Dopo l’annuncio della tassa sui guadagni degli istituti per il rialzo dei tassi, Bper e Intesa perdono tra l’8% e il 10%, Mediolanum e Unicredit quasi il 6%. Giancarlo Giorgetti chiarisce che c’è un tetto sugli attivi: alla fine l’impatto dovrebbe aggirarsi intorno ai due miliardi.
Dopo l’annuncio della tassa sui guadagni degli istituti per il rialzo dei tassi, Bper e Intesa perdono tra l’8% e il 10%, Mediolanum e Unicredit quasi il 6%. Giancarlo Giorgetti chiarisce che c’è un tetto sugli attivi: alla fine l’impatto dovrebbe aggirarsi intorno ai due miliardi.Se doveva essere un blitz, una decisione concordata tra i leader dei partiti di maggioranza e tenuta nascosta fino all’annuncio in serata di Matteo Salvini, beh allora la mossa a sorpresa sulla tassazione degli extra-profitti bancari è riuscita alla grande. Ha sorpreso talmente tanto, per esempio, gli investitori che ieri mattina i titoli dei principali istituti sono crollati come non si vedeva da tempo. Tra le big del credito ne hanno risentito di più Bper (-10,94%), Banco Bpm (-9,09%) e Intesa (-8,67%), ma anche Unicredit e Mediolanum, che rispetto ai competitor hanno limitato i danni, riportando perdite a un passo dalla soglia del 6%. Ovvio che una Piazza a fortissima trazione bancaria come quella milanese abbia chiuso lasciando sul terreno più del 2%. Ha pesato l’incertezza, «il sentiment» rispetto al quale gli operatori dei mercati nutrono una vera e propria idiosincrasia e anche quando dalle prime bozze trapelate si è passati al testo ufficiale di Palazzo Chigi, decisamente meno punitivo per gli istituti di credito, le cose per Piazza Affari non sono per nulla migliorate. Il blitz ha colto talmente tanto nel segno che Lando Maria Sileoni, il segretario generale della Fabi (il sindacato dei bancari) che sta seguendo la vicenda da vicino, si è riservato di parlare appena il quadro normativo sarà più chiaro, e anche l’Abi, l’associazione che rappresenta gli istituti di credito, è rimasta silente. Non si può però non ricordare che il presidente Antonio Patuelli a fine maggio aveva evidenziato come una tassa sugli extraprofitti avrebbe potuto «ostacolare l’uscita dello Stato (il Mef controlla il 64%) dal capitale di Mps (che ieri ha perso il 10,8% ndr)».Patuelli probabilmente esagerava, ma, stando al testo attuale, l’impatto ci sarà ed è calcolabile, secondo le ricostruzioni di Radiocor, in poco più di un miliardo per il 2022 e in 2,5 miliardi per il 2023 che è il vero anno record per i profitti del credito. Proiettato su tutto l’anno vorrebbe dire avvicinarsi a un prelievo tra i 4 e i 5 miliardi, a meno che «la minaccia» non abbia un effetto persuasivo nei confronti delle banche che potrebbero per esempio alzare i tassi che pagano sui conti correnti e sui deposti o abbassare quelli dei prestiti, riducendo di fatto il margine rispetto al quale si applica la tassazione.La norma prevede, infatti, che il prelievo sia calcolato sul margine di interesse, ovvero sulla differenza tra interessi attivi e interessi passivi e che sia finalizzato a rimpinguare il fondo per i mutui sulla prima casa e per finanziare il taglio delle tasse. Gli interessi attivi sono quelli che la banca incassa come guadagno per aver concesso prestiti o mutui e che si sono impennati in linea con i tassi della Bce, quelli passivi invece la banca li paga alla clientela sui conti correnti o sui conti deposito e sono rimasti fermi, in prossimità dello zero o poco sopra. Anche per questo si agisce sugli intermediari finanziari, escludendo le società di gestione dei fondi comuni d’investimento e le società di intermediazione mobiliare, con una imposizione una tantum che va versata entro giugno del 2024. In che misura? L’aliquota è del 40% sul maggior valore del margine di interesse dell’esercizio 2022 che eccede per almeno il 5% il margine del 2021 e tra il margine di interesse relativo al 2023 che eccede, in questo caso per almeno il 10%, il margine 2021, mentre l’ammontare dell’imposta non può superare il 25% del valore del patrimonio netto della banca alla chiusura dell’esercizio 2022. Ma il testo resterà questo? Sembra proprio di no, visto che nei partiti della maggioranza già iniziano i primi distinguo. «Il crollo dei titoli bancari? Non vorrei che sia dipeso da un provvedimento che probabilmente il governo avrebbe dovuto valutare meglio», ha spiegato il capogruppo alla Camera di Forza Italia, Paolo Barelli, «in Parlamento se sarà necessario proporremo degli emendamenti. Ci sono opinioni controverse». Certo Barelli poco dopo ha smorzato toni e contenuti delle sue parole, ma il senso resta. Sembra che una parte di Forza Italia non abbia fatto i salti di gioia per una norma che potrebbe incidere sulle cedole distribuite dalle banche, ma anche negli altri partiti il fronte non sarebbe così compatto. Del resto un primo cambiamento, neanche di dettaglio, la norma l’ha già subito. Nella prima versione della bozza, quella che è circolata lunedì notte, le soglie rispetto alle quali si calcolano i margini sul 2021 erano più basse: 3 e 6% rispetto all’attuale 5 e 10%. Insomma, il salasso per gli istituti sarebbe stato ancora più consistente. E in serata una precisazione Giancarlo Giorgetti, getta altra acqua sul fuoco: «Ai fini della salvaguardia della stabilità degli istituti bancari», chiarisce il ministro dell’Economia, «la misura prevede anche un tetto massimo per il contributo che non può superare lo 0,1% del totale dell’attivo». Numeri alla mano (il totale degli attivi bancari è di 3.200 miliardi) il prelievo non potrà superare i 3,2 miliardi, ma da fonti vicine al governo si fa sapere che difficilmente si sforerà quota due miliardi.
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