2019-03-08
Paolo Barletta, Ceo Arsenale S.p.a. (Ansa)
Accordo da oltre 70 milioni di euro per la realizzazione del progetto ferroviario «Dream of the Desert». Il modello pubblico-privato valorizza la filiera industriale del Paese e punta all’avvio operativo nel 2026.
Arsenale e Simest (Cdp) hanno chiuso un accordo per finanziare «Dream of the Desert», progetto che porta il gruppo industriale italiano nel settore dei viaggi di lusso in Arabia Saudita. Inoltre, la struttura supera i 70 milioni di euro: 37 milioni di investimento equity congiunto Arsenale-Simest e 35 milioni di finanziamento del Tourism Development Fund saudita. L’accordo si innesta sull’intesa già siglata con Saudi Arabia Railways per l’utilizzo della rete ferroviaria nazionale.
Il contributo di Simest è pari a 15 milioni e passa dalla Sezione Infrastrutture del Fondo 394/81, plafond in convenzione con il ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, dedicato alle imprese italiane impegnate in grandi commesse estere che valorizzano la filiera nazionale. In termini di struttura, il capitale sociale congiunto copre la componente di rischio industriale, mentre la componente del fondo saudita sostiene la rampa di avvio del progetto, riducendo il fabbisogno di capitale a carico dei partner italiani e rafforzando la bancabilità dell’iniziativa nel Paese ospitante, presentata come modello pubblico-privato nel segmento ferroviario di lusso.
L’intesa è inserita nella collaborazione Italia-Arabia Saudita, richiamando l’apertura della sede Simest a Riyadh e il Memorandum of Understanding tra Cdp, Simest e Jiacc. «Dream of the Desert» è indicato come progetto apripista di un modello pubblico-privato nel trasporto ferroviario di lusso.
«Dream of the Desert è un progetto simbolo per il nostro gruppo e per l’industria ferroviaria internazionale. Valorizza le Pmi italiane e costituisce un caso apripista di partnership pubblico-privata nel settore ferroviario di lusso. L’accordo siglato con Simest e le istituzioni saudite conferma come la collaborazione tra imprese e istituzioni possa creare valore duraturo e promuovere le eccellenze italiane nel mondo», commenta Paolo Barletta, amministratore delegato di Arsenale.
Regina Corradini D’Arienzo, amministratore delegato di Simest, aggiunge: «L’intesa sottoscritta con un primario attore industriale come Arsenale per la realizzazione di un progetto strategico per il Made in Italy, conferma il rafforzamento del ruolo di Simest a sostegno del tessuto produttivo italiano e delle sue filiere. Attraverso la prima operazione realizzata nell’ambito del Plafond di equity del fondo pubblico di Investimenti infrastrutturali», continua la numero uno del gruppo, «Simest interviene direttamente come socio per accrescere la competitività delle nostre imprese impegnate in progetti infrastrutturali ad alto valore aggiunto, favorendo al contempo l’espansione del Made in Italy in mercati strategici ad elevato potenziale di crescita, come quello saudita. Lo strumento, sviluppato da Simest sotto la regia del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e in collaborazione con Cassa depositi e prestiti, si inserisce pienamente nell’azione del Sistema Italia, che, sotto la regia della Farnesina, vede il coinvolgimento di Cdp, Simest, Ice e Sace. Un approccio integrato volto a garantire alle imprese italiane un supporto strutturato e complementare, dall’azione istituzionale a quella finanziaria, per affrontare con efficacia le principali sfide della competitività internazionale».
Sul piano industriale, Arsenale dichiara un treno interamente progettato, prodotto e allestito in Italia: gli hub Cpl (Brindisi) e Standgreen (Bergamo) operano con Cantieri ferroviari italiani (Cfi) come general contractor, coordinando una rete di Pmi (design, meccanica avanzata, ingegneria, lusso e hospitality). Per il committente estero, questa configurazione «turnkey (chiavi in mano, ndr.)» concentra in un unico soggetto il coordinamento di produzione, integrazione e allestimento; per l’ecosistema italiano, sposta volumi e valore aggiunto lungo la catena domestica, fino alla finitura degli interni ad alto contenuto di design.
Il prodotto sarà un treno di ultra lusso con itinerari da uno a due notti: partenza da Riyadh e collegamenti verso destinazioni iconiche del Regno, tra cui Alula (sito Unesco) e Hail, fino al confine con la Giordania. Gli interni sono firmati dall’architetto e interior designer Aline Asmar d’Amman, fondatore dello studio Culture in Architecture. La prima carrozza è stata consegnata a settembre 2025; l’avvio operativo è previsto per fine 2026, con prenotazioni aperte da novembre 2025.
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Matteo Hallissey (Ansa)
Un flash mob pro Ucraina all’università Federico II di Napoli finisce tra urla e spintoni. Tutto previsto dal leader Hallissey, che poi denuncia violenze e censure. Una brutta pagina dopo lo scandalo tessere.
Matteo Hallissey, fino all’altro ieri, aveva la fortuna di essere un perfetto sconosciuto. Presidente dei Radicali italiani e +Europa, 22 anni, da qualche ora è diventato finalmente famoso: merito di un’azione che possiamo tranquillamente definire di purissima provocazione, messa in atto (o meglio in scena, perché di sceneggiata si tratta) a Napoli, nelle aule del dipartimento di filosofia dell’università Federico II. Qui si è svolta una delle tappe della serie di incontri dal titolo «Russofilia, Russofobia, Verità», con la partecipazione dello storico Angelo D’Orsi e dell’ex parlamentare Alessandro Di Battista, organizzata dalla sede partenopea dell’Anpi. Al termine dell’incontro, scatta la provocazione: alcuni giovani presenti, che indossano una maglietta con i colori dell’Ucraina, inscenano un flash mob, ovvero una manifestazione di poche persone. Un video racconta la sceneggiata: Hallissey inizia a urlare contro D’Orsi, chiedendogli «che ci faceva in Russia, che ci faceva con la propaganda del Cremilno!». È il caos: alcuni dei presenti cadono nella trappola e spintonano Hallisey, che non aspettava altro, invitandolo ad allontanarsi (si sente un perentorio «vattenn!», ovvero vattene). Nulla di più di un paio di spinte, come chiunque può facilmente verificare dal video pubblicato tra l’altro dallo stesso Hallissey, che alterna le immagini con i suoi commenti all’accaduto, gesticolando come ormai usano fare tanti esponenti politici.
Il video è accompagnato da un post: «Abbiamo messo in atto», scrive l’ex perfetto sconosciuto Hallisey, «un flash mob pacifico pro Ucraina all’interno di un convegno filorusso organizzato dall’Anpi all’università Federico II di Napoli. Dopo aver atteso il termine dell’evento con Alessandro Di Battista e il professor D’Orsi e al momento delle domande, decine di studenti e attivisti pro Ucraina di +Europa, Ora!, Radicali, Liberi Oltre, Azione e della comunità ucraina hanno mostrato maglie e bandiere ucraine. È vergognoso che non ci sia stata data la possibilità di fare domande e che l’attivista che stava interloquendo con i relatori sia stato aggredito e spinto da un rappresentante dell’Anpi fino a rompere il microfono. Anch’io sono stato aggredito violentemente», aggiunge il giovane radicale, «mentre provavo a fare una domanda a D’Orsi sulla sua partecipazione alla sfilata di gala di Russia Today a Mosca due mesi fa. Chi rivendica la storia antifascista e partigiana non può non condannare queste azioni di fronte a una manifestazione pacifica».
Rivedendo più volte il video al Var, di aggressioni non ne abbiamo viste, a parte come detto qualche spinta, ma va detto pure che quando Hallissey scrive «mentre provavo a fare una domanda a D’Orsi», omette di precisare che quella domanda è stata posta al professore, ma in maniera tutt’altro che pacata: le urla del buon Matteo sono scolpite nel video da lui stesso, ripetiamo, pubblicato. Per quel che riguarda la rottura del microfono, le immagini, viste e riviste non chiariscono se il fallo c’è o no: si vede un giovane attivista che contende un microfono a D’Orsi, ma i frame non permettono di accertare se alla fine si sia rotto o sia rimasto intero.
Quello che è certo è che ieri sono piovuti nelle redazioni i soliti comunicati di solidarietà, non solo da parte di Azione, degli stessi Radicali e di Benedetto Della Vedova, ma anche del capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami, che su X ha vergato un severo post: «Solidarietà a Matteo Hallissey, presidente dei Radicali italiani», ha scritto Bignami, «aggredito a un evento Anpi per aver provato a porre domande in un flash mob pacifico. Da chi ogni giorno impartisce lezioni di democrazia ma reagisce con violenza, non accettiamo lezioni». Non si comprende, come abbiamo detto, dove sia la violenza, perché per una volta bisogna pur mettere da parte il politically correct e l’ipocrisia dilagante e dire le cose come stanno: dal video emerge in maniera cristallina la natura provocatoria del flash mob pro Ucraina, e da quelle urla e da quegli atteggiamenti, per noi che abbiamo purtroppo l’abitudine a pensar male, anche se si fa peccato, fa capolino pure che magari l’obiettivo era proprio quello di scatenare una reazione violenta da parte dei partecipanti al convegno.
Non lo sapremo mai: quello che sappiamo è che i Radicali, sigla che nella politica italiana ha avuto un ruolo di primissimo piano per tante battaglie condotte in primis dal compianto Marco Pannella, sono ormai ridotti a praticare forme di puro macchiettismo politico, pur di ottenere un po’ di visibilità: ricorderete lo show di Riccardo Magi, deputato di +Europa, che vaga nell’aula di Montecitorio vestito da fantasma. A proposito di Magi: il congresso che lo scorso febbraio ha rieletto segretario di +Europa il deputato fantasma è stato caratterizzato da innumerevoli polemiche e altrettante ombre. Poche ore prima della chiusura del tesseramento, il 31 dicembre, dalla provincia di Napoli, in particolare da Giugliano e Afragola, arrivano la bellezza di 1.900 nuovi iscritti, praticamente un terzo dell’intera platea di tesserati, iscritti che poi si traducono in delegati che eleggono i vertici del partito. Una conversione di massa alla causa radicale degli abitanti di questi due popolosi comuni del Napoletano in sostanza stravolge gli equilibri congressuali. Tra accuse e controaccuse, un giovanissimo militante, alla fine dello stesso congresso, sconfigge nella corsa alla presidenza di +Europa uno storico esponente del partito come Benedetto Della Vedova. Si tratta proprio di Matteo Hallissey.
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Fabrizio Corona (Ansa)
L’ex agente fotografico, sentito dai pm, annuncia le prime denunce per il conduttore che avrebbe chiesto sesso agli aspiranti famosi.
La denuncia c’è e anche il fascicolo. Ma se l’obiettivo era chiudere la bocca a Fabrizio Corona, il rischio concreto è di avergli consegnato un megafono. Perché la mossa di Alfonso Signorini, direttore editoriale del settimanale Chi e conduttore del Grande Fratello, ovvero la querela per revenge porn presentata dopo che una decina di giorni fa Corona lo ha accusato di aver portato avanti per anni un «sistema» di presunti favori sessuali richiesti a partecipanti del reality (anche nella versione Vip), rischia di trasformarsi in un boomerang giudiziario e mediatico, con un effetto domino che da ieri non dipende più solo dall’ex «re dei paparazzi», ma anche dal Codacons che con un esposto ha chiesto di indagare.
Il punto di partenza è l’iscrizione sul registro degli indagati di Corona, che ha consentito agli inquirenti di sequestrare foto, video e chat. Nella sua nuova versione da youtuber conduttore di Falsissimo, Corona, ieri, davanti ai pm di Milano ha riempito un verbale e poi si è presentato davanti a telecamere, fotografi e cronisti: «Ho parlato del “sistema Signorini”», ha esordito. Poi ha precisato: «Tre minuti ho parlato del revenge porn e un’ora dei reati (presunti, ndr) commessi da Signorini, ma anche di tutti i suoi giri e di tutte le sue amicizie. Ho più di 100 testimonianze, ho fatto i nomi ai pm e sono già pronte due denunce contro di lui». Una di Antonio Medugno, ex concorrente del Gf Vip, edizione 2021-2022, intervistato nella seconda puntata de «Il prezzo del successo» su Falsissimo. «Anche un altro è pronto a farlo», ha annunciato Corona. Poi ha alzato i toni: «Se prendono il cellulare a Signorini trovano Sodoma e Gomorra». E ha sfidato la Procura: «Se dopo la querela non vanno a fargli una perquisizione io mi lego qua davanti al tribunale».
Corona ha precisato che la sua «non è» una «vendetta». Ma l’innesco è personale: «Dopo che gli ho visto presentare il suo ultimo libro ho detto «ci vuole un bel coraggio» e ho cominciato a fare telefonate e ho recuperato questo materiale, ne ho un sacco, ho delle fotografie sue clamorose».
Il «sistema», dice, lo ha messo nero su bianco nell’interrogatorio richiesto da lui stesso, assistito dall’avvocato Cristina Morrone dello studio legale di Ivano Chiesa. L’obiettivo dichiarato è ribaltare il tavolo e trasformare l’ennesima inchiesta a suo carico in quello che lui definisce il «Me too italiano». «Il problema», ha detto Corona, «è che lui ricopre un ruolo così importante e con quel ruolo non puoi cercare di adescare e proporre l’ingresso in un programma televisivo, che deve passare per dei casting, ci sono delle regole. Pagherà per quello che fa».
Corona, in sostanza, durante il suo interrogatorio, ha cercato di spostare l’attenzione dalle modalità con cui foto e chat sono state mostrate, su ciò che quelle chat potrebbero raccontare. Nel frattempo il fronte si è allargato: il Codacons, insieme all’Associazione utenti dei servizi radiotelevisivi, ha fatto sapere di aver depositato un esposto ai pm milanesi, all’Agcom e al Garante per la privacy.
Ora tocca alle autorità decidere, o meno, se entrare nel backstage mediatico.
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2025-12-24
Grillo jr e la condanna per stupro di gruppo. Uscite le motivazioni: «Vittima attendibile»
Ansa
Pur senza prove inconfutabili la ragazza è stata ritenuta non consenziente. E a Ciro & C. sono state inflitte pene fino a 8 anni.
Sembra che i giudici di Tempio Pausania abbiano già recepito la riforma dell’articolo 609 bis del codice penale, quello che punisce la violenza sessuale e introduce il concetto del «consenso libero e attuale». In assenza è violenza. Stando al testo approvato alla Camera e che, al momento, è fermo al Senato (sono stati richiesti approfondimenti), non servirà più dimostrare la forza o la minaccia, durante un rapporto sessuale basterà l’assenza di una volontà chiara, presente e consapevole. E il processo a Ciro Grillo e compagni pare offrire uno spaccato del processo che verrà (anche se la norma non può essere retroattiva).
«Posizione centrale nell’ambito della ricostruzione accusatoria, come è inevitabile con riguardo a tali fattispecie di reato, rivestono le dichiarazioni della persona offesa». Il Collegio sardo lo scrive senza giri di parole. La condanna a 8 anni di reclusione per Grillo junior, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria, e a 6 anni e 6 mesi per Francesco Corsiglia, per l’accusa di violenza sessuale di gruppo che si sarebbe consumata nella villetta dei Grillo a Cala Volpe di Arzachena il 17 luglio 2019, nasce da lì. Da una scelta iniziale che orienta tutte le 72 pagine della stringata motivazione (a fronte di un processo durato tre anni). Tutta concentrata sulle dichiarazioni della persona offesa.
Il resto è contorno. Il Collegio presieduto da Marco Contu, con a latere Marcella Pinna e Alessandro Cossu, lo rende subito noto: «Dette dichiarazioni, si anticipa, hanno trovato plurimi, convincenti, elementi di riscontro, tali da consentire di ritenere comprovata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la colpevolezza» dei ragazzi. La conclusione è già scritta prima dell’analisi e il dubbio viene escluso per annuncio, richiamando la Cassazione: «Le dichiarazioni della persona offesa costituita parte civile possono essere poste, anche da sole, a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale».
La sentenza cita una lista impressionante di testimoni: vicini di casa, proprietari di abitazioni confinanti (con vista sul patio di casa Grillo), ospiti del comprensorio, personale di servizio, tassisti e baristi. Eppure nessuno si è accorto di nulla. Il tribunale ne prende atto, ma poi neutralizza il dato con questa formula: i reati di violenza sessuale «tipicamente si consumano lontano da sguardi e orecchie indiscrete». E, così, ciò che in altri processi sarebbe elemento a favore degli imputati diventa irrilevante. Lo stesso accade con i dati tecnici ricavabili dalle celle telefoniche. La sentenza ne descrive i limiti nel periodo estivo (sarebbero a rischio saturazione), ma poi utilizza quelle stesse informazioni per confermare la ricostruzione accusatoria. Non perché dimostrino una violenza, ma perché non la escludono. Stesso orientamento per le lesioni, accertate nove giorni dopo i fatti. I giudici lo scrivono chiaramente: «Non sono state riscontrate lesioni a livello ginecologico, circostanza del tutto normale in ragione del tempo trascorso dalla violenza».
Il vuoto viene riempito dalle ecchimosi sugli arti: «Lesioni contusive compatibili anche con la pressione di una mano» (ma pure con lo sport praticato dalla presunta vittima, il kitesurf) e «coerenti» con una condotta «di tipo violento e costrittivo». Compatibili. E quindi sufficienti a rafforzare il racconto. Ogni elemento, infatti, non viene mai messo in discussione tenendo in considerazione le tesi difensive. Il monumentale lavoro dei legali degli imputati, che avevano segnalato 387 criticità nella versione della giovane, suddivise tra 70 «non ricordo», 20 contraddizioni interne (versioni divergenti fornite dallo stesso teste), 19 esterne (incompatibilità con altri testimoni o con i dati oggettivi) e 23 risposte elusive o reticenti, è stato liquidato con tre righe, lasciando una strada spianata per l’Appello.
Altro snodo decisivo: l’alcol. La sentenza riconosce che non esista un dato oggettivo. Nessun tasso alcolemico misurato. Nessun accertamento tossicologico. Nonostante ciò la conclusione è definitiva: la persona offesa si trovava in una condizione di «inferiorità fisica e psichica» tale da rendere invalido il consenso. Ma a stabilirlo non è la scienza, bensì una valutazione giudiziaria. I giudici fanno proprie le conclusioni di un consulente del pm secondo cui la studentessa «non presentava criticità da un punto di vista cognitivo» e «la sua memoria autobiografica era adeguata». E concludono che non vi è «simulazione». Così, a bocce ferme, senza prove concrete. Per il Collegio «non può revocarsi in dubbio», si legge nella motivazione, «che l’assunzione del “beverone”, contenente anche una quantità di vodka, abbia provocato nella stessa una condizione di inferiorità fisica e psichica che ha agevolato l’operato criminoso degli imputati». Non solo: «La descrizione della parte offesa», sempre quella, «esclude senz’altro un’ipotesi di consenso da parte della stessa». Per le toghe i ragazzi hanno «agito in un contesto predatorio e prevaricatorio non tenendo in considerazione alcuna lo stato di fragilità in cui versava la ragazza».
Secondo i giudici «non vi è alcun dubbio che gli imputati abbiano, con la loro azione, consapevolmente leso la libertà sessuale della ragazza, approfittando, a tal fine, delle condizioni di minorata difesa di quest’ultima, e dunque ben consci dello stato di ubriachezza della vittima». Il Collegio ha dato per assodata anche la costrizione «ad assumere sostanze alcoliche». Il tribunale richiama più volte anche il materiale audiovisivo, sia quello girato nel corso della mattinata del 17 luglio, sia quello oggetto delle consulenze tecniche. «La scena», ricostruisce il Collegio, «viene ripresa da Capitta con il proprio cellulare». E al centro della scena c’è Ciro. Fin dall’inizio, secondo i giudici, «si può notare una situazione di chiarissima concitazione sessuale». A peggiorare la situazione degli imputati sono state anche le battute che si sono scambiati durante l’amplesso di gruppo: «Di sottofondo è possibile udire la voce degli altri due ragazzi presenti nella stanza bisbigliare a Grillo frasi di incitamento quali “ti prego Ciro” e poi “di più”», con un atteggiamento che, secondo i giudici, è «espressivo di chi vuole fornire un contributo attivo rafforzativo dell’azione collettiva».
Quanto alle fotografie con i membri immortalati vicino al volto di un’altra ragazza dormiente e a ulteriori filmati, i giudici escludono la goliardia: «Non si è trattato di mero esibizionismo da inquadrarsi nell’ambito di una serata scherzosa tra amici». Al contrario, «le immagini» descrivono «un atto di dominio». Per gli imputati la responsabilità si fonderebbe su una serie di condotte cumulative: presenza, commenti, risate, mancato intervento, asserita (dalla parte offesa) ostruzione del passaggio. Il concorso diventa una sorta di responsabilità ambientale. Chi c’era risponde. E gli imputati, scrivono i giudici, avrebbero agito «con una particolare brutalità».
Sentito dalla Verità, l’avvocato Enrico Grillo, difensore di Ciro, ha commentato: «Il disappunto e la delusione già espresse alla lettura del dispositivo sono ancor maggiori leggendo le motivazioni della sentenza». Secondo l’avvocato «l’intero impianto logico-giuridico della decisione appare viziato a monte, sotto il profilo della valutazione della prova e dell’applicazione delle norme». Il tribunale, in sostanza, secondo il difensore di Ciro, «ha progressivamente sostituito il rigoroso accertamento del fatto con una lettura suggestiva, emotiva e influenzata dal contesto». La valutazione finale è questa: «Chiaramente avremo modo, insieme con tutti i colleghi, di dettagliare tutte le criticità che abbiamo riscontrato nell’atto di appello che redigeremo nei prossimi giorni».
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