2023-08-06
Racket degli affitti a Firenze: arrestato lo zio di Kata. Ma la bimba non si trova
Nessuna traccia della peruviana scomparsa due mesi fa in un ex hotel occupato in città. Gli inquirenti pensano a una ritorsione per gli affari illegali della famiglia della piccola.Nel racket degli alloggi per stranieri lo zio della piccola Mia Kataleya Chicllo Alvarez detta Kata, cinque anni, peruviana, scomparsa ormai due mesi fa nell’ex hotel Astor, stabile del quartiere fiorentino di Novoli che era diventato il simbolo dell’occupazione abusiva tollerata dall’amministrazione dem di Dario Nardella, c’era dentro fino al collo. Almeno stando a quanto sostengono le toghe fiorentine che, ieri mattina, hanno mandato gli investigatori della Squadra mobile ad arrestarlo con l’accusa di estorsione. Carlos Martin Palomino De La Colina, l’uomo che avrebbe dovuto buttare un occhio su Kata mentre la mamma era a lavoro e il papà in galera, era, stando all’accusa, il ras dell’ex Astor. I magistrati l’avevano fatto capire: la scomparsa di Kata potrebbe essere una ritorsione nei confronti della famiglia. E il racket degli alloggi, in qualche modo, è l’ipotesi degli inquirenti, potrebbe portare dritto alla soluzione del giallo. Su disposizione del procuratore aggiunto Luca Tescaroli sono stati perquisiti anche i genitori della bambina, il nonno e due zii paterni, uno zio materno e la sua compagna. Con Carlos, invece, sono finiti in carcere altri tre peruviani: Manuel, Nicolas e Dominique. L'accusa: «In concorso tra loro e con altre dieci persone allo stato ignote [...] dopo che l’Astor era stato occupato abusivamente dal settembre 2022, Carlos, insieme a Dominique» avrebbe «esercitato una illegittima attività di compravendita del diritto a occupare le stanze», pretendendo «dalle persone che volevano entrare» 600 o 700 euro. Stando all’accusa si pagava pegno pure per le visite: tra i 15 e i 50 euro. Ma Carlos & co. Sono accusati anche del tentato omicidio dell’ecuadoregno che si lanciò (come ricostruì all’epoca La Verità) da una finestra del secondo piano dello stabile occupato per salvarsi dal pestaggio brutale al quale la presunta cricca di esattori condominiali l’avrebbe sottoposto. Il 28 maggio i quattro indagati, insieme a una falange di peruviani (i dieci ancora non identificati), irrompono nella stanza occupata dall’ecuadoregno (dopo aver tentato di far saltare la porta facendo esplodere delle bombole di gas) e, stando alla ricostruzione degli inquirenti, con mazze da baseball e bastoni lo pestano. Proprio Carlos, mentre continuava a colpirlo con calci e pugni, gli avrebbe gridato: «Ti uccido, figlio di pxxxxa». Poi escono per proseguire il raid con altri occupanti. E quando tornano, l’ecuadoregno si appende con le mani al davanzale e si fa cadere al suolo da 7 metri e mezzo d’altezza. Oltre alle tumefazioni per le botte, la vittima ha rimediato pure una serie di fratture. Ed è scattata l’accusa di tentato omicidio, perché, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare, gli indagati avrebbero commesso «atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare la morte» dell’ecuadoregno. Uno della teppaglia peruviana, con l’ecuadoregno stramazzato nel cortiletto, affacciatosi alla finestra, ha riferito una testimone, ha anche commentato: «Quel finocchio si è buttato». Dalle testimonianze raccolte dagli inquirenti è saltato fuori che Carlos avrebbe sfrattato addirittura i figli per affittare le stanze a inquilini che pagavano. I racconti dei testimoni sono zeppi di storie di inquilini cacciati dall’Astor (comprese le famiglie con bambini in tenera età) e di soldi estorti per le stanze o anche solo per un allaccio alla corrente elettrica. Il gip che li ha privati della libertà, Angelo Antonio Pezzuti, spiega nell’ordinanza che «ci troviamo in presenza di persone straniere, alcune prive di permesso di soggiorno, carenti di una fissa dimora, senza alcuna stabile occupazione e sprovviste di redditi leciti». Carlos, inoltre, si porta dietro una condanna per lesioni e due denunce per rissa e resistenza a pubblico ufficiale. Ciò non gli ha impedito di presentare una richiesta per il permesso di soggiorno. E pensare che gli occupanti dell’Astor avevano trovato nella politica una sponda. La barricata a sinistra l’avevano alzata Dmitrij Palagi e Antonella Bundu di Progetto Comune: «Al problema delle occupazioni non si risponde con gli sgomberi ma garantendo un diritto costituzionale, quello alla casa». Dall’altro lato (ma solo dopo la scomparsa di Kata) si è schierato Matteo Renzi, che ha sfruttato l'occasione per prendersela con la Procura che ha arrestato i suoi genitori e messo sotto inchiesta un bel po’ del parentado: «In questa città la Procura pensi a sgomberare gli immobili o a sgomberarli in tempo, perché se non ha sgomberato l’ex Astor a settembre, doveva farlo il 10, 11 giugno». E ancora: «Quando il 10 giugno sparisce Kata la prima cosa da fare è sgomberare subito. E invece hanno atteso, ma cosa hanno aspettato i signori della Procura di Firenze? La Procura di Firenze ha una responsabilità atroce». Stessa linea tenuta dal Riformista che per prendersela con il procuratore facente funzioni Luca Turco, ha paragonato l’inchiesta sulla scomparsa di Kata a quella sul mostro di Firenze, «due vicende», secondo il Riformista, «nelle quali la responsabilità dell’ufficio della Procura è talmente evidente da risultare imbarazzante».
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