
Seconda puntata dell'inchiesta Mensa dei poveri. Per il gip l'esponente di Forza Italia, ora ai domiciliari con il candidato leghista di Varese Paolo Orrigoni, è «giovane» ma già «esperta di schemi criminosi». In carcere l'ex direttore dell'agenzia per il lavoro Afol.Giovane ma con esperienza da vendere. E anche se non è più parlamentare europea, è comunque responsabile di alcune associazioni, quindi è «indiscutibile» che la sua «rete relazionale, trasversale fra alti livelli politici e imprenditoriali», possa «costituire un utile volano per ulteriori attività illecite». Il tutto aggravato dal poter contare «sulla sua visibilità politica». Del resto, «nonostante la giovane età Comi ha mostrato esperienza nel fare ricorso a collaudati schemi criminosi». Sono le valutazioni con le quali ieri il gip di Milano Raffaella Mascarino ha privato della libertà personale Lara Comi, ex deputata europea di Forza Italia, disponendo per lei gli arresti domiciliari. È il colpo di coda dell'inchiesta che la Procura di Milano ha denominato Mensa dei poveri, sei mesi dopo la retata che spalancò le porte del carcere per 43 indagati. Oltre all'ex europarlamentare forzista sono stati disposti i domiciliari anche per l'imprenditore varesino Paolo Orrigoni, proprietario della catena dei supermercati Tigros, ex candidato sindaco a Varese nel 2016 considerato come vicino alla Lega (accusato di aver pagato una tangente per far cambiare la destinazione d'uso di un terreno sul quale far sorgere un market). È finito dietro le sbarre, invece, Giuseppe Zingale, ex direttore generale dell'agenzia per il lavoro Afol, sospeso il primo ottobre e poi licenziato. Il 30 settembre la guardia di finanza notificò l'avviso di conclusione delle indagini preliminari e i tre, già coinvolti insieme ad altre 68 persone, probabilmente tirarono un sospiro di sollievo. Comi si difese pubblicamente sostenendo di sentirsi serena e pronta a chiarire. Secondo il gip, invece, avrebbe «pianificato» reati, alcuni dei quali commessi fino a fine marzo 2019. Viene descritta nei documenti giudiziari come una giovane politica cinica e avida «di incarichi di sempre maggiore influenza e molto remunerativi». Una che aveva capito bene come «sfruttare al meglio», scrive il giudice nell'ordinanza, «la sua rete di conoscenze al fine di trarre dal ruolo pubblico [...] il massimo vantaggio in termini economici e di ampliamento della propria sfera di visibilità». Le accuse sono contenute in sette capi d'imputazione che, tranne in due casi, erano già stati contestati agli indagati. La protagonista indiscussa dell'ordinanza, con cinque accuse, è Lara Comi, indagata per corruzione in relazione a una consulenza che l'avvocato ligure Maria Teresa Bergamaschi ha incassato dalla Afol di Zingale. Ma l'ex eurodeputata è sospettata anche di due truffe ai danni del Parlamento europeo. Una riguarda la restituzione in contanti di una fetta dello stipendio del suo ex addetto stampa, al quale, però, secondo l'accusa, era prima stato portato da mille e 3.000 euro al mese (denaro rimborsato dal Parlamento europeo). Per l'addetto stampa però non si era trattato di un aumento reale, visto che, stando a quanto ritengono di aver ricostruito i magistrati, circa 2.000 euro sarebbero poi tornati nelle tasche di Comi.L'altra presunta truffa riguarda l'innesto tra i collaboratori della Comi di Nino Caianiello, ex coordinatore provinciale di Forza Italia, ritenuto dagli investigatori il vero regista delle mazzette. Che, nelle conversazioni intercettate, addirittura redarguisce quella che nel documento giudiziario viene definita dal gip «l'abile» eurodepuata, perché «di alcuni argomenti», sostiene Caianiello, «bisogna trattare di persona». Terza accusa: Comi risulta indagata per un finanziamento illecito di 31.000 euro. Il denaro sarebbe arrivato attraverso finte consulenze a una società di Marco Bonometti, attuale presidente di Confindustria Lombardia, anche lui già indagato nel filone principale. È ancora una volta Caianiello, gola profonda dell'inchiesta, a spifferare tutto ai magistrati: «La Comi, a seguito della mancata candidatura alle elezioni politiche nazionali cui lei fortemente aspirava, ha iniziato a spaventarsi, ragione per la quale ha iniziato ad andare spasmodicamente alla ricerca di finanziamenti e alleanze politiche». Caianiello racconta di incontri a casa di Mariastella Gelmini, alla presenza di Bonometti. E siccome l'altro ex collaboratore della Comi, Andrea Aliverti, ritenuto dai magistrati un teste importante per il solo fatto di aver svolto «la qualifica di addetto stampa durante la campagna per le elezioni europee», conferma il sostegno e la presenza di Bonometti, scatta anche l'accusa di finanziamento illecito. Una delle due consulenze sarebbe stata scopiazzata da una tesi di laurea reperibile in Rete. L'altra presenterebbe ampi passi tratti da alcuni studi presenti sui siti web di Casaleggio. Il gip le liquida con queste parole: «La più completa inutilità, la mancanza di un reale valore scientifico, l'assenza di originalità». A questo punto, l'ultima contestazione, legata alla precedente, è per aver emesso una falsa fattura per le consulenze. Il cerchio ormai era stretto attorno all'ex deputata azzurra e a lei non restava che preparare la difesa. In una conversazione intercettata con Bergamaschi cerca di concordare le versioni da fornire ai magistrati. «Oggi dirò che non ho mai preso 17.000 euro…». L'ex stretta collaboratrice, però, dopo aver raccolto le confidenze dell'ex eurodeputata, il 14 maggio in Procura l'ha scaricata: «Il 15 dicembre 2018 mi arrivò un messaggio di Lara Comi [...] mi scriveva “Zingale vorrà un regalo di Natale"». Con un po' di anticipo il regalo di Natale è invece arrivato a lei, riempita pure di insulti sulla sua pagina Facebook, proprio sotto il post dedicato al papà operato al cuore.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.
Maria Rita Parsi critica la gestione del caso “famiglia nel bosco”: nessun pericolo reale per i bambini, scelta brusca e dannosa, sistema dei minori da ripensare profondamente.






