2022-08-11
Asili obbligatori, lo scippo Pd alle famiglie
I dem lanciano la proposta perché convinti che il posto giusto per crescere i bimbi sia lo Stato nelle sue ramificazioni scolastiche. Un tentativo di indottrinamento precoce che cancella ruolo ed ambito formativo ai genitori a favore delle «agenzie educative».È dai sintomi che si intuisce la verità, non dai discorsi. Il parlato è sempre tattico, invece dalle mezze parole sfuggite, dai piccoli gesti, dalle piccole scelte apparentemente insignificanti, si capiscono tante cose. In questa stranissima e inedita campagna elettorale d’agosto, che vede la proliferazione di tanti piccoli partiti, il tentativo di alleanze più o meno obbligate e la conferma che tutti si aspettano la salvezza dalla politica quando invece occorrerebbe prima salvarsi individualmente e solo dopo fare quattro passi nel foro, rimane la possibilità di cogliere le interessanti implicazioni che anche le proposte più elettoralistiche e propagandistiche mettono in luce.Tra i vari slogan elettorali che poi, immaginiamo, andranno a comporre i programmi dei partiti politici, il Pd ha lanciato la proposta degli asili gratuiti e obbligatori per tutti. In pratica un’estensione della scuola dell’obbligo ma non verso l’alto, verso il basso. La gratuità degli asili è un’ottima proposta e sarebbe un concreto aiuto a tutte le giovani madri e i giovani padri costretti da questa tetra postmodernità al lavoro matto e disperatissimo per riuscire a crescere i figli. Ma l’asilo obbligatorio da quale visione della società arriva? Lasciando stare Bibbiano, il Forteto e altre tristi realtà che vogliamo pensare episodiche, è innegabile che l’infanzia stia vivendo uno dei periodi di maggiore e più aggressivo attacco della sua innocenza e della sua sfera di intangibilità. Da quando, negli anni Settanta, sono state elaborate le teorie pedagogiche in base alle quali la famiglia non è il posto giusto per crescere i bambini ma lo è lo Stato nelle sue ramificazioni della scuola, dei servizi sociali e degli psicologi infantili, l’entità preposta per natura alla cura dell’infanzia, la famiglia, si è vista togliere gradualmente ruolo ed ambito educativo a favore delle cosiddette «agenzie educative», non ultima delle quali figura, o meglio figurava, la televisione. Ebbene sì, prima che Silvio Berlusconi scendesse in politica esistevano dei pedagogisti e degli psicologi di sinistra che dicevano che la televisione sarebbe stata una fonte di educazione infantile migliore della famiglia. La famiglia, infatti, per definizione, tramanda ai figli la visione del mondo dei genitori e, visto che questa visione del mondo magari non va bene perché non è abbastanza progressista quando addirittura non corre il rischio di tramandare ai figli di una coppia di conservatori delle idee conservatrici, deve essere corretta da una fonte più autorevole, più progressista, più politica, più moderna e più adatta alla società del futuro: appunto l’agenzia educativa. Fortunatamente, gli illuminati pedagogisti postsessantottini non hanno fatto i conti con il sano spirito di ribellione dei bambini e, in particolare, degli adolescenti i quali, nel vedersi indottrinati da insegnanti che saltavano parti scomode del manuale di storia o altri che eliminavano la Divina Commedia dal programma di italiano per sostituirla con i racconti di Beppe Fenoglio, pensavano bene di sviluppare un sano spirito di ribellione e magari si mettevano a leggere Baudelaire e Céline di nascosto. Ecco perché negli ultimi anni il tentativo di indottrinamento scolastico si è rivolto ai più giovani, alle prime classi elementari quando non addirittura ai bambini degli asili. Di fronte ad un Pd che propone l’asilo obbligatorio ci viene subito da pensare quale tipo di contenuti saranno somministrati ai bambini di tre anni. Forse qualcuno da quelle parti pensa alla propaganda gender che, secondo le linee guida americane, deve essere iniziata «il prima possibile»? Forse quando si parla di «asilo obbligatorio» si sottintende anche la messa in discussione precoce della propria identità di genere? O magari si pensa ad una sessualizzazione dell’infanzia o alla trasformazione dei valori religiosi in «valori neutri» in nome dell’accoglienza? Singolare poi che proprio dalla parte politica che più di ogni altra insiste sull’abbandono del concetto di nazione si introduca un’implicita idea di comunità nella quale ogni bambino dovrebbe riconoscersi e rispecchiarsi. Certo nell’antica Roma si faceva così, chissà che sotto sotto anche il Pd non senta un po’ di nostalgia per il concetto di comunità nazionale omogenea. Certo, poi dovrà spiegarla alle famiglie degli immigrati islamici.