2024-04-16
«Baby Reindeer», la serie Netflix che sfida il politicamente corretto
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«Baby Reindeer» (Netflix)
Lo show, che su Netflix ha debuttato giovedì 11 aprile, è la trasposizione televisiva di una storia vera: di angosce e paure, di un senso di frustrazione che nessuno, nemmeno l’autorità competente, ha saputo attenuare.Baby Reindeer è il contrario logico di quel che il politicamente corretto ci ha abituati a pensare. E, perciò, è deliziosa. Lo show, che su Netflix ha debuttato giovedì 11 aprile, è la trasposizione televisiva di una storia vera: di angosce e paure, di un senso di frustrazione che nessuno, nemmeno l’autorità competente, ha saputo attenuare. Richard Gadd, quella storia, l’aveva messa in un monologo teatrale, qualcosa di simile ad un one-man-show. Doveva essere una sorta di terapia da palcoscenico, il modo di buttar fuori la rabbia e l’orrore di quattro anni. Allora, l’attore era all’apice della sua carriera. Aveva vinto qualche premio, i giornali lo avevano incensato. Era bravo, in vista. E tanto è bastato perché una donna decidesse di farne l’oggetto del proprio desiderio. Di un desiderio che non è rimasto confinato nel novero delle illusioni da groupie, nei pensieri con cui ci si accompagna al sonno, vagheggiando sui se e i ma della vita, sulle curve che l’esistenza potrebbe prendere se i propri idoli si accorgessero dei fan e ne ricambiassero gli ardori. La donna, cui nella serie televisiva è stato dato il nome di Martha Scott, ha deciso che Gadd – divenuto Donny Dunn nello show – sarebbe stato il suo fidanzatino.Sono passati anni. Anni in cui il telefono di Gadd è suonato milioni di volte, ogni giorno. L’attore, protagonista della storia e della sua trasposizione televisiva, ha ricevuto circa 41 mila email e un ammontare di note audio lungo 350 ore. Lo ha ascoltato tutto, sperando di poter trovare nel fiume in piena di quei messaggi qualcosa che gli consentisse di denunciare la Scott. Perché, come ha spiegato nel corso del tempo, la donna non era una sprovveduta. «L’unico talento più grande di quello dimostrato nel molestarmi è stato quello che ha avuto nell’evadere la legge», ha dichiarato più e più volte, raccontando come la stalker non abbia mai superato certi confini, indugiando nel limbo oscuro che separa l’ossessione dal corteggiamento.Le autorità, dunque, non hanno potuto molto. Gadd – come il suo Dunn – ha dovuto fare da sé, barcamenandosi in un inferno lungo quattro anni. Un inferno che, riletto in chiave televisiva, con le opportune revisioni e dettagli sapientemente romanzati, ha restituito un che di magnetico. Baby Reindeer, dove Dunn non è un attore di fama, ma un aspirante comico i cui conti miseri sono pagati da un lavoro di barista, è brillante e dinamica. È divertente, come può esserlo lo spettacolo della pazzia e delle sue conseguenze: un divertimento amaro, irrazionale, dove la risata è subito seguita da un’ammissione di colpevolezza, «Ho riso, ma non c’è niente da ridere». Soprattutto, è priva della retorica che spesso accompagna le storie di stalking. Dunn non è una vittima, Martha non è il suo carnefice. «Ho sbagliato un sacco di cose, peggiorando la situazione, all’epoca. Non ero una persona perfetta, dunque perché raccontarmi come tale?», s’è chiesto Richard Gudd, che nel monologo – come nella serie – ha voluto concentrarsi unicamente sul rapporto coatto fra sé e la stalker. Nessun giudizio, nessun tentativo di universalizzare l’esperienza. Solo una storia, e ben raccontata.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.