2021-02-24
L’Australia non cede e costringe Facebook a fare retromarcia
Il social eliminerà il blocco alla pubblicazione delle notizie. Trattativa per il pagamento agli editori. Un modello per l'Ue.Scoppia la tregua tra Facebook e Canberra. Il colosso americano guidato da Mark Zuckerberg ha infatti annunciato per i prossimi giorni la revoca del black out sui contenuti di attualità in Australia dopo che il governo ha accettato di modificare la legge volta a costringere i giganti della tecnologia a pagare i media per la ripresa delle loro notizie. Il social network, ricordiamolo, si era attirato un coro di critiche internazionali, la settimana scorsa, per la decisione di bloccare la condivisione delle notizie per gli utenti australiani in protesta con il disegno di legge al vaglio nel Paese. Inavvertitamente, però, nella lista nera di Facebook erano finite anche pagine non di news ma di informazioni istituzionali su diversi temi: dalla lotta al cancro, ai servizi relativi alla pandemia. Il premier australiano, Scott Morrison, aveva accusato la piattaforma di Zuckerberg di bullismo e promesso che l'iniziativa legislativa sulle big tech sarebbe andata avanti.Lunedì, però, il ministro delle Finanze australiano, Josh Frydenberg, e l'amministratore delegato di Facebook Australia, Will Easton, hanno dichiarato di aver trovato un compromesso su uno dei punti chiave di questo testo a cui i giganti Usa del settore sono ferocemente contrari. Frydenberg e il collega delle Comunicazioni, Paul Fletcher, hanno confermato alcune modifiche alle norme aprendo la strada all'approvazione della legge entro la settimana. «Questi emendamenti forniranno maggiore chiarezza sulla maniera in cui opererà il codice di condotta, rafforzando la struttura per assicurare che la produzione di news sia remunerata equamente. Il codice di condotta prevede tuttora trattative tra le piattaforme come Facebook e Google, e le compagnie australiane dei media, per concordare il pagamento stesso», dichiarano in due ministri in un comunicato congiunto. Google ha risolto la sua posizione davanti alle nuove norme con accordi separati, ciascuno per decine di migliaia di dollari l'anno, con i diversi gruppi editoriali operanti in Australia, tra cui il conglomerato dei media di proprietà della famiglia Murdoch, News corp. Nel frattempo, però, a muoversi sul fronte delle alleanze con l'editoria è stata anche Microsoft che già si era schierata con il governo di Canberra: il gruppo guidato da Satya Nadella e gli editori europei hanno chiesto all'Unione europea e ai Paesi membri di introdurre un meccanismo di arbitrato obbligatori per costringere Google e Facebook a ricompensare in maniera adeguata i produttori di notizie. Secondo i firmatari - European magazine media association, European newspaper publishers' association, European publisher council e News media Europe e appunto Microsoft - le autorità europee e i governi nazionali dovrebbero ispirarsi al modello australiano. E a proposito di Europa, il Parlamento Ue sta valutando con cautela l'introduzione nelle nuove norme Ue sul digitale di un meccanismo in stile Australia, richiesto dagli editori europei, per costringere le Big tech a pagare per la condivisione delle notizie. Incalzata dagli eurodeputati della commissione Mercato interno, la vicepresidente dell'esecutivo Ue, Margrethe Vestager, responsabile della stesura del Digital services act (Dsa) e del Digital markets act (Dma), ha spiegato che il pagamento delle notizie «è una questione che riguarda soprattutto il diritto d'autore». In un'intervista rilasciata a La Repubblica, inoltre, la Vestager ha sottolineato che la Ue sta lavorando «su regole che stabiliscono chiaramente ciò che un'azienda può e non può fare». Durante «il mio ultimo mandato, ho avviato molti procedimenti in materia di concorrenza contro grandi aziende tecnologiche, e mi è diventato chiaro che contro Google o Facebook abbiamo bisogno di armi più potenti dei singoli procedimenti antitrust». Bisogna costringere i giganti della tecnologia «a essere all'altezza delle loro responsabilità». Fra le regole su cui si sta lavorando, c'è l'imposizione «a grandi piattaforme come Amazon di condividere i propri dati con aziende che dipendono dall'accesso alle piattaforme. E faremo in modo che le aziende rivelino i criteri in base ai quali vengono generati i risultati di una ricerca o i newfeeds. Abbiamo offerto al governo Biden di lavorare con noi», l'atmosfera a Washington «è decisamente cambiata».Intanto, l'eurodeputato Andreas Schwab (Partito popolare europeo), tra i responsabili del dossier, ha sottolineato «lo strano comportamento di un'azienda che mette al bando «le notizie in un Paese perché non le piace la legislazione». La questione va dunque oltre la nuova direttiva Ue sul diritto d'autore che entrerà in vigore a giugno.
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