2021-06-12
«Armanna ha inquinato l’inchiesta». Milano garantì per Amara: è pentito
Il testimone chiave del processo farsa all'Eni era stato dichiarato «inattendibile» dal pm Paolo Storari a Brescia. L'avvocato (di recente arrestato) sponsorizzato dalla Procura lombarda. E spunta anche un giro di dollariIl paladino dell'inchiesta sull'Eni che la Procura di Milano ha difeso con tutte le forze fino all'ultima udienza era inattendibile. E i magistrati che hanno sostenuto l'accusa in giudizio lo sapevano. Era stato il pm Paolo Storari a segnalarlo ai vertici dell'ufficio. E ora sta venendo tutto fuori nell'indagine aperta a Brescia, competente a indagare sulle toghe milanesi. Agli atti dell'inchiesta dei pm di Brescia, nella quale l'aggiunto Fabio De Pasquale, braccio destro del procuratore Francesco Greco, e il sostituto Sergio Spadaro sono accusati di rifiuto di atti d'ufficio per non aver depositato materiale probatorio nel processo sul caso Eni-Nigeria. E tra i documenti non depositati ci sarebbero anche alcune email inviate da Storari, nelle quali il magistrato faceva notare l'inattendibilità dell'ex manager dell'Eni Vincenzo Armanna, diventato nel processo il testimone chiave. Storari, interrogato lo scorso maggio a Brescia, avrebbe dichiarato che sentire ancora a verbale l'ex dirigente sarebbe stato dannoso per le indagini sul «falso complotto Eni», organizzato dall'avvocato faccendiere Piero Amara, di cui era titolare assieme all'aggiunto Laura Pedio.Tra gli elementi che compongono il fascicolo aperto dal procuratore capo Francesco Prete è presente inoltre un messaggio di Armanna inviato al super poliziotto nigeriano Isaak Eke: nel testo l'ex manager licenziato dal Cane a sei zampe chiede all'ufficiale africano la restituzione di 50.000 dollari. Non bisogna dimenticare che è stato lo stesso Armanna a indicare come teste Eke, il quale avrebbe dovuto confermare le accuse nei confronti dei suoi vecchi datori di lavoro. Il testo fa parte dei documenti che De Pasquale e Spadaro non hanno depositato nel corso del procedimento.È evidente che nel caso Eni Nigeria, riguardante la licenza di estrazione di petrolio dal sito Opl 245, molto, se non tutto, ruotava intorno al denaro. D'altra parte il valore di quella licenza si aggirava attorno agli 1,1 miliardi di euro. Eppure i soggetti che si sono maggiormente arricchiti grazie al colosso energetico italiano sembrano essere gli stessi testimoni usati dalla Procura milanese. Si tratta di denaro che sarebbe stato accumulato nel corso degli anni e nascosto all'estero. La difesa, durante il processo conclusosi lo scorso 17 marzo, ha prodotto fatture per decine di milioni transitate su conti correnti a Dubai e originati da curiose triangolazioni. E c'è tutto un capitolo sull'oro nero iraniano, soggetto a embargo, che i testi della Procura avrebbero cercato di vendere all'Eni; poi c'è anche il commercio di polietilene e di nafta, anch'essi di origine dubbia. Un giro d'affari «parallelo» fra i 70 e i 100 milioni di euro, documentato, ma sui quali i pm non hanno mai messo le mani. «Non escluderei che arrivi un avviso di garanzia... mi adopero perché gli arrivi», sono le parole utilizzate da Armanna nel video girato dal suo vecchio socio Amara. Chi è veramente quest'ultimo? Un avvelenatore di pozzi o un «pentito» credibile? I titolari dei fascicoli sul falso complotto e presunta loggia segreta Ungheria, Pedio e Storari lo descrivono in un documento mostrato anche dalla trasmissione tv Piazza Pulita e indirizzato al Tribunale di sorveglianza di Roma (distretto giudiziario dove Amara ha patteggiato delle condanne per corruzione in atti giudiziari). «Dopo una prima fase nella quale egli ha reso dichiarazioni parziali […] ha intrapreso un percorso di collaborazione che ha consentito a questo Ufficio di acquisire elementi importanti al patrimonio conoscitivo dell'indagine». E ancora: «L'atteggiamento collaborativo ad oggi tenuto dall'indagato e la rilevanza del contenuto delle sue ampie dichiarazioni consentono fondatamente di ritenere che egli abbia rescisso i legami con l'ambiente criminale nel quale sono maturate le condotte illecite per le quali è indagato e che egli si sia effettivamente ravveduto rispetto a scelte devianti». Parole che certificherebbero la bontà delle dichiarazioni di Amara, ma soprattutto la sua volontà di collaborazione. Peccato che pochi giorni fa l'avvocato originario di Augusta (Siracusa) sia stato condotto nuovamente in carcere a Potenza, dove la Procura guidata da Francesco Curcio gli contesta l'ennesimo episodio di corruzione in atti giudiziari. Grazie anche al suo contributo, la Procura di Taranto, in cui era stato nominato come capo Carlo Capristo (per lui il gip di Potenza ha disposto l'obbligo di dimora), si sarebbe ammorbidita nei confronti dell'Ilva. È stato lo stesso Amara a definire il pm Storari un «ingenuo». Davanti a lui però ha riempito pagine e pagine di verbali piene di dichiarazioni. Come già aveva fatto in altre Procure, mischiando bugie a mezze verità. Resta da capire quali.