2022-05-03
La mascherina si può togliere. «Ma chi lo fa è un criminale»
L’obbligo di indossarle ovunque è caduto, però quasi tutti le usano ancora. È l’effetto del caos sulle nuove norme, come sempre decise all’ultimo, e del ricatto morale degli ultrà sanitari. Il cittadino è formalmente libero, ma se si scosta dai vecchi diktat sono guai.«Con i clienti mi regolo così: se indossano la mascherina, per rispetto la metto anche io. Se non ce l’hanno mi sento libero di toglierla». Questo cortese tassista milanese ha risolto con una buona dose di buon senso il grottesco caos indotto dal governo sull’utilizzo dei dispositivi di protezione. Ma ciò che emerge con prepotenza a un paio di giorni dalla (presunta) liberazione dal bavaglio è un diffuso disorientamento, una confusione totale sulle norme e una morsa panica che non accenna ad attenuarsi. Basta una rapida inchiesta - del tutto empirica e spannometrica - per rendersi conto di come le nuove regole non siano state recepite, comprese e messe in pratica. Entrando, lunedì mattina, in una grande libreria milanese, si vedono solo visitatori a volto coperto. Analoga situazione anche in molte chiese: i fedeli per lo più tengono la protezione, e guardano con sospetto - se non con timore - chi evita di indossarla nel totale rispetto delle linee guida Cei. Persino i sacerdoti continuano, come prima, a favorire la copertura di naso e bocca.Che la situazione sarebbe stata questa era facilmente prevedibile (e infatti lo avevamo previsto). Lo stordimento e l’incertezza, del resto, sono inevitabili se le nuove regole arrivano a poche ore dalla scadenza delle vecchie. Che il primo maggio sarebbe cambiato qualcosa era noto da tempo, ma fino a pochi giorni fa non era chiaro cosa, come e per chi. Dunque, materialmente, la popolazione non ha avuto il tempo di esaminare a fondo, capire e introiettare le modifiche volute dalle istituzioni. I più, prima di entrare in un locale o in ufficio, s’affannano a compulsare siti Web in cerca di informazioni precise: «Ma qui la devo tenere oppure no? Fammi controllare...». Alla tempistica al solito offensiva si aggiunge la metastasi burocratica. Le nuove regole sono talmente complicate e cavillose da rendere sostanzialmente impossibile una gestione serena. In alcuni luoghi di lavoro ancora (almeno) per un paio di giorni restano in vigore i regolamenti interni sottoscritti da aziende e sindacati. Nelle scuole le mascherine rimangono obbligatorie, così come in alcuni «luoghi di cultura». Di conseguenza il comune mortale o continua a togliere e mettere la mascherina (così rendendola di fatto inutile, se non dannosa) oppure sceglie di tenerla ovunque onde evitare fastidiosi imbarazzi e inutili reprimende. A questi aspetti minuti e pratici, ma non per questo meno rilevanti, si aggiungono alcune ricadute relative al piano che potremmo definire psicologico. Ancora domenica, Roberto Speranza dichiarava tutto contento che «siamo in una fase nuova, ma se invito a restare con i piedi per terra è perché questo virus ha dimostrato di essere imprevedibile. È finito lo stato di emergenza, però la pandemia non è finita e dobbiamo proseguire il nostro percorso di gradualità». Messaggi di questo tipo (degni del più ridicolo né-né sanitario) sono emblematici dell’atteggiamento passivo-aggressivo del governo. Da una parte il ministro si vanta dei suoi successi, spiegando che è solo grazie alle restrizioni, da lui fermamente volute, se oggi possiamo tornare alla normalità. Dall’altra, tuttavia, Speranza fa capire che, se fosse per lui, le mascherine dovremmo tenerle sempre e se da qualche parte viene concesso di toglierle dipende esclusivamente dalle insistenze dei soliti scriteriati. Insomma, si allenta la morsa ma si lascia al buon cuore dei singoli la scelta sull’utilizzo della protezione. Il retropensiero è chiaro: gli intelligenti, quelli «bravi e coscienziosi», dovrebbero tenere la mascherina perché non si sa mai... I cittadini si regolano di conseguenza: un po’ hanno paura, un po’ non conoscono bene le novità burocratiche, un po’ avvertono che la responsabilità della decisione è stata scaricata su di loro. E questo è il punto più dolente (e squallido) dell’intera vicenda. Il governo non ha il coraggio di liberare la popolazione, ma non ha nemmeno il fegato di imporre chiaramente misure draconiane. Quindi che fa? Si rifugia, come sempre, nel ricatto, che in questo caso è morale. Poiché non posso più obbligarti a imbavagliarti ovunque, mi limito a farti intuire che è meglio se continui a tenere la mascherina, però allo stesso tempo ti dico di fare come ritieni meglio. In questo quadro, datori di lavoro, sacerdoti, negozianti, tassisti, eccetera vengono chiamati a fissare una linea di condotta e ad assumersene i rischi, facendosi carico di un compito che spetterebbe alle autorità. Non è tutto. Va senza dirlo che, in questo contesto, un eventuale aumento dei contagi verrebbe subito imputato (al di là delle cause reali) ai cittadini irresponsabili che hanno voluto circolare senza mascherina, con conseguente riattivazione del circo mediatico-sanitario a cui siamo stati abituati in questi anni. A essere pignoli, potremmo anche notare come questa strategia sull’uso delle mascherine a macchia di leopardo sia evidentemente inefficace dal punto di vista sanitario. Anche se ci fossero motivazioni scientifiche per continuare a coprirsi ovunque naso e bocca (e pare non ci siano, dato che tutto l’Occidente sul tema si è allineato), verrebbero vanificate dal continuo togli-e-metti: o ci si copre sempre, o tanto vale non farlo mai. Se l’amico di fianco a me allo stadio si mette la mascherina per salire a fianco a me su un treno, in che modo dovremmo impedire il contagio? Idem per la scuola: che senso ha obbligare i ragazzini alla tortura fino a fine anno quando poi escono e - vivaddio - si mescolano liberamente?Il fatto è che oggi, più che combattere il virus, dobbiamo combattere per difenderci da politici e governanti privi d’autorevolezza, i quali provano a colmare il vuoto della politica con il condizionamento psichico e la manipolazione del senso di colpa. Personaggi tristemente aggrappati al potere ma sempre pronti a scaricare sugli altri gli oneri che esso comporta. Oltre che delle mascherine, dovremmo liberarci pure di loro. Il prima possibile.
Keir Starmer ed Emmanuel Macron (Getty Images)
Ecco #DimmiLaVerità del 24 ottobre 2025. Ospite Alice Buonguerrieri. L'argomento del giorno è: " I clamorosi contenuti delle ultime audizioni".
C’è anche un pezzo d’Italia — e precisamente di Quarrata, nel cuore della Toscana — dietro la storica firma dell’accordo di pace per Gaza, siglato a Sharm el-Sheikh alla presenza del presidente statunitense Donald Trump, del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, del turco Recep Tayyip Erdogan e dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani. I leader mondiali, riuniti per «un’alba storica di un nuovo Medio Oriente», come l’ha definita lo stesso Trump, hanno sottoscritto l’intesa in un luogo simbolo della diplomazia internazionale: il Conference Center di Sharm, allestito interamente da Formitalia, eccellenza del Made in Italy guidata da Gianni e Lorenzo David Overi, oggi affiancati dal figlio Duccio.
L’azienda, riconosciuta da anni come uno dei marchi più prestigiosi dell’arredo italiano di alta gamma, è fornitrice ufficiale della struttura dal 2018, quando ha realizzato anche l’intero allestimento per la COP27. Oggi, gli arredi realizzati nei laboratori toscani e inviati da oltre cento container hanno fatto da cornice alla firma che ha segnato la fine di due anni di guerra e di sofferenza nella Striscia di Gaza.
«Tutto quello che si vede in quelle immagini – scrivanie, poltrone, arredi, pelle – è stato progettato e realizzato da noi», racconta Lorenzo David Overi, con l’orgoglio di chi ha portato la manifattura italiana in una delle sedi più blindate e tecnologiche del Medio Oriente. «È stato un lavoro enorme, durato oltre un anno. Abbiamo curato ogni dettaglio, dai materiali alle proporzioni delle sedute, persino pensando alle diverse stature dei leader presenti. Un lavoro sartoriale in tutto e per tutto».
Gli arredi sono partiti dalla sede di Quarrata e dai magazzini di Milano, dove il gruppo ha recentemente inaugurato un nuovo showroom di fronte a Rho Fiera. «La committenza è governativa, diretta. Aver fornito il centro che ha ospitato la COP27 e oggi anche il vertice di pace è motivo di grande orgoglio», spiega ancora Overi, «È come essere stati, nel nostro piccolo, parte di un momento storico. Quelle scrivanie e quelle poltrone hanno visto seduti i protagonisti di un accordo che il mondo attendeva da anni».
Dietro ogni linea, ogni cucitura e ogni finitura lucidata a mano, si riconosce la firma del design italiano, capace di unire eleganza, funzionalità e rappresentanza. Non solo estetica, ma identità culturale trasformata in linguaggio universale. «Il marchio Formitalia era visibile in molte sale e ripreso dalle telecamere internazionali. È stata una vetrina straordinaria», aggiunge Overi, «e anche un riconoscimento al valore del nostro lavoro, fatto di precisione e passione».
Il Conference Center di Sharm el-Sheikh, un complesso da oltre 10.000 metri quadrati, è oggi un punto di riferimento per la diplomazia mondiale. Qui, tra le luci calde del deserto e l’azzurro del Mar Rosso, l’Italia del saper fare ha dato forma e materia a un simbolo di pace.
E se il mondo ha applaudito alla firma dell’accordo, in Toscana qualcuno ha sorriso con un orgoglio diverso, consapevole che, anche questa volta, il design italiano era seduto al tavolo della storia.
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