2018-06-02
«Basta pregiudizi sui gialloblù. Noi industriali guardiamo ai fatti»
Il presidente di Federalimentare Luigi Scordamaglia: «Sul contratto è stata fatta un po' di confusione: mostra obiettivi generali, non singole misure nel dettaglio. Per trattare con Ue, Russia e Usa ci vuole un esecutivo politico forte».Dopo quasi tre mesi un governo ha preso forma. Su e giù dal Colle tra le polemiche e le attese con l'occhio fisso sullo spread e sull'andamento della Borsa. L'industria invece viaggia su binari diversi. Made in Italy e agroalimentare hanno a loro volta punti di vista peculiari, ma ciò che accomuna il mondo dell'industria è la visione a lungo termine, la stabilità e la necessità di aver una controparte politica attenta. «In questo senso sono contento che sia nato un governo politico che rappresenti un risultato elettorale e una realtà Parlamentare ben definita», commenta con la Verità Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare, l'associazione che raggruppa il comparto del food e della trasformazione, ciò che in genere nel mondo è chiamato made in Italy. I governi tecnici non piacciono agli industriali?«Un governo tecnico senza adeguata rappresentanza in un momento internazionale come questo avrebbe significato un vuoto. Partecipare a riunioni importanti in sede Ue - e non solo - senza un rappresentante con piena delega avrebbe significato lasciare una poltrona vuota e il Paese ha bisogno di affrontare l'agenda sapendo che le controparti internazionali ci prendono come interlocutori a tutto tondo. Ne va dei nostri interessi economici».Si riferisce ai temi del bilancio comunitario e all'unione bancaria?«Non solo, anche alla tematica della guerra commerciale tra Donald Trump e l'Ue. Non possiamo accettare che la linea di risposta sia dettata dagli interessi economici della Germania che pur di tutelare il comparto automotive sarebbe disposta a sacrificare altri rami produttivi, magari quelli che ci riguardano».Non teme come altri che questo governo ribalti gli equilibri europei e metta in discussione i trattati?«Certo che no e il presidente Giuseppe Conte lo ha ben chiarito dal suo primo incarico. Il mondo è cambiato negli ultimi mesi e sedersi ai tavoli con Usa e Russia per rivedere i rapporti commerciali non significa sfilare l'Italia dallo scacchiere occidentale. Anche perché Francia e Germania si sono riavvicinate alla Russia. Hanno intrapreso missioni a Mosca per tutelare le proprie imprese. Certo per far questo ci vogliono governi politici». Molti industriali non hanno le sue stesse convinzioni.«Una economia forte ha bisogno di una politica forte e questa non può essere certo garantita da un governo tecnico e senza una prospettiva di legislatura».Stesso discorso sul contratto di governo che è stato accolto con voci contrastanti. Lei che ne pensa? Soprattutto per quanto riguarda i capitoli economici?«Il mondo produttivo non deve essere ideologicamente prevenuto. Né avere valutazioni aprioristiche assumendo posizioni preconcette».Nel testo però di coperture non si parla.«A mio avviso il programma non va visto come un elenco di misure dettagliate, ma di obiettivi da raggiungere ai quali poi dovrà essere dato contorno, contesto e copertura. Anche perché ci sono delle garanzie democratiche, come la bollinatura della Ragioneria dello Stato, che nessuno bypasserebbe e su questo il presidente della Repubblica è garante. Bisogna entrare nel merito delle misure e poi giudicare. Altrimenti si finisce con il rimuovere la realtà. Tanto più che in Italia esiste un problema grave che si chiama disuguaglianza. Esiste la disuguaglianza geografica, quella tra imprese ed esiste la disuguaglianza di inclusione nel mondo del lavoro. Al di là delle soluzioni non possiamo rimuovere il problema».Quindi è a favore del reddito di cittadinanza?«L'uso del termine andrebbe forse rivisto, ma perché dovrei essere contrario a un progetto se questo vuole riportare una fetta di persone attive nella fascia produttiva investendo su di loro denaro pubblico per creare un circolo virtuoso... La situazione attuale dimostra che abbiamo bisogno di rivedere il mondo delle politiche attive e ciò non è assistenzialismo. E mi pare che ciò sia ampiamente condiviso tra gli estensori. Per cui, certo che sono favorevole».Gli altri punti, flat tax e Iva?«Il giudizio sulla flat tax lo ha dato Bloomberg quando ha affermato che nel medio termine porta a un aumento della raccolta. Tutto sta nella gradualità di applicazione. Di fronte all'ipotesi di una flat tax progressiva e bilanciata che non scassi i conti, qualunque industriale le dovrebbe rispondere la stessa cosa: ovvero ok. Meno tasse sulle imprese più assunzioni e più reddito. Più assunzioni e più consumi. Al di là della semplificazione del concetto è come opporsi alla sburocratizzazione. Nessuno può dirsi contrario».Il neo ministro Giovanni Tria in passato si è detto favorevole allo spostamento delle imposte sui consumi, alias più Iva...«Non credo che un ministro possa prender tali decisioni da solo. Alzare l'Iva adesso è troppo pericoloso e bisogna trovare la soluzione alla neutralizzazione delle clausole di salvaguardia. Direi che questo è il punto di partenza».
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
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