
La Corte suprema respinge l'appello degli estremisti. L'incubo di Asia Bibi, la donna cristiana condannata a morte nel 2010 per blasfemia sembra svanire. Nonostante le minacce, adesso potrebbe raggiungere i figli in Canada.La Corte suprema del Pakistan ha respinto il ricorso dei fondamentalisti contro l'assoluzione di Asia Bibi. La donna cristiana è innocente e finalmente libera di lasciare il Paese asiatico e di riabbracciare la sua famiglia. Dopo dieci anni dall'arresto, a causa delle false accuse di blasfemia costatele anche una condanna a morte nel 2010, finisce la lunga ed estenuante persecuzione di questa madre di cinque figli, che è rimasta salda nella fede.Il giudice, Asif Saeed Khosa, presidente dei tre membri della Corte chiamati a rivedere il caso, ha stabilito che il firmatario del ricorso «non è stato in grado di individuare alcun errore nel verdetto della Corte suprema che ha assolto Asia Bibi». Durante l'udienza di ieri, l'avvocato Ghulam Ikram, legale del ricorrente Qari Muhammad Salaam (imam integralista del villaggio di Ittanwali) ha chiesto che a giudicare il ricorso fosse un tribunale più ampio che includesse anche religiosi islamici e ulema. Il presidente è stato però inamovibile, ricordando che «il verdetto è stato emesso sulla base di testimonianze». I giudici hanno inoltre sfidato il ricorrente a dimostrare cosa ci fosse di sbagliato nel verdetto precedente e hanno evidenziato che secondo l'islam non può essere punita una persona che non è giudicata colpevole.A seguito dell'assoluzione dello scorso 31 ottobre, Asia Bibi fu rilasciata dal carcere femminile di Multan e condotta in una località segreta del Pakistan, dove si trova attualmente sotto protezione. Le accese proteste dei partiti integralisti islamici, che per tre giorni misero a ferro e fuoco le città pakistane, si fermarono infatti solo dopo che il governo garantì la possibilità di riapertura del processo tramite petizione e il divieto di espatrio della donna fino al nuovo giudizio della Corte suprema.Dunque nulla può più impedire ad Asia Bibi di riabbracciare la sua famiglia, se non l'attesa dell'opportuna tempistica che le garantisca un trasferimento all'estero sicuro e senza troppo clamore. Le violente dimostrazioni dello scorso novembre hanno infatti condotto le figlie a fuggire in Canada, dove hanno ottenuto asilo politico. È invece andato in Olanda l'avvocato difensore, Saiful Malook, che ha ricevuto durante tutto il processo numerose minacce di morte. Ieri il legale era rientrato in Pakistan solo per seguire l'udienza di revisione.Ad ogni modo le voci più accreditate sostengono che Asia Bibi potrebbe raggiungere le figlie in Canada con il marito, per ricostruire una vita insieme nel Paese del Nord America. Tuttavia, secondo alcune fonti, non è escluso un passaggio della donna in Italia, visto l'impegno profuso dalla diplomazia vaticana per la soluzione del caso. D'altra parte Asia Bibi è diventata un simbolo delle persecuzioni anti cristiane che vengono perpetrate in tutto il mondo per motivi politici e religiosi, sebbene sia la chiesa pakistana, sia la Santa Sede abbiano sempre lavorato con molta discrezione, senza accendere i riflettori con interventi pubblici per evitare le reazioni dei fondamentalisti che inducono il governo a possibili chiusure ed espongono i cristiani a dolorosissime rappresaglie.Per questo motivo vale la pena ricordare i due politici pachistani che hanno pagato con il sangue il sostegno ad Asia Bibi: il governatore del Punjab, Salmaan Taseer, e il ministro per le Minoranze religiose, Shahbaz Bhatti (cattolico), entrambi brutalmente assassinati dagli islamisti nel 2011.L'attenzione internazionale ha comunque aiutato la donna. Paul Bhatti, fratello di Shabaz, ha ricordato infatti che sono molte le persone che con la stessa accusa, sono ancora in prigione e hanno subito violenze. Con l'assoluzione di Asia Bibi, l'assurda legge sulla blasfemia, che viene applicata in modo arbitrario e pretestuoso, ha ricevuto un colpo senza precedenti, ma resta il fatto che non è più rinviabile quella revisione della normativa richiesta dai settori più moderati della società pachistana. La stessa Corte suprema nei giorni scorsi ha ricordato che dal 1990 sessantadue persone sono state uccise a seguito di accuse di blasfemia anche prima del processo. L'ultimo caso riguarda l'omicidio di Mashal Khan, uno studente dell'università di Mardan, che nell'aprile 2017 è stato ucciso nei locali dell'ateneo da una folla per il fatto di aver pubblicato contenuti blasfemi online. Nel frattempo, a garantire la relativa calma che ha accompagnato la giornata della richiesta di revisione del processo è stato il fermo di oltre 300 estremisti del partito radicale Tehreek e Labaik che nei mesi scorsi avevano minacciato di morte i giudici e chiesto ai militari di ribellarsi.Forse qualche pressione in più dovrebbe arrivare dai governi occidentali non sempre hanno dato prova di coraggio e coerenza nella difesa delle libertà religiose, come ha dimostrato il rifiuto della Gran Bretagna di ospitare la famiglia di Asia Bibi. Intanto soddisfazione per la definitiva parola fine sul caso è stata espressa dal governo italiano. «Una bella notizia. Vicini ad Asia Bibi, ai suoi familiari e a tutti i cristiani perseguitati», ha scritto su Facebook il ministro per la Famiglia e le Disabilità, Lorenzo Fontana. Per il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, «dopo le ingiuste accuse e il carcere, per la sola “colpa" di essere cristiana, ora ha il diritto di rifarsi una vita in sicurezza con la sua famiglia». La fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre sottolinea infine che si tratta di «una vittoria del diritto e soprattutto di un Pakistan che ha dato prova di non volersi arrendere al fondamentalismo».
Galeazzo Bignami (Ansa)
Malan: «Abbiamo fatto la cosa istituzionalmente più corretta». Romeo (Lega) non infierisce: «Garofani poteva fare più attenzione». Forza Italia si defila: «Il consigliere? Posizioni personali, non commentiamo».
Come era prevedibile l’attenzione del dibattito politico è stata spostata dalle parole del consigliere del presidente della Repubblica Francesco Saverio Garofani a quelle del capogruppo di Fratelli d’Italia a Montecitorio Galeazzo Bignami. «L’onorevole Bignami e Fratelli d’Italia hanno tenuto sulla questione Garofani un comportamento istituzionalmente corretto e altamente rispettoso del presidente della Repubblica», ha sottolineato il capo dei senatori di Fdi, Lucio Malan. «Le polemiche della sinistra sono palesemente pretestuose e in mala fede. Ieri un importante quotidiano riportava le sorprendenti frasi del consigliere Garofani. Cosa avrebbe dovuto fare Fdi, e in generale la politica? Bignami si è limitato a fare la cosa istituzionalmente più corretta: chiedere al diretto interessato di smentire, proprio per non tirare in ballo il Quirinale e il presidente Mattarella in uno scontro istituzionale. La reazione scomposta del Pd e della sinistra sorgono dal fatto che avrebbero voluto che anche Fdi, come loro, sostenesse che la notizia riportata da La Verità fosse una semplice fake news.
Giorgia Meloni e Sergio Mattarella (Ansa)
Faccia a faccia di mezz’ora. Alla fine il presidente del Consiglio precisa: «Non c’è nessuno scontro». Ma all’interlocutore ha rinnovato il «rammarico» per quanto detto dal suo collaboratore. Del quale adesso auspicherebbe un passo indietro.
Poker a colazione. C’era un solo modo per scoprire chi avesse «sconfinato nel ridicolo» (come da sprezzante comunicato del Quirinale) e Giorgia Meloni è andata a vedere. Aveva buone carte. Di ritorno da Mestre, la premier ha chiesto un appuntamento al presidente della Repubblica ed è salita al Colle alle 12.45 per chiarire - e veder chiarite - le ombre del presunto scontro istituzionale dopo lo scoop della Verità sulle parole dal sen sfuggite al consigliere Francesco Saverio Garofani e mai smentite. Il colloquio con Sergio Mattarella è servito a sancire sostanzialmente due punti fermi: le frasi sconvenienti dell’ex parlamentare dem erano vere e confermate, non esistono frizioni fra Palazzo Chigi e capo dello Stato.
Francesco Saverio Garofani (Imagoeconomica)
Altro che «attacco ridicolo», come aveva scritto il Quirinale. Garofani ammette di aver pronunciato in un luogo pubblico il discorso anti premier. E ora prova a farlo passare come «chiacchiere tra amici».
Sceglie il Corriere della Sera per confermare tutto quanto scritto dalla Verità: Francesco Saverio Garofani, ex parlamentare Pd, consigliere del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, finito nella bufera per alcune considerazioni politiche smaccatamente di parte, tutte in chiave anti Meloni, pronunciate in un ristorante e riportate dalla Verità, non smentisce neanche una virgola di quanto da noi pubblicato.






