2020-04-08
«Aver avuto morbi tropicali o la tubercolosi può aiutare». Via agli studi degli scienziati
Essere scampati alla Tbc, come l'esposizione a patogeni più esotici, rafforzerebbe le difese del corpo. Questo spiegherebbe i pochi casi di extracomunitari ricoverati.Un vaccino messo a punto un secolo fa, potrebbe sbarrare la strada al Sars-Cov2. In Australia, Olanda, Germania e America stanno partendo studi per testare l'efficacia del vaccino per la tubercolosi (Bcg, bacilloCalmette-Guerin). Migliaia di medici e infermieri sono già stati trattati. Rispetto alla maggior parte dei vaccini, che creano una risposta immunitaria a un singolo patogeno, il Bcg può anche rafforzare il sistema immunitario innato, cioè quelle difese di prima linea che impediscono ai microorganismi di entrare nel corpo e di infettarlo. «L'ipotesi è da provare, ma chi ha avuto una patologia come la tubercolosi (Tbc) ha un esercito di difesa, tecnicamente un clone linfocitario, pronto a intervenire in modo non specifico, ma abbastanza efficace da poter ridurre l'attività del coronavirus», dice alla Verità Renzo Scaggiante infettivologo già esperto in malattie tropicali presso l'Azienda ospedaliera-Università di Padova e attualmente direttore del centro Malattie infettive dell'ospedale di Belluno. I dati mostrano che il coronavirus, pur colpendo in modo indiscriminato uomini, donne, giovani, anziani e persone di ogni etnia, solo nel 20% dei soggetti può dare i sintomi polmonari della Covid-19, che diventano gravi nel 5%. L'assetto del sistema immunitario sembra fare la differenza. «Come ogni molecola, anche il vaccino svolge varie azioni. In medicina sono i dati a parlare: le spiegazioni possono arrivare dopo», continua l'esperto. Viene da chiedersi se ci siano malattie che potrebbero creare un assetto immunitario pronto a bloccare il Covid-19. «Di per sé», osserva Scaggiante, «qualsiasi contatto con batterio, virus e parassita tropicale, stimola il sistema immunitario, che prepara le truppe in allerta. Si può ipotizzare che l'aver avuto tanti stimoli immunitari possa migliorare la risposta contro alcuni virus, ma gli studi sono in corso». Questo, indirettamente potrebbe spiegare perché, ad esempio, negli ospedali siano pochi i ricoveri di persone immigrate e africane. «Il virus quando trova un ospite che non ha anticorpi, agisce indisturbato», fa presente l'infettivologo. «Se però il sistema immunitario è più pronto, come quello di un bambino, fatica a replicarsi. Nel caso di un anziano, in cui la difesa è più rallentata, causa danni più gravi. Se poi l'anziano vive in comunità, il contagio è ancora più facilitato», come purtroppo testimoniano le centinaia di decessi nelle residenze per anziani. Paradossalmente, si potrebbe azzardare che soffrire di malattie autoimmuni, avere un sistema immunitario iper-reattivo, sarebbe in grado di ridurre il rischio di sviluppare Covid-19. «Teoricamente non si può escludere», osserva Scaggiante, «ma conosciamo da pochi mesi questo coronavirus e anche sulle cure ci stiamo assestando». A proposito, l'Aifa, dopo aver rispolverato un antimalarico come la clorochina, in questi giorni ha approvato l'impiego di ivermectina, un vecchio antiparassitario indicato per la scabbia e già utilizzato contro i virus Hiv, Zika, Dengue, West Nile e influenzali. Sempre sul fronte dei farmaci è più chiaro che il tempo di somministrazione può fare la differenza. Il tocilizumab - usato per l'artrite reumatoide perché riduce l'infiammazione bloccando l'interleuchina 6, sostanza coinvolta nel danno polmonare causato dal Covid-19 -deve essere dato in una fase specifica della malattia. «Somministrato precocemente», spiega lo specialista, «peggiora la situazione. Dato in fase avanzata, rischia di essere poco efficace». Discorso simile anche per gli antivirali che devono essere assunti «all'esordio della malattia per bloccare la replicazione del virus», quando, tra l'altro, è più facile il contagio che, come è noto, può avvenire anche prima della comparsa dei sintomi e anche quando si sono sviluppati gli anticorpi. Il coronavirus è insidioso anche per chi, dopo il tampone positivo, si negativizza. «La maggioranza dei virus dà un'immunità che dura per tutta la vita», spiega Scaggiante, «ma altri, come l'Hiv, dopo il contagio, non producono anticorpi protettivi (neutralizzanti). La speranza è che il Sars-Cov2 sia come la maggior parte dei virus, ma lo scopriremo nel tempo». Si spiega così perché i test sierologici - attualmente ancora in via di validazione per la capacità di individuare gli anticorpi specifici per il Covid- potrebbero non essere sufficienti per definire l'impossibilità di un soggetto di reinfettarsi e di non trasmettere più il virus. Anche per questo, l'immunità acquisita da altre malattie infettive, o da un vaccino per la Tbc, potrebbe fare la differenza.
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Ll’Assemblea nazionale francese (Ansa)