
Il giornale dei vescovi non ascolta gli appelli del Papa contro il riarmo e benedice l’idea di «Repubblica». Che tifa per un’Europa laicista e socialista, in linea con lo spirito di Ventotene, e armata fino ai denti.Vorrei capire una cosa: Avvenire è ancora il giornale dei vescovi oppure è diventato l’organo ufficiale della sinistra guerrafondaia? La domanda credo sia legittima dopo aver letto l’edizione di ieri, quella con il titolo principale che recitava «Prima l’Europa». Io mi sarei aspettato che il giornale della Conferenza episcopale italiana, in vista della manifestazione auspicata da un laico come l’editorialista di Repubblica Michele Serra scrivesse: «Prima la pace». O anche: «Prima il cessate il fuoco». Invece no, la testata che dovrebbe ispirare una tregua ha scelto il corteo di Roma, quello convocato per sostenere una Ue pronta alla guerra.Infatti, che cosa significa scendere in piazza a favore dell’Unione, come ha sollecitato Serra? La risposta sta nella risoluzione votata pochi giorni fa dal Parlamento italiano. Ne abbiamo scritto nei giorni scorsi, ma credo che sia utile riportare alcuni passaggi del testo. Oltre a predisporre le norme per favorire l’introduzione di una legge marziale e la cancellazione delle norme costituzionali che ripudiano i conflitti, il documento approvato dagli europarlamentari spiega che il futuro dell’Europa si decide sui campi di battaglia in Ucraina. Non a un tavolo di pace, ma in una trincea, stringendo tra le mani granate e lancia missili. Per un giornale cattolico non sembra proprio un messaggio di pace. Ma se poi si aggiunge che lo stesso giorno a Bruxelles è stato votato un secondo testo, in cui si critica la politica degli Stati Uniti e si esprime «sgomento per la decisione dell’amministrazione Trump di rappacificarsi con la Russia», ovvero di far pace con Mosca, si capisce che l’organo dei vescovi appoggia la scelta della Ue di riarmarsi ed è contrario a qualsiasi trattativa.Ma poi c’è da chiedersi come si coniughi tutto ciò con il messaggio di papa Francesco, il quale dal suo letto d’ospedale non ha mancato di far sentire la propria opinione sulla guerra in corso. Mentre ad Avvenire si scaldavano i muscoli e si oliavano i fucili, il Pontefice ribadiva che «non si può proporre la pace se usiamo continuamente l’intimidazione bellica come ricorso legittimo per la risoluzione dei conflitti». Chiaro il concetto? La voce di Bergoglio, giunta attraverso il sito Vatican news, è chiara e ripercorre tutti i pronunciamenti contro i conflitti. Proprio nel giorno in cui Avvenire applaude all’iniziativa di una manifestazione a sostegno dell’Europa in armi, il Santo Padre richiama la parole di Alcide De Gasperi, usate da Ursula von der Leyen per giustificare un piano di riarmo da 800 miliardi, e dice che la creazione di un esercito comune europeo proposta da uno dei padri fondatori, aveva obiettivi molto diversi rispetto a quelli oggi conseguiti dalla leadership della Ue. «Se vogliamo costruire una società più giusta e sicura dobbiamo lasciare che le armi cadano dalle nostre mani», dice il Papa riecheggiando le parole di Paolo VI: «Non si può amare con armi offensive in pugno».E adesso chi lo dice alle associazioni cattoliche che hanno aderito ieri al corteo indetto dalla sinistra e da un laico come Serra in favore di un’Europa che intende armarsi fino ai denti? Chi lo spiega soprattutto al quotidiano dei vescovi (ma forse sarebbe opportuno dirlo anche a qualche monsignore) che il Pontefice non crede in una Ue con un esercito pronto a risolvere sui campi di battaglia il conflitto in Ucraina? L’Unione che vorrebbe chi ha organizzato il corteo di Roma è incompatibile con ciò che sostiene Bergoglio. È l’Europa di Ventotene, laica, favorevole a una rivoluzione socialista, contraria alla proprietà privata, sostenitrice di un ordine nuovo, decisa ad abolire il concordato con la Chiesa cattolica, determinata a espropriare le imprese e a impedire il diritto di successione. È questa la Ue per cui ieri sono sfilati gli aderenti alle associazioni di ispirazione cristiana? È questa l’Europa in cui si riconosce il quotidiano dei vescovi? E allora sia chiaro e decida di chiamarsi «Il sol dell’Avvenire», così sarà evidente a tutti che il progetto non è più quello cattolico, ma solo quello del compagno Casarini, pescatore di uomini (in mare) e antagonista (di poliziotti) in piazza.
Chiara Ferragni (Ansa)
L’influencer a processo con rito abbreviato: «Fatto tutto in buona fede, nessun lucro».
I pm Eugenio Fusco e Cristian Barilli hanno chiesto una condanna a un anno e otto mesi per Chiara Ferragni nel processo con rito abbreviato sulla presunta truffa aggravata legata al «Pandoro Pink Christmas» e alle «Uova di Pasqua-Sosteniamo i Bambini delle Fate». Per l’accusa, l’influencer avrebbe tratto un ingiusto profitto complessivo di circa 2,2 milioni di euro, tra il 2021 e il 2022, presentando come benefiche due operazioni commerciali che, secondo gli inquirenti, non prevedevano alcun collegamento tra vendite e donazioni.
Patrizia De Luise (Ansa)
La presidente della Fondazione Patrizia De Luise: «Non solo previdenza integrativa per gli agenti. Stabiliamo le priorità consultando gli interessati».
«Il mio obiettivo è farne qualcosa di più di una cassa di previdenza integrativa, che risponda davvero alle esigenze degli iscritti, che ne tuteli gli interessi. Un ente moderno, al passo con le sfide delle nuove tecnologie, compresa l’intelligenza artificiale, vicino alle nuove generazioni, alle donne poco presenti nella professione. Insomma un ente che diventi la casa di tutti i suoi iscritti». È entrata con passo felpato, Patrizia De Luise, presidente della Fondazione Enasarco (ente nazionale di assistenza per gli agenti e i rappresentanti di commercio) dallo scorso 30 giugno, ma ha già messo a terra una serie di progetti in grado di cambiare il volto dell’ente «tagliato su misura dei suoi iscritti», implementando quanto fatto dalla precedente presidenza, dice con orgoglio.
Il ministro Nordio riferisce in Parlamento sulla famiglia Trevallion. L'attacco di Rossano Sasso (Lega): ignorate le situazioni di vero degrado. Scontro sulla violenza di genere.
Ansa
Il colosso tedesco sta licenziando in Germania ma è pronto a produrre le vetture elettriche a Pechino per risparmiare su operai, batterie e materie prime. Solito Elkann: spinge sull’Ue per cambiare le regole green che ha sostenuto e sul governo per gli incentivi.
È la resa totale, definitiva, ufficiale, certificata con timbro digitale e firma elettronica avanzata. La Volkswagen – la stessa Volkswagen che per decenni ha dettato legge nell’industria dell’automobile europea, quella che faceva tremare i concorrenti solo annunciando un nuovo modello – oggi dichiara candidamente che intende spostare buona parte della produzione di auto elettriche in Cina. Motivo? Elementare: in Cina costa tutto la metà. La manodopera costa la metà. Le batterie costano la metà. Le materie prime costano la metà. Persino le illusioni costano la metà.






