2021-03-15
(Guardia di Finanza)
L'operazione delle Fiamme Gialle ha permesso di smantellare un’imponente rete di stoccaggio e distribuzione di merci contraffatte e di armi detenute illegalmente. Sequestrati 340mila articoli falsi ed oltre 3.200 armi.
Sotto il costante indirizzo operativo e strategico del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Rimini, le Fiamme Gialle del Gruppo di Rimini, affiancate dai tirocinanti della Scuola Ispettori e Sovrintendenti di L’Aquila, hanno portato a termine una vasta ed articolata operazione di polizia economico-finanziaria che ha portato allo smantellamento di una grande rete di stoccaggio e distribuzione di merci contraffatte e di armi detenute illegalmente.
Grazie ad un’azione investigativa meticolosa, fondata su un’analisi approfondita e su un capillare controllo del territorio, i finanzieri hanno individuato diversi depositi e canali di approvvigionamento, bloccando sul nascere un’ingente immissione sul mercato di 340 mila articoli falsi e di oltre 3.200 tra coltelli e tirapugni in acciaio, tra cui balisong, lame a scatto e serramanici, tutti potenzialmente idonei a minacciare la sicurezza pubblica.
Particolarmente rilevante il sequestro di migliaia di peluche contraffatti – tra cui i noti «Labubu», «Pikachu» e «Stitch» – privi di qualsiasi certificazione di sicurezza e realizzati con materiali scadenti, molto pericolosi soprattutto per i più piccoli.
Parallelamente, il rinvenimento di un arsenale di armi bianche vendute senza licenza ha permesso di neutralizzare un grave rischio in un periodo di massima affluenza turistica e di eventi pubblici. La posizione dell’indagato, denunciato a piede libero per i reati di ricettazione, commercializzazione di beni contraffatti e commercio non autorizzato di armi, è attualmente al vaglio dell’Autorità Giudiziaria, ferma restando la presunzione d’innocenza costituzionalmente garantita. La violazione in materia di armi è stata segnalata al Questore di Rimini con proposta di chiusura di tutte le attività collegate.
L’operazione – parte di un più ampio dispositivo che dall’inizio dell’anno ha già condotto al sequestro di circa 1 milione di articoli irregolari – conferma l’impegno incessante della Guardia di Finanza di Rimini nel tutelare la salute e la sicurezza dei cittadini, contrastando con fermezza ogni forma di illegalità economica.
Come ribadito dal Comando Provinciale, la contraffazione non è soltanto una frode commerciale, ma un moltiplicatore di illegalità che alimenta lavoro nero, evasione fiscale, riciclaggio e criminalità organizzata.
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La missione Nasa avrebbe dovuto essere il terzo allunaggio. Per un problema a un serbatoio dell’ossigeno non riuscì. Ma l’incidente fu fondamentale per mettere in pratica le procedure di emergenza, portando in salvo tutti gli astronauti.
La terza missione lunare dopo quelle del luglio e del novembre 1969 (Apollo 11 e 12) fu programmata come Apollo 13 per l’aprile del 1970. La zona di esplorazione sulla Luna era stata stabilita sugli altipiani detti di Fra Mauro, una zona di particolare interesse per lo studio della geologia del satellite terrestre. L’equipaggio era formato dal veterano Jim Lovell (comandante, già presente sull’Apollo 8 e sulle precedenti missioni Gemini), Jack Swigert e Fred Haise. Il lancio avvenne regolarmente l’11 aprile 1970. Il volo proseguì senza problemi fino al 13 aprile, quando l’Apollo 13 si trovava alla distanza di circa 380mila km. dalla Terra l’equipaggio sentì un forte rumore provenire da uno dei serbatoi dell’ossigeno del modulo di comando. L’esplosione aveva generato una grave perdita di gas e fu in quel momento che Jack Swigert, in contatto radio con il responsabile del volo a Cape Kennedy Eugene F. «Gene» Krantz, pronunciò la celeberrima frase «Houston, abbiamo un problema!». La macchina delle procedure di emergenza si mosse immediatamente e in maniera assolutamente efficace di fronte ad un guasto che avrebbe potuto condannare l’equipaggio alla morte nello spazio. Fu immediatamente deciso il proseguimento del viaggio verso la Luna, spostando l’equipaggio dal modulo di comando colpito dalla perdita di ossigeno al modulo di allunaggio, ancora intatto e munito di riserve di acqua e cibo. Anche in questo caso però, l’ossigeno si era rivelato il problema più importante. Il modulo di allunaggio infatti era progettato per ospitare solo due astronauti, con le relative scorte di ossigeno e soli due filtri per l’anidride carbonica. Con tre uomini a bordo per un periodo prolungato, il rischio di morte per soffocamento era scontato. La capacità di problem solving tra Houston e l’equipaggio fu il fiore all’occhiello di quella drammatica missione. Comunicando continuamente, il centro di controllo riuscì a guidare l’equipaggio nella costruzione di un terzo filtro per la CO con materiali di risulta del modulo di comando. I filtri dei due moduli erano incompatibili tra loro: uno aveva un ingresso quadrato, l’altro tondo. Per adattare il quadrato del modulo di comando a quello tondo del modulo di allunaggio furono usati un sacchetto di plastica, un cartoncino del blocco note del registro operazioni, il nastro adesivo in tela (il famoso «nastro americano o duct tape) e un calzino. L’idea artigianale fu vincente e permise al terzo membro di non morire intossicato dalla rapida crescita della percentuale di anidride carbonica. L’Apollo 13 arrivò nell’orbita lunare, compì un giro completo passando dietro la faccia oscura e riapparve pronto per le procedure di rientro, che avvennero manualmente, calcolate dalla base di Terra. Poco dopo le ore 10.00 del 17 aprile 1970 la capsula contenente i tre astronauti ammarò senza danni nell’Oceano Pacifico, dove fu raggiunta dalla nave di recupero «Uss Iwo Jima». I responsabili della Nasa, nelle conferenze stampa che seguirono una missione fallita ma coronata dal grande successo del salvataggio, dichiararono di aver trovato il modo di «Includere il quadrato in un cerchio» riferendosi al miracolo della costruzione del filtro improvvisato.
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Pubblichiamo il dialogo di Carlo Pelanda con Consultique Scf, la tv dei consulenti finanziari indipendenti.