2022-05-22
Berlusconi prova a ricompattare i suoi. Salvini attacca dem e pentastellati
Mariastella Gelmini (Imagoeconomica)
Continua la frizione tra ministri e partiti. Luigi Di Maio sempre più vicino al premier, mentre in Forza Italia è tutti contro tutti.Mario Draghi non vuole fondare partiti, vuole avere il potere di farli fallire: parafrasando la famosa frase di Jep Gambardella, protagonista de La grande bellezza, otteniamo il quadro preciso della situazione politica italiana a un anno esatto (salvo imprevisti) dalle elezioni politiche. Lo scollamento tra i ministri del governo e i rispettivi partiti, di cui abbiamo parlato ieri, trova ulteriore riscontro nella cronaca politica delle ultime ore, che fanno registrare una svolta nell’atteggiamento del nostro ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, sulla guerra in Ucraina: «La priorità assoluta», dice Di Maio alla Verità, «è mettere fine alle ostilità, ma allo stesso tempo è essenziale programmare già la fase post bellica. Ecco perché abbiamo elaborato, in stretto coordinamento con Chigi, un piano italiano per la pace. Lavoriamo per step e il gruppo di facilitazione internazionale deve aiutare ad arrivare a una tregua sul terreno. È un punto di partenza, ma bisogna iniziare a parlare concretamente di pace. Abbiamo detto in diverse occasioni», aggiunge Di Maio, il cui piano per la pace presentato all’Onu ieri è stato oggetto di un articolo del Wall Street Journal, «che adesso serve una controffensiva diplomatica e dobbiamo agire seguendo questa strada. È importante portare avanti iniziative collegiali e non isolate. L’Italia vuole la pace, l’Italia non ha mai smesso di credere e di lavorare per la pace». Ben venga la svolta di Di Maio, ma quelle parole, «in stretto coordinamento con Chigi», sono un messaggio lanciato alla maggioranza e pure a Giuseppe Conte, che anche ieri, dalle colonne del quotidiano spagnolo El Pais, è tornato a far fibrillare il governo: «Dopo tre invii di armi», ribadisce Conte, «possiamo dire che l’Italia anche su questo fronte ha fornito il suo contributo. Altri Paesi peraltro stanno continuando ad armare in abbondanza l’Ucraina. Dopo tre mesi di guerra, l’Italia deve caratterizzarsi per una svolta diplomatica intensa e decisa», aggiunge Conte, «coinvolgendo gli altri Paesi dell’Unione Europea». Non è un mistero che Giuseppi non veda l’ora di sfilarsi dalla maggioranza, non è un mistero neanche che non possa farlo perché i ministri pentastellati, a partire proprio da Di Maio, non lo seguirebbero. Il vicepresidente del M5s Mario Turco, fedelissimo di Conte, non esclude un cambio del simbolo pentastellato, con l’inserimento del nome del leader. E, alla domanda se Conte si voglia sfilare, persino l’ex ministro e deputato M5s Vincenzo Spadafora risponde: «A volte ho questa sensazione, non lo posso negare». Draghi, invece, non farà l’errore dell’altro Mario, inteso come Monti: non fonderà un partito, ma semplicemente, nel caso in cui non gli venga proposto un alto incarico internazionale, aspetterà sulla riva del Tevere che dopo le elezioni il caos che si sta già producendo nei partiti si traduca in una invocazione per il suo ritorno a Palazzo Chigi. Caos totale, se una ex fedelissima di Silvio Berlusconi, il ministro degli Affari regionali Mariastella Gelmini, prova (invano) a rovinare la festa napoletana di Forza Italia per il ritorno in campo del Cav: «L’Italia», azzanna la Gelmini, «non può essere il ventre molle dell’Occidente e soprattutto non può diventarlo per responsabilità di Forza Italia: le parole di Berlusconi purtroppo non smentiscono le nostre ambiguità. Spero che dal palco di Napoli, emerga una netta presa di posizione a favore di Ucraina, Unione europea, Nato e Occidente. Oggi più che ascoltare le parole di Putin» aggiunge la Gelmini, «occorre ascoltare il grido di dolore dell’Ucraina». Un attacco senza precedenti, con parole che sembrano dettate da Palazzo Chigi, tanto ricalcano la linea di Draghi: se è vero che la Gelmini non ha digerito la nomina di Licia Ronzulli a commissario del partito in Lombardia, è vero pure che, se non si sentisse le spalle coperte dal premier, la Gelmini difficilmente avrebbe attaccato così pesantemente Berlusconi. Così come è sempre Draghi a dare forza alla battaglia interna al partito degli altri due ministri di Fi, Mara Carfagna e Renato Brunetta, entrambi ormai in aspra contrapposizione con i vertici di Forza Italia, Antonio Tajani e la Ronzulli.Lo stesso Berlusconi, nel corso del suo intervento conclusivo della convention nazionale di Forza Italia, dopo aver ribadito la sua fede nell’Occidente, non ha nascosto una certa insofferenza per il «metodo Draghi», basato sulla costante minaccia di mollare tutto ogni volta che un partito di maggioranza manifesta dubbi su qualche provvedimento, in particolare se legato al Pnrr, come accaduto per il ddl concorrenza e la problematica dei balneari: «Questa al governo è una maggioranza composita», sottolinea Berlusconi, «lo sappiamo, una maggioranza in qualche modo innaturale, ma necessaria per fronteggiare l’emergenza. È una maggioranza della quale fanno parte forze politiche con le quali torneremo presto a confrontarci da avversari».A proposito di avversari, Matteo Salvini tenta di scaricare sugli alleati pro tempore la responsabilità di far fibrillare la maggioranza: «Mi sembra», argomenta Salvini, «che se c’è qualcuno che mette a rischio il buon lavoro della maggioranza del governo sono il Pd con la legge Zan e la legge elettorale e quelli del M5s con i loro assurdi no ai termovalorizzatori. Sono preoccupato per queste due cose per la vita del governo». In realtà, lo stesso Salvini, fosse per lui, si sfilerebbe dalla maggioranza domani mattina, ma deve fare i conti con i suoi ministri, draghiani doc, a partire da Giancarlo Giorgetti. Chi può dire e fare quello che vuole senza temere scissioni è Matteo Renzi, che ieri ha partecipato alla scuola politica della Lega a Milano. Il motivo è semplice: il suo partito è lui.
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco