True
2023-12-26
Artemisia Gentileschi in mostra a Palazzo Ducale di Genova
True
Artemisia Gentileschi, Giuditta e Abra con la testa di Oloferne,1640-1645.Terni, Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni, Collezione d’Arte
Una mostra potente quella su Artemisia Gentileschi. Potente e ricca di pathos. A cominciare dall’allestimento, luci soffuse e pareti rosso pompeiano, il colore perfetto per le opere di Artemisia, per quelle sue figure - soprattutto femminili - plastiche e possenti, espressive , a tratti «aggressive», fondi scuri e luci caravaggesche. Uno stile, il suo, che sicuramente tiene conto degli influssi dei suoi contemporanei (il padre Orazio innanzitutto - con cui, per tutta la vita, ebbe un rapporto ambiguo e morboso - poi Caravaggio e i fiamminghi, Rubens e Van Dyck in primis), ma che, opera dopo opera, dagli esordi alla maturità, assume quei tratti inconfondibili che fanno della Gentileschi un’artista di assoluta unicità. Un’unicità di stile, sicuramente, ma anche di vita e di genere, visto che, proprio Artemisia, è stata la prima donna della storia a essere ammessa a un’Accademia di Disegno e ad affermarsi professionalmente in un mondo, come quello dell’arte, dominato nel Seicento dalla sola presenza maschile. Donna coraggiosa, «pittrice guerriera», la Gentileschi ha saputo fare della sua vita travagliata e fuori dagli schemi il punto di forza della sua espressione artistica. La sua catarsi e il suo riscatto.Un riscatto pagato a caro prezzo perché lei, violentata a 17 anni da Agostino Tassi, un amico e collega del padre, uscì si vincitrice da uno dei primi (se non il primo in assoluto) processi mediatici della storia, ma ne uscì segnata per sempre nell’anima.
E a questa artista straordinariamente attuale, complessa e appassionata, Genova dedica una grande mostra, che la vede si indiscussa protagonista, ma che vuole essere anche un « dialogo »con il padre Orazio, pittore importantissimo per le vicende artistiche della Superba, ma anche genitore oppressivo e complicato nei rapporti con la talentuosa figlia.
La mostra: le polemiche e le opere
Nonostante questa esposizione sia stata anche aspramente criticata - per impostazione e contenuti - e definita addirittura «cronaca di uno stupro », personalmente, trovo che la mostra a Palazzo Ducale, che innegabilmente dà largo spazio a questo spregevole episodio e, altrettanto innegabilmente, espone , accanto a quelle di Artemisia, anche alcune opere di Agostino Tassi, il suo violentatore, faccia comunque emergere a tutto tondo la personalità e lo straordinario talento della Gentileschi, un talento innato, che Artemisia possedeva sin dalla più tenera età e che, paradossalmente, le tristi vicende personali hanno sublimato. Come hanno giustamente dichiarato Giuseppe Costa e Serena Bertolucci, rispettivamente Presidente e Direttore di Palazzo Fondazione per la Cultura: «La violenza che ha subito è un fatto notissimo, ma sarebbe un torto identificare Artemisia con quell’atto brutale, così come lo sarebbe oggi nei confronti di tutte le donne che vivono ogni giorno questa tragica esperienza. Esse sono ben altro, Artemisia è ben altro». E questa mostra ne è la prova. Aggiungo io.
Curato dallo storico dell’arte Costantino D’Orazio e suddiviso in 10 sezioni, il percorso espositivo raccoglie 50 capolavori (provenienti da tutta Europa e dagli Stati Uniti) che raccontano, tappa dopo tappa, tutto il percorso artistico e di vita della Gentileschi, dalla giovinezza alla maturità, da Roma (dove nacque nel 1593) a Napoli (dove si spense nel 1653), passando per Firenze, Venezia e la breve esperienza Londinese - condivisa con il padre Orazio - alla corte di re Carlo I.
Moglie, infelice e infedele di un pittore mediocre, Pierantonio Stiattesi, madre di quattro figli (tranne una, Prudenzia, morti tutti in tenera età), la vita di Artemisia è stata un susseguirsi di alti e bassi, di cadute e di trionfi, ma, come ho già più volte sottolineato, a dominare su tutto è sempre stata la sua arte. E basta guardare le sue opere per capirlo.
A cominciare dalle due versioni di Susanna e i vecchioni - dipinti di soggetto biblico e straordinaria metafora dell’intera vita di Artemisia, moderna Susanna - due capolavori realizzati in fasi diverse della sua vita (nel 1610 e nel 1649) e che la mostra a Palazzo Ducale espone all’inizio del percorso , entrambi nella stessa sale, per offrire al pubblico la possibilità di abbracciare con un solo sguardo l’intero percorso artistico della Gentileschi. Un percorso - e ben si vede dal confronto fra queste due tele - che nell’arco di un trentennio diventa più maturo e consapevole, con colori più cupi, corpi più possenti ed una luce che dalle tonalità tenui prese in prestito da suo padre Orazio, lascia il posto ai contrasti in chiaroscuro di netta impronta caravaggesca.
Proseguendo nella visita, si incontra – in dialogo con le tele di Sofonisba Anguissola, altre pittrice sua contemporanea – un superbo Autoritratto in veste di pittura, che la vede (auto)rappresentata con la corona di alloro in segno di trionfo, mentre, qualche sala più avanti, a catturare l’attenzione del visitatore altri due notissimi capolavori, Giuditta e Oloferne e Giuditta e la sua ancella con la testa di Oloferne, entrambi accostati e messi a confronto con la famosa Giuditta e Oloferne di Orazio Gentileschi: opere potenti quelle firmate da Artemisia, testimonianza bruciante di un personale percorso di rivincita e terreno su cui combattere gli uomini che hanno provato ad annientarla... La stessa potenza espressiva e il medesimo desiderio di rivalsa che si ritrovano anche in Sansone e Dalila, dove, ancora una volta, Artemisia raffigura la vicenda di un uomo forte soggiogato dall’astuzia di una donna. E, ancora una volta, arte e vita si fondono.
Al di là di ogni polemica, la mostra genovese vuole essere la celebrazione di una donna e di un’artista dalla carriera davvero eccezionale (nel significato più letterale del termine), chiamata a lavorare per alcune delle corti più prestigiose d’Europa, omaggiata da medaglie, ritratti di pittori illustri, poemi e incisioni e che, soltanto grazie al suo talento e alla sua eccezionale personalità, è riuscita a scrollarsi di dosso i pregiudizi e a costruire un percorso artistico davvero unico.
Continua a leggereRiduci
È la sede espositiva più importante e prestigiosa di Genova, l’Appartamento del Doge di Palazzo Ducale, a ospitare - sino al 1° Aprile 2024 - una grande mostra dedicata alla pittrice romana Artemisia Gentileschi (1593-1653), donna e artista dalla vita straordinaria e, ancora oggi, di sorprendente attualità. Esposti oltre 50 capolavori, tra cui le due versioni di Susanna e i vecchioni, alla scoperta di una delle figure più potenti della storia dell’arte italiana e internazionale.Una mostra potente quella su Artemisia Gentileschi. Potente e ricca di pathos. A cominciare dall’allestimento, luci soffuse e pareti rosso pompeiano, il colore perfetto per le opere di Artemisia, per quelle sue figure - soprattutto femminili - plastiche e possenti, espressive , a tratti «aggressive», fondi scuri e luci caravaggesche. Uno stile, il suo, che sicuramente tiene conto degli influssi dei suoi contemporanei (il padre Orazio innanzitutto - con cui, per tutta la vita, ebbe un rapporto ambiguo e morboso - poi Caravaggio e i fiamminghi, Rubens e Van Dyck in primis), ma che, opera dopo opera, dagli esordi alla maturità, assume quei tratti inconfondibili che fanno della Gentileschi un’artista di assoluta unicità. Un’unicità di stile, sicuramente, ma anche di vita e di genere, visto che, proprio Artemisia, è stata la prima donna della storia a essere ammessa a un’Accademia di Disegno e ad affermarsi professionalmente in un mondo, come quello dell’arte, dominato nel Seicento dalla sola presenza maschile. Donna coraggiosa, «pittrice guerriera», la Gentileschi ha saputo fare della sua vita travagliata e fuori dagli schemi il punto di forza della sua espressione artistica. La sua catarsi e il suo riscatto.Un riscatto pagato a caro prezzo perché lei, violentata a 17 anni da Agostino Tassi, un amico e collega del padre, uscì si vincitrice da uno dei primi (se non il primo in assoluto) processi mediatici della storia, ma ne uscì segnata per sempre nell’anima. E a questa artista straordinariamente attuale, complessa e appassionata, Genova dedica una grande mostra, che la vede si indiscussa protagonista, ma che vuole essere anche un « dialogo »con il padre Orazio, pittore importantissimo per le vicende artistiche della Superba, ma anche genitore oppressivo e complicato nei rapporti con la talentuosa figlia. La mostra: le polemiche e le opereNonostante questa esposizione sia stata anche aspramente criticata - per impostazione e contenuti - e definita addirittura «cronaca di uno stupro », personalmente, trovo che la mostra a Palazzo Ducale, che innegabilmente dà largo spazio a questo spregevole episodio e, altrettanto innegabilmente, espone , accanto a quelle di Artemisia, anche alcune opere di Agostino Tassi, il suo violentatore, faccia comunque emergere a tutto tondo la personalità e lo straordinario talento della Gentileschi, un talento innato, che Artemisia possedeva sin dalla più tenera età e che, paradossalmente, le tristi vicende personali hanno sublimato. Come hanno giustamente dichiarato Giuseppe Costa e Serena Bertolucci, rispettivamente Presidente e Direttore di Palazzo Fondazione per la Cultura: «La violenza che ha subito è un fatto notissimo, ma sarebbe un torto identificare Artemisia con quell’atto brutale, così come lo sarebbe oggi nei confronti di tutte le donne che vivono ogni giorno questa tragica esperienza. Esse sono ben altro, Artemisia è ben altro». E questa mostra ne è la prova. Aggiungo io.Curato dallo storico dell’arte Costantino D’Orazio e suddiviso in 10 sezioni, il percorso espositivo raccoglie 50 capolavori (provenienti da tutta Europa e dagli Stati Uniti) che raccontano, tappa dopo tappa, tutto il percorso artistico e di vita della Gentileschi, dalla giovinezza alla maturità, da Roma (dove nacque nel 1593) a Napoli (dove si spense nel 1653), passando per Firenze, Venezia e la breve esperienza Londinese - condivisa con il padre Orazio - alla corte di re Carlo I. Moglie, infelice e infedele di un pittore mediocre, Pierantonio Stiattesi, madre di quattro figli (tranne una, Prudenzia, morti tutti in tenera età), la vita di Artemisia è stata un susseguirsi di alti e bassi, di cadute e di trionfi, ma, come ho già più volte sottolineato, a dominare su tutto è sempre stata la sua arte. E basta guardare le sue opere per capirlo. A cominciare dalle due versioni di Susanna e i vecchioni - dipinti di soggetto biblico e straordinaria metafora dell’intera vita di Artemisia, moderna Susanna - due capolavori realizzati in fasi diverse della sua vita (nel 1610 e nel 1649) e che la mostra a Palazzo Ducale espone all’inizio del percorso , entrambi nella stessa sale, per offrire al pubblico la possibilità di abbracciare con un solo sguardo l’intero percorso artistico della Gentileschi. Un percorso - e ben si vede dal confronto fra queste due tele - che nell’arco di un trentennio diventa più maturo e consapevole, con colori più cupi, corpi più possenti ed una luce che dalle tonalità tenui prese in prestito da suo padre Orazio, lascia il posto ai contrasti in chiaroscuro di netta impronta caravaggesca. Proseguendo nella visita, si incontra – in dialogo con le tele di Sofonisba Anguissola, altre pittrice sua contemporanea – un superbo Autoritratto in veste di pittura, che la vede (auto)rappresentata con la corona di alloro in segno di trionfo, mentre, qualche sala più avanti, a catturare l’attenzione del visitatore altri due notissimi capolavori, Giuditta e Oloferne e Giuditta e la sua ancella con la testa di Oloferne, entrambi accostati e messi a confronto con la famosa Giuditta e Oloferne di Orazio Gentileschi: opere potenti quelle firmate da Artemisia, testimonianza bruciante di un personale percorso di rivincita e terreno su cui combattere gli uomini che hanno provato ad annientarla... La stessa potenza espressiva e il medesimo desiderio di rivalsa che si ritrovano anche in Sansone e Dalila, dove, ancora una volta, Artemisia raffigura la vicenda di un uomo forte soggiogato dall’astuzia di una donna. E, ancora una volta, arte e vita si fondono. Al di là di ogni polemica, la mostra genovese vuole essere la celebrazione di una donna e di un’artista dalla carriera davvero eccezionale (nel significato più letterale del termine), chiamata a lavorare per alcune delle corti più prestigiose d’Europa, omaggiata da medaglie, ritratti di pittori illustri, poemi e incisioni e che, soltanto grazie al suo talento e alla sua eccezionale personalità, è riuscita a scrollarsi di dosso i pregiudizi e a costruire un percorso artistico davvero unico.
Il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, risponde al Maestro Riccardo Muti e si impegna a lavorare con il ministero degli Esteri per avviare contatti ai più alti livelli con la Francia per riportare a Firenze le spoglie del grande compositore Cherubini.
Michele Emiliano (Ansa)
Fino ad oggi, però, nessun risultato. Forse la comunicazione non è stata così «forte» come fu la lettera che proprio l’allora governatore dem inviò a tutti i dirigenti e dipendenti della Regione, delle sue agenzie e società partecipate, invitandoli a interrompere i rapporti con il governo di Netanyahu «a causa del genocidio di inermi palestinesi e con tutti quei soggetti ad esso riconducibili che non siano apertamente e dichiaratamente motivati dalla volontà di organizzare iniziative per far cessare il massacro nella Striscia di Gaza».
Ora, dopo l’addio di Emiliano e l’arrivo del neo governatore Antonio Decaro, gli sprechi non sarebbero stati eliminati dalle sette società nel mirino, parzialmente o interamente controllate dalla Regione Puglia: Acquedotto spa, InnovaPuglia, Aeroporti di Puglia, Puglia valore immobiliare, Terme di Santa Cesarea, Puglia sviluppo e Aseco. Infatti, secondo il report approdato in giunta regionale nel corso dell’ultima seduta, è stato evidenziato che non c’è stata riduzione di spesa di funzionamento in nessuna di queste, anzi in tre hanno addirittura superato i limiti per consulenze (Puglia sviluppo, Acquedotto e Terme di Santa Cesarea), mentre il dato peggiore è sulle spese di acquisto, manutenzione, noleggio delle auto o di acquisto di buoni taxi. Quattro società non hanno comunicato alcun dato, mentre Aeroporti ha certificato lo sforamento. Nel dettaglio, Acquedotto pugliese, anziché contenere le spese di funzionamento, le ha incrementate di 17 milioni di euro rispetto al 2024. La giustificazione? Il maggior costo del personale «riconducibile al rinnovo del contratto collettivo nazionale», ma pure «l’incremento delle risorse in forza alla società, spese legali, assicurazioni, convegni, pubblicità e marketing, buoni pasto, costi postali non ribaltabili all’utenza nell’ambito della tariffa del Servizio idrico integrato».
Per quanto riguarda le consulenze, invece, Aqp sostiene che, essendo entrati i Comuni nell’assetto societario, nella fase di trasformazione sono stati necessari 639.000 euro per le consulenze.
Aeroporti di Puglia attribuisce l’aumento di spese all’organizzazione del G7, anche se l’incremento dell’8,44%, secondo la società, «è comunque inferiore all’aumento del traffico registrato nel 2024 rispetto al 2023 (+10,51%) e quindi dei ricavi. Spese superate, alla faccia del risparmio, anche per auto e taxi: 120.000 euro in più. Costi lievitati anche per InnovaPuglia, la controllata che si occupa di programmazione strategica a sostegno dell’innovazione: 12 milioni di euro nel 2024 a fronte dei 7 milioni del 2023, passando, in termini percentuali sul valore della produzione, dal 18,21% al 43,68%. Di Aseco, la società in house controllata da Aqp e Ager che si occupa di smaltimento di fanghi e frazione organica dei rifiuti urbani, non si hanno dati aggiornati al punto che è stata sollecitata dalla stessa Regione a comunicarli.
Insomma, secondo la Regione, se aumentano i costi vanno ridotti i servizi poiché il Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica prevede quella di contenere le spese di funzionamento individuando specifici obiettivi di spesa come quelli per il personale e quelli per consulenze, studi e ricerche. E la stessa Regione, che ha potere di vigilanza e di controllo, dove accerta «il mancato e ingiustificato raggiungimento degli obiettivi di contenimento della spesa» può «revocare gli incarichi degli organi di direzione, amministrazione e controllo nominati nelle società». La palla passa a Decaro.
Continua a leggereRiduci