2020-09-18
Commercialisti della Lega arrestati quelli del Pd e dei 5 stelle «graziati»
Un pm di Roma chiese i mandati per tre notissimi professionisti (tra cui l'ex commissario straordinario di Ilva e Alitalia) sponsorizzati dai partiti di governo. Ma i superiori glieli negarono con motivazioni contraddittorie.In questi giorni si fa un gran parlare dei tre «commercialisti della Lega» arrestati venerdì scorso. Ma in pochi sanno che c'è un'altra vicenda giudiziaria che coinvolge professionisti ben più noti (di nuovo tre commercialisti e un avvocato), ricoperti di incarichi da altri partiti, dal Pd ai 5 stelle, che è rimasta inedita per quasi due anni. Anche lì erano stati chiesti degli arresti, ma il capo della Procura di Roma Giuseppe Pignatone e i suoi vice hanno negato il visto. La storia emerge dalle carte depositate a Perugia nell'inchiesta Palamara e ruota intorno all'esposto che l'allora pm romano Stefano Fava, considerato da Palamara & c. un «talebano» per quel suo non guardare in faccia nessuno, aveva presentato al Consiglio superiore della magistratura contro il suo capo Pignatone.All'origine dei dissidi un'inchiesta per cui Fava, uno di quei magistrati che non mollano l'osso sino in Cassazione, aveva proposto, con due diverse istanze, ai suoi superiori l'arresto di 31 indagati per una ventina di capi d'imputazione. In un filone dell'indagine aveva chiesto misure cautelari per l'avvocato Piero Amara (arrestato dieci mesi prima con l'accusa di corruzione in atti giudiziari, contestazione per cui ha patteggiato) e altri due, nell'altro per ventotto soggetti, tra cui tre notissimi professionisti: l'avvocato Luca Lanzalone e due commercialisti. Il primo è Enrico Laghi, docente di economia aziendale, all'epoca commissario straordinario di Ilva e Alitalia, oltre che vecchio presidente della MidCo Spa, la controllante della compagnia di bandiera (mentre oggi è liquidatore di Air Italy e Meridiana maintenance); il secondo è Corrado Gatti, a quel tempo, tra i vari incarichi, presidente del collegio sindacale di Alitalia e consigliere di amministrazione e componente del comitato per il controllo sulla gestione di Intesa Sanpaolo.Quando un esposto e la trasmissione Report misero in dubbio la legittimità della nomina di Laghi, una specie di prezzemolino degli incarichi, a commissario dell'Alitalia per una sua presunta incompatibilità (era già commissario dell'Ilva), il ministro dei Trasporti Graziano Delrio lo difese a spada tratta, dichiarando ai media che il Mise aveva «inviato la documentazione per provare la legittimità della nomina». L`Autorità anticorruzione presieduta da Raffaele Cantone archiviò il caso per incompetenza.Tra i fan di Laghi c'era anche Carlo Calenda, ministro renziano del Mise, il quale ci tenne a far sapere che l'Ilva si era salvata grazie a Laghi & c. Comunque, anche se le istanze di Fava sono state respinte dai suoi superiori, a Laghi, Gatti e Lanzalone non mancano i grattacapi giudiziari, pure nella Capitale. Per esempio l'avvocato genovese, nel giugno del 2018, è finito ai domiciliari con l'accusa di corruzione nell'inchiesta sullo stadio della Roma. Prima dell'arresto era considerato un influente manager legato al Movimento 5 stelle, molto vicino a Beppe Grillo, ma soprattutto al Guardasigilli Alfonso Bonafede, ed era stato spedito a Livorno e successivamente a Roma a risolvere problemi. Nel gennaio scorso Lanzalone è stato rinviato a giudizio.Proprio in quell'inchiesta, l'imprenditore Luca Parnasi, abituato a ungere tutti i partiti, aveva ipotizzato più volte di affidare una consulenza, oltre che a Lanzalone, anche a Laghi (non indagato in questo procedimento). E alla vigilia dell'arresto dell'imprenditore i finanzieri avevano annotato una sua visita allo studio Laghi.Gatti e Laghi, stimati commercialisti e ricercati revisori dei conti (hanno ricevuto incarichi anche da Telecom, Rai, Snam, Seat, Leonardo, Atlantia, Total, Figc ecc. ecc.), sono indagati a Civitavecchia nell'inchiesta sul crac di Alitalia. Per entrambi le accuse sono svariate e gravi, a partire dal concorso in bancarotta fraudolenta. Gatti è anche sotto inchiesta a Roma per corruzione in atti giudiziari nella vicenda del concordato Astaldi, colosso delle costruzioni, dove agiva come attestatore.Per questi professionisti Fava aveva chiesto le manette. E quando lo faceva, solitamente, superiori e giudici le concedevano. Come è accaduto a molti altri colletti bianchi: magistrati, avvocati, commercialisti e imprenditori. Ma non in questo caso. Le motivazioni del diniego sono state depositate agli atti dell'inchiesta di Perugia (dove Fava è ancora indagato per rivelazione di segreto e abuso d'ufficio).La richiesta cautelare risale al 12 dicembre 2018 e riguarda un gruppo di professionisti coinvolti a vario titolo in Acea, la municipalizzata romana (quotata in Borsa) di acqua, gas e energia elettrica, di cui Lanzalone era diventato presidente con l'investitura della sindaca Virginia Raggi. L'inchiesta era partita intercettando un ex dirigente dell'Anas che aveva denunciato un'estorsione, tal Giovan Battista Papello. Il nome di quest'ultimo era già finito sui giornali ai tempi dell'inchiesta Why not, quando durante una perquisizione i finanzieri trovarono in casa sua un grembiulino da massone. Ebbene ascoltando le telefonate di Papello, Fava aveva ricostruito una presunta attività di corruzione con i soldi dell'Acea. Al termine delle indagini aveva chiesto l'arresto dell'ex presidente Lanzalone, del direttore affari e servizi corporate, Giuseppe Del Villano, del presidente del collegio sindacale di Acea, Laghi, e del sindaco Gatti.L'accusa per i quattro era di aver compiuto in favore di un altro commercialista, Marco Lacchini, «atti contrari ai doveri d'ufficio consistiti nell'affidamento al predetto Lacchini di tre incarichi di consulenza contabile», tra ottobre 2017 e febbraio 2018. Le consulenze avevano un valore complessivo di 67.760 euro, di cui 42.760 erano già stati pagati al momento della richiesta di arresto, mentre quella da 15.000 euro «era ancora in attesa di ultimazione e successivo pagamento».In cambio Lanzalone avrebbe ricevuto un incarico presso l'università di Cassino, in un corso in cui Lacchini era il docente di riferimento; Laghi e Gatti, invece, avrebbero ottenuto «che Lacchini si prodigasse per influenzare l'avvocato Vincenzo Ussani d'Escobar al fine di farlo desistere dal proseguire nell'azione intrapresa nell'ambito della procedura fallimentare pendente» nei confronti di una società campana di cui Laghi e Gatti erano i rappresentanti legali.A Gatti, Laghi, Lacchini e Rosina Cicchello, dipendente di Acea, Fava contestava anche la turbativa d'asta. Infatti per fargli ottenere una delle tre consulenze sopracitate, a Lacchini venne inviata una mail in cui lo si invitava «ad “adeguare" la propria precedente offerta di euro 45.000 all'importo inferiore di euro 39.000 –poiché altro concorrente cui non intendevano conferire l'incarico, aveva offerto tale minor prezzo – invito recepito senza indugio dal Lacchini».Quest'ultimo, come sottolinea Fava, scelse subito come avvocato Salvino Mondello, storico difensore dell'avvocato Amara e in stretti rapporti con il procuratore aggiunto Paolo Ielo (che per questo aveva chiesto in altro procedimento di astenersi, richiesta respinta da Pignatone).Nelle memorie depositate a Perugia, Fava evidenzia come dopo la richiesta di misure cautelari fosse iniziato un balletto in cui i superiori si sarebbero contraddetti sulle reali motivazioni della bocciatura dell'istanza di arresto.Infatti Ielo in una nota scrive a Fava: «Nei dissensi intervenuti in merito alla proposta di richiesta cautelare del dottor Fava non era compresa la posizione dell'indagato difeso dall'avvocato Mondello». Cioè Lacchini.Un altro procuratore aggiunto, Rodolfo Sabelli, però, ha messo nero su bianco una versione che appare contraddire Ielo: «Uno dei punti di dissenso riguarda il secondo aspetto dell'ipotesi di corruzione, ovvero l'interessamento di Lacchini presso l'avvocato Ussani d'Escobar» si legge nella comunicazione interna. In esso Sabelli risolve la discussione affidandosi a un linguaggio poco perspicuo: «Al riguardo allo stato attuale delle indagini appare rarefatto il rapporto sinallagmatico ipotizzato (l'interessamento di Lacchini) e l'atto dell'ufficio (il conferimento degli incarichi da Acea a Lacchini)». Ma i capi di Fava smontano anche la richiesta di arresto di Laghi: «L'intervento di quest'ultimo in tale ipotesi corruttiva non pare documentato dalle intercettazioni». Infine, pure sull'incarico universitario a Lanzalone i due aggiunti non rinvengono indizi «che comprovino l'intervento e la consapevolezza dei sindaci (Laghi e Gatti, ndr) nel conferimento di tale incarico».Lo stesso Pignatone, il 5 marzo 2019, conferma per iscritto che tra i motivi della bocciatura delle richieste di Fava, c'era Lacchini: «Il contrasto si è delineato in ordine alla richiesta della misura cautelare in carcere per Lanzalone Luca, Laghi Enrico, Gatti Corrado, Del Villano Giuseppe e Lacchini Marco».Alla fine Sabelli e Ielo non hanno apposto l'assenso e Pignatone ha tolto il fascicolo a Fava.Ma il procedimento non si è fermato e ha portato in carcere numerosi indagati. La maggior parte dei quali con le stesse imputazioni contestate da Fava. Nei loro casi i procuratori aggiunti e il gip hanno ritenuto che le accuse reggessero.