendo che poi quel debito ci costerà di più?»Letta accusa il centrodestra di trascinare il Paese alla bancarotta con promesse irrealizzabili.«Non può puntare il dito. Il partito della spesa pubblica e della mancata tenuta degli equilibri di bilancio è proprio il Pd, dal momento che sta promettendo agli elettori qualsiasi follia. A differenza del centrodestra, la sinistra si incarta su tutto: sulla ricerca dell’indipendenza energetica, sui rigassificatori, sulla flessibilità del mercato del lavoro. Da quella parte arrivano solo idee stravaganti su ambiente e giovani, in una coalizione che strutturalmente, con la sinistra estrema, non riuscirà a far partire investimenti e grandi e opere. La mia regione Liguria lo dimostra: hanno bloccato tutto per anni». Avverte il rischio di una scommessa finanziaria al ribasso contro l’Italia? «Non stupisce che i fondi speculativi scommettano contro l’Italia, essendo questo Paese totalmente dipendente dall’estero per l’energia e avendo a che fare con un Pnrr che evidentemente necessità di aggiustamenti . Servono nervi saldi, tranquillità, e un po’ di quel whatever it takes che Draghi ha ripetuto dal Meeting di Rimini».A cosa si riferisce?«Con qualsiasi governo, ha detto Draghi, l’Italia ce la farà. Non è molto diverso dal famoso “bazooka” di 10 anni fa. Se Draghi, che conosce i mercati internazionali, ha pronunciato quelle parole, è proprio per evitare che qualcuno possa speculare sull’incertezza politica».È lo sdoganamento draghiano del centrodestra al governo?«È lo sdoganamento di chiunque vada a Palazzo Chigi. È un modo serio di ricordare che le dinamiche elettorali non possono essere usate per speculare al ribasso sul nostro futuro. È una lezione di maturità. Mi aspetto che questo concetto venga compreso dalle forze politiche. Può vincere la sinistra, la destra o il centro, ma l’Italia ce la farà». E l’agenda Draghi?«Non esiste l’agenda Draghi, meno che mai come patrimonio di qualcuno in particolare. Semmai esiste un metodo Draghi, che però è snobbato proprio da quelli che il premier se lo vogliono intestare». Cosa intende?«Oggi Enrico Letta dipinge una campagna elettorale “rosso contro nero”, “se vince la Meloni arrivano le cavallette”. Questo non è il metodo Draghi. Il premier da Rimini ha detto in sostanza che votare non significa scegliere tra il partito della salvezza e il partito della fine del mondo. Il voto è un appuntamento democratico fisiologico che va affrontato pensando al bene del Paese». Si aspetta che Giorgia Meloni vada a Palazzo Chigi?«A meno che un’intera generazione di sondaggisti non debba cambiare mestiere, verosimilmente il primo partito sarà Fratelli d’Italia. Se Giorgia Meloni non andasse a Palazzo Chigi, sarebbe uno sgarro intollerabile alla Costituzione formale e materiale. L’importante è che il governo futuro - qualunque sia - abbia la capacità effettiva di amministrare il Paese: serve cultura di governo, rapporti internazionali, coinvolgimento dei corpi intermedi e delle imprese. Insomma, dal 26 settembre sapremo se il centrodestra ha saputo mettersi al passo con i tempi, anche rinunciando a certe velleità». Lei è uno dei leader di «Noi moderati», la gamba centrista del centrodestra. Come potete essere pro-Draghi e pro-Meloni nello stesso tempo?«Essere moderato vuol dire avere il senso della realtà. Io avrei preferito proseguire con il governo Draghi, ma non possiamo continuare a commentare una partita già chiusa. Se i moderati vogliono avere voce in capitolo, devono misurarsi con un sistema politico che prevede alleanze. E io non posso certo stare con il centrosinistra di Fratoianni e Bonelli, che blocca le infrastrutture che non vuole riformare il mercato del lavoro».E il terzo polo di Renzi e Calenda?«Gli amici del terzo polo vanno in tv a parlare di coerenza dopo aver cambiato quattro alleanze in tre giorni. Stanno in cima alla montagna a spruzzare acqua santa dall’ombelico, credendosi duri e puri». Il sito Dagospia scrive che Draghi sarebbe il miglior garante per Giorgia Meloni di fronte alla comunità politica e finanziaria internazionale: «D’altro canto, Draghi ha bisogno di Meloni per salire al Quirinale nel 2023…».«Mi sembra un po’ fantapolitica, ma se Draghi andasse al Quirinale dopo Mattarella ne sarei felice, perché infonderebbe serietà e stabilità al sistema. In ogni caso, anche da autorevole privato cittadino, Draghi sarà leale all’Italia e al suo governo, chiunque sia al timone dopo di lui».
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