2018-08-18
Autostrade ha un addetto al massacro in tv
A poche ore dalla tragedia il gruppo ha individuato il capro espiatorio perfetto. Stefano Marigliani è uno stacanovista delle ospitate e incassa rabbia per tutti, senza battere ciglio. Ora è il bersaglio dei social, ma bisognerebbe attaccare chi lo usa come parafulmine.Gli italiani hanno imparato a conoscerlo in queste ore, perché sempre, nel pieno del dramma, le tragedie battezzano le biografie e i carismi. E così, nel giro di una settimana, come i funghi che spuntano dopo la pioggia, il viso serioso del dottor Stefano Marigliani, «responsabile del tronco di Genova della società autostrade per l'Italia» è diventato famoso, dopo essere stato sottoposto a uno dei più singolari bombardamenti da esposizione mediatica intensiva. Se accendi la tivù a qualsiasi ora, Marigliani lo trovi collegato nei programmi della mattina, con l'auricolare già infilato nell'orecchio, poi anche seduto in quelli della sera, poi in prima serata, ma anche in seconda, poi negli speciali, e infine anche con le sue dichiarazioni nei tg. E - ovviamente - lo abbiamo avuto ospite anche nel nostro programma, a In Onda, su La7, nelle serate più drammatiche che la cronaca funesta di questi giorni ci ha regalato. Come tutti i veri fenomeni televisivi, anche nel pieno del dramma, il dottor Marigliani, con il suo faccione tondo e il suo incarnato pallido da penitente e martire, racconta qualcosa e nasconde qualcos'altro. Di solito si presenta con il vestito nero e la cravatta nera, come se fosse il testimone di un metaforico funerale catodico, non alza mai la voce, non perde il controllo per un solo nano secondo. Non sappiamo se la sua posatezza e la sua eleganza nell'eludere ogni polemica siano frutto di un lungo e sapiente training (non credo) o di una dote innata. Di sicuro, almanaccare le sue risposte in sequenza è un esercizio utile per capire il cuore del suo messaggio. Gli chiedi per esempio: ricostruirete il ponte? «Metteremo senza dubbio in atto», risponde, «il processo necessario per poter realizzare gli interventi di ripristino richiesti». Gli chiedi: il monitoraggio delle manutenzioni aveva segnalato anomalie? «Quel ponte», dice sfidando l'invettiva, «non dava nessun segnale di usura». E il deterioramento degli stralli? «Non ci risultavano anomalie di sorta: era piuttosto un deterioramento progressivo lento e controllato». E siamo quasi all'ossimoro, tratto distintivo dell'identità italiana in ogni dramma, dalla non sfiducia alle convergenze parallele. Certo, Marigliani è allo stesso tempo protagonista e vittima di questa storia, perché è il gestore ultimo di quel tratto di strada, ed è anche il capo espiatorio ideale da offrire in pasto al pubblico. Forse in un'altra azienda verrebbe protetto, messo in sicurezza come per le pile lesionate da un urto drammatico: invece Autostrade ha scelto di inviare lui, e presto scopriremo perché.Marigliani comunica al suo ascoltatore, anche epidermicamente, l'idea del dramma, capisci che deve stare molto attento nel dare le risposte, sapendo che a tutto il turbine delle parole volate in queste ore seguirà la brutale e violenta meccanicità di una inchiesta giudiziaria. Ma questo è esattamente ciò che si vede, e non ciò che la sua presenza nasconde: prendete la sua risposta dopo venti minuti di fuoco in cui Luigi Di Maio ripeteva la decisione di ritirare le concessioni alla sua società anche a costo che qualcuno «passasse sul suo cadavere». Marigliani rispondeva impassibile: «Ho ascoltato con molta attenzione l'intervento del vicepresidente Di Maio, e mi sembra», osservava pacatissimo, «che siano due le istanze che ci pone. Non è compito mio, ovviamente, fare la sintesi». Geniale. Oppure è interessante ascoltarlo, addirittura quando prefigura un proprio coinvolgimento nelle indagini, mentre parla degli accertamenti in corso: «La società ha messo al primo posto l'individuazione delle responsabilità dei tecnici, e dei dirigenti, e, se dalle indagini emergeranno delle responsabilità - e, lo dico anche se questo dovesse riguardare la mia persona - la società prenderà tutto in modo molto rigoroso». Cioè?Marigliani cesella in questo italiano sobrio e in questa lingua rallentata delle supercazzole straordinarie, a volte senza dire davvero nulla. Ma lo fa sempre in modo elegante e austero. Parla per evocazione, rappresentando con la sua voce bassa, con il suo eloquio pacato, con la sua capacità di incassare qualsiasi accusa senza battere ciglio, un nuovo modello di portavoce passivo, colui che non dice nulla, ma che nel farlo raccoglie e porta la croce. «Ci stiamo attivando per un processo di ricostruzione a tempo record, per dare soprattutto risposte: a Genova, alla Liguria, all'Italia intera». Anche quando deve dare una replica dritta Marigliani lo fa in modo storto: invoca il conforto della perifrasi che gira intorno ai concetti più duri da digerire levigandoli. Ad esempio, quando sta comunicando la notizia dell'abbattimento delle case di Sampierdarena: «È ragionevole ipotizzare che la parte di ponte strallato rimasto in piedi sarà anche essa abbattuta, e che, con lui, molto probabilmente, o necessariamente, potrebbero essere abbattute anche le case». Un concetto che si sarebbe potuto esprimere con una frase netta, nel mariglianese diventa così, per omoeopatia, addobbato come un albero di Natale di pensieri, avverbi, subordinate e periodi condizionali. È curioso che un uomo che per tutta la vita è stato abituato a costruire strade dritte, nel regno delle infrastrutture, sia diventato, nel mondo del parole - per contrappasso - un architetto di tornanti e delle più ardite curve lessicali. Un effetto di spiazzamento simile a quello che lo vede, come dice lui stesso, sia come soccorritore sia come sospetto. Marigliani è l'anti Schettino per eccellenza, dunque: quello che non scappa. Ma è anche un ologramma, un trucco. A furia di pensare a lui, non riflettiamo più su chi si nasconde dietro di lui. Il gruppo Benetton esprime una galassia societaria sterminata, una società di controllo, che amministra una controllata, che a sua volta amministra una controllata, che a sua volta amministra un'altra controllata, cioè Autostrade. E così come la famiglia ha i suoi ambasciatori - Gilberto e Luciano, in queste ore silenti e distanti - tutte queste società hanno battaglioni di amministratori delegati, dirigenti e pr che si sono esercitati efficacemente nell'arte di far scomparire l'immagine. È come se Mediaset invece che con Piersilvio affrontasse il momento più drammatico della sua vita affidandosi a un ottimo elettricista del centro Palatino. Cosi, alla morbosità di Marigliani si sono sommate le gaffe dei comunicati più duri. Mi chiedo come mai in questo momento Autostrade non abbia trovato uno solo dei suoi manager disposto a metterci quella stessa faccia con cui Marigliani ha occupato, suo malgrado, l'intero schermo. E rispondo pensando che anche stavolta dietro un De Falco c'è uno Schettino, ma in ordine rovesciato. Vorrei dire ai dementi che si sono esercitati sui social nell'invettiva al dirigente del tronco di Genova che non devono cadere nella trappola. Non devono guardare lui: devono immaginare chi si nasconde dietro di lui, nella sua pavida e discreta latitanza. I dividendi hanno molti padri, le catastrofi sono sempre orfane.
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