2022-12-10
Baffino d’Arabia ora si dà al greggio
Nella cordata di uomini d’affari di Doha che punta a rilevare la raffineria di Priolo spunta Massimo D’Alema come consulente. Dopo le armi alla Colombia, è il turno dell’oro nero.A volte, ritornano. Anzi, mettiamoci il cuore in pace: lui non se n’è mai andato. Più tenace di un tardigrado, lo scatenato «Baffino» guadagna ancora la ribalta. L’avevamo scoperto a mediare per Leonardo e Fincantieri nella maxicommessa di navi e aerei militari alla Colombia. Lo ritroviamo a fianco del Qatar, per l’acquisto della raffineria di Priolo. L’indomabile Massimo D’Alema, scrive Repubblica, si sarebbe adoperato per Ghanim Bin Saad Al Saad, liquidissimo businessman di Doha, che ha presentato l’offerta assieme ad alcuni investitori italiani.La proposta, quindi, è già arrivata al governo. E del team di consulenti farebbe parte pure l’ex premier, che ormai sembra riconvertito agli affari nazionali. Prima, durante il Covid, aveva garantito per mascherine e ventilatori cinesi farlocchi. Poi s’è prodigato per far vendere armamenti al governo di Bogotà. Adesso, spalleggerebbe la conquista quatarina della più strategica raffineria del Paese. «Ho aiutato le imprese di Stato senza prendere un euro» disse nove mesi fa, quando La Verità svelò le sue intercettazioni sulla fornitura da quattro miliardi di euro, poi sfumata, alla Colombia. Anche stavolta, il già leader Maximo della sinistra assicurerà di essersi adoperato gratis et amore Dei? Solo e soltanto, insomma, per carità di patria? La scorsa settimana il governo ha varato un piano per salvaguardare lavoro e operatività dell’impianto, controllato dalla compagnia russa Lukoil, che raffina un quinto del greggio italiano e impiega mille persone. Gli ultimi mesi hanno stravolto le prospettive. A Priolo veniva lavorato soprattutto il petrolio di Mosca, finito però sotto l’embargo dell’Unione europea. Urge, quindi, trovare un compratore. L’accordo sembrava ormai chiuso con Crossbridge, un fondo statunitense. Nella trattativa è entrato però un altro concorrente, di opposto orientamento: il Qatar non è esattamente una culla della democrazia, ma piuttosto un santuario dell’islam radicale. Di sicuro, a Saad Al Saad non mancano i petroldollari: trent’anni fa ha creato la holding Gssg, che controlla pure aziende di idrocarburi. Nei giorni scorsi la cordata, assieme ai suoi consulenti, tra cui appunto D’Alema, avrebbe già visto a Roma e il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin. Per adesso, nessuna conferma. Solo il dicastero delle Imprese e Made in Italy, guidato da Adolfo Urso, spiega «che sono in corso interlocuzioni con varie aziende nazionali e internazionali interessate all’acquisizione dell’impianto». Qualsiasi accordo passerà comunque dal governo, come previsto in questi casi vista la partita in gioco: non solo posti di lavoro, ma anche la produzione strategica del Paese.E in questo groviglio tra politica e affari, chi meglio di D’Alema? Già presidente del consiglio e ministro degli Esteri, sempre sulla breccia: dal Pci al Pd, passando per i Ds. Uscito dal parlamento nel 2013, cinque anni fa si è dato alla consulenza, inizialmente con i think tank organizzati intorno alla «Silk Road Initiative». Tanto da aver creato, nel 2019, la quasi omonima Silk Road Wines srl: per esportare, sulla via della Seta appunto, il vino che produce in Umbria. Ben avviata anche DL & M advisor, dal nome delle iniziali, di cui D’Alema è socio unico e amministratore. Oggetto sociale: consulenza aziendale. L’ex premier è ormai considerato un suggeritore coi contro fiocchi. Tanto da essere stato nominato presidente del comitato consultivo di Ernst & Young, multinazionale di servizi professionali. Il contratto però, che scadeva a febbraio 2022, non sarebbe stato rinnovato per volontà dello stesso D’Alema, onde evitare nuove polemiche dopo la storia delle armi alla Colombia.Negli ultimi mesi, sembrava impegnato a far da consigliori a Giuseppe Conte, capo dei Cinque stelle, rinato tribuno degli ultimi. Ora, invece, lo riscopriamo laddove solo Matteo Renzi aveva osato: fianco a fianco di un uomo d’affari arabo. Già, è tornato. Nelle solite, ingombranti, vesti. Stavolta, quelle di «Baffino il quatarino».
Il ministro della Salute Orazio Schillaci (Imagoeconomica)
Orazio Schillaci e Giuseppe Valditara (Ansa)