2020-04-22
Arcuri tira dritto su Immuni. Tutti sotto controllo oppure si rimane segregati
Ma scaricare l'app, assicura il commissario, «sarà volontario e non un lasciapassare». Dubbi sulla privacy. Flop di Singapore e bachi del sistema olandese. Meglio i tamponi.Un'app che traccia i contagi. Dopo lunga traversata nel deserto, il governo trova l'idea per far rialzare l'Italia. La panacea è tecnologica. Finalmente, spunta una fertile oasi tra le aride lande giallorosse. Diavolo d'un Giuseppi! Pensavamo fosse solo un giurista d'altri tempi, tutto pochette e baciamano, e invece lui che fa? Attorniato dalla selva di task force governative e ministeriali, il nostro premier mutua dai Paesi più tecnologici l'applicazione che ci riporterà a vivere. Basta insuccessi. Mascherine fuori norma, mancate zone rosse, decreti nottetempo. L'app Immuni interromperà il filotto degli errori. Bisogna scaricare l'app, inserire i dati sanitari, attivare il bluetooth. E, per ogni contatto a rischio, ecco l'avviso salva Covid. Tutta la popolazione sotto controllo. Un tecnologico uovo di Colombo.La trovata giallorossa ha già però trovato critiche selvagge. Scelta senza aver testato nemmeno la versione definitiva. Avrebbe problemi sulle notifiche. E Google e Apple avanzano dubbi: funzionerà sui loro sistemi operativi? Ma l'aspetto più controverso è la privacy. Quasi tutto l'arco parlamentare è in allerta. Perfino il Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza, ha appena avviato un'indagine conoscitiva. Così ieri c'ha pensato Conte, in una delle ormai rare apparizioni al Senato, a rassicurare gli animi. Prima, con usuale linguaggio involuto, ha chiarito la strategia: «Il governo punta al rafforzamento della strategia di mappatura dei contatti esistenti e di teleassistenza con l'utilizzo delle nuove tecnologie». Poi, ha assicurato: «Il tracciamento è necessario per evitare la diffusione del virus. Ma il suo utilizzo sarà su base volontaria e non ci saranno limitazioni per chi non la scarica». Insomma, chi non vuole l'app, temendo magari per i suoi dati, potrà farlo. Sicuro? Quasi. «Cercheremo con ogni forza di spiegare agli italiani che la partecipazione sarà un sinonimo di generosità, comunità e solidarietà» spiega solo qualche ora prima Domenico Arcuri. Però scaricare l'app, assicura, «non sarà un lasciapassare». Gli italiani, dunque, possono stare tranquilli: chi usa Immuni non godrà della semilibertà provvisoria. Al massimo, di «qualche facilitazione di natura sanitaria» annuncia il commissario per l'emergenza coronavirus. E poi, nessun obbligo. Ci mancherebbe. Del resto, l'alternativa al contact tracing i giallorossi ce l'avrebbero già: prolungare la clausura. O meglio: «Non alleggerire le misure, privandoci di quote importanti della nostra libertà come in queste settimane è accaduto» riformula Arcuri. Non volete dunque l'applicazione? Peggio per voi. Il governo è pronto a buttare le vostre chiavi di casa. E i paventati rischi per la sicurezza e la privacy? I dati anagrafici e sanitari, chiarisce il commissario, saranno conservati su una «infrastruttura pubblica e italiana». L'oscuro burocratese potrebbe celare risvolti orwelliani? Chissà. Perfino l'epidemiologo Gianni Rezza, dell'Istituto superiore di sanità, derubrica fatalista: «La nostra privacy è finita da tempo. Quando apro il mio telefono vedo che sa già qual è il mio ristorante preferito. E adesso siamo tutti gelosi davanti un problema serio, come la nostra salute? Più alta è la partecipazione, più efficace è il sistema». Concetto strenuamente ribadito anche da Arcuri.Qual è dunque la salvifica percentuale di partecipazione? Altissima. Tanto che il metodo non ha funzionato nemmeno nell'ipertecnologica Singapore. Qualche giorno fa persino Jason Bay, direttore del servizio digitale nel Paese, ha alzato bandiera bianca: «Il sistema di tracciamento dei contatti tramite bluetooth, in qualsiasi parte del mondo, non è pronto a sostituire il tracciamento manuale dei contatti». Ovvero, i classici tamponi. Il motivo sarebbe semplice: l'intelligenza artificiale non coglie i falsi positivi e i falsi negativi. Per questo, l'app serve soltanto a integrare i test classici. E non a sostituirli, come si lascia intendere in Italia. Difatti, nonostante la massiccia campagna informativa del governo di Singapore, solo una persona su sei l'ha scaricata. Le remore del Paese asiatico sono state recepite pure dall'eHealth network dell'Ue. L'organismo europeo ha già redatto un documento per gli Stati membri: «ll caso Singapore e uno studio dell'università di Oxford indicano che almeno il 60 per cento della popolazione deve possedere l'app affinché sia efficiente». Altrimenti, è tutto inutile. A Singapore, ad esempio, usa il contact tracing solo un milione di persone. Ma, per essere davvero strategico, dovrebbero averlo ben 4,3 milioni di abitanti: tre quarti della popolazione. Percentuale difficile da raggiungere. Anche perché, sottolinea l'Unione, l'utilizzo dell'app deve essere «temporaneo e volontario». Mentre in Italia, al contrario, si ipotizzano velate e indirette coercizioni: meglio adoperarsi o si resta a casa ad libitum. Pure la violazione della privacy non sarebbe soltanto il paventato cavillo. Il primo inciampo c'è già stato in Olanda, dove si sperimenta un'app simile a quella italiana. Sono state resi pubblichi circa duecento nomi, email, password criptate. Un problema «risolto in mezz'ora». Spiegazione, a dire il vero, poco confortante. Resterebbero quindi i braccialetti elettronici, sperimentati altrove con fortuna. Ipotesi esclusa ieri da Arcuri. L'Italia però tira dritto con il suo Immuni. Forse, per nascondere l'inconfessabile: meglio il baco informatico che i perseveranti errori umani dei giallorossi.
Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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