2025-02-07
«Non mi piacciono le posizioni di tutela delle minoranze in genere, specie se sono paternalistiche»
Nel riquadro la dottoressa Antonia Restori, psicologa presso l'Asl di Parma
Un episodio risalente alla fine del 2021, quando la dottoressa fu accusata pubblicamente di procacciarsi incontri intimi sul Web, pubblicando foto esplicite e chiedere denaro ai clienti. «Uno scambio di persona che mi ha portata a vivere dolorosi momenti mortificanti, di delusione e preoccupazione per la mia immagine professionale e sociale», confida. Accuse nate da segnalazioni provenienti da una persona seguita dalla psicologa al Centro di consulenza e terapia della famiglia. I motivi li spiega la vittima: «In primis la reazione di un utente che ha voluto attaccare la mia professione, mosso da preoccupazioni circa alcune scelte cliniche che stavo assumendo in tutela dei suoi figli e dell’ex coniuge. Questo attacco si è tramutato nella decisione di fornire informazioni infondate sulla mia figura attraverso mezzo stampa. In secondo luogo», aggiunge Restori, «credo che diffamare una persona transgender sia una pratica purtroppo ancora diffusa socialmente in quanto appartenente a una identità di genere non ancora ritenuta pienamente accettabile e credibile. Mai avrei pensato a un attacco del genere, da una persona che stavo seguendo nella clinica. Ma tant’è, è avvenuto, e credo che in forme diverse continui ad accadere a decine e centinaia di persone transgender e Lgbt+». Dinamiche che Restori si impegna a contrastare, proponendo un «dialogo di apertura costruttiva, attraverso la stessa testata giornalistica che ha inavvertitamente fatto da eco a una diffamazione contro la mia persona, un dialogo capace di portare a conoscenza e comprendere meglio l’esperienza transgender nella realtà sociale attuale italiana, senza alcuna intenzione da parte mia di infierire contro giornalisti o persone». Tutto ciò, tuttavia, senza pretendere dai media un approccio ideologico aprioristicamente propenso ad accogliere ogni istanza Lgbt: «Non mi piacciono le posizioni di “tutela” verso le minoranze in generale, in modo particolare quando assumono posizioni paternalistiche spesso interpretate da certe sinistre che si caricano di queste battaglie a fini a volte propagandistici» specifica la psicologa, «così come non credo necessari movimenti scomposti di certe destre che reagiscono con posizioni reazionarie, difensive e iper tradizionaliste. Credo invece che queste dinamiche socio-politiche contrapposte alla fine danneggino le stesse persone transgender, che invece necessitano di un clima relazionale e sociale più sensibile e aperto a un dialogo costruttivo», poiché «ci sono tanti punti di vista che vanno quanto meno ascoltati senza giudizio. Più che in cambiamenti di rottura, credo nelle rivoluzioni gentili», spiega Restori, che a tal proposito cita il discusso Ddl Zan, affossato dal voto in Aula nel 2021, che prevedeva di ampliare la cosiddetta legge Mancino, inserendo accanto alle discriminazioni per razza, etnia e religione anche quelle per sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità. «Credo che il Ddl si sia arenato soprattutto sulle questioni legate al genere per un eccesso politico di tracotanza. Credo sarebbe passato se nel disegno non si fosse insistito sull’insegnamento degli studi di genere nelle scuole primarie». Diverse le iniziative che nel frattempo la dottoressa ha concretizzato per contrastare le criticità riguardanti l’approccio verso le persone transgender e l’identità di genere: «Da alcuni anni, all’interno della mia Asl, sto cercando di portare il mio contributo insieme a tanti colleghi al fine di sensibilizzare il mondo dei servizi socio-sanitari nella capacità di rendere possibili percorsi di ascolto e partecipazione attiva di persone transgender. È un percorso lungo che l’Istituto superiore di sanità promuove da tempo in diverse Aziende sanitarie. C’è molta sofferenza in una diffusa parte della popolazione, non solo giovanile, attorno alle tematiche di genere, che coinvolge anche genitori, insegnanti, comunità religiose, associazioni sportive, sociali e ricreative. Occorre insistere», ribadisce Restori, «nella promozione di dialoghi aperti nella cittadinanza attiva, capaci di includere le preoccupazioni di tutta una comunità di persone che va aiutata a costruire pazientemente convivenze umane sostenibili e rispettose delle diverse espressioni di esistenza».
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La dottoressa Antonia Restori è una psicologa dell’Asl di Parma, responsabile di un Centro di terapia Famigliare e direttrice didattica di una scuola Postuniversitaria di psicoterapia. «Sono anche una persona transgender che da alcuni anni ha deciso di fare “passing” (che significa “passare oltre”, esporsi fuori), affermando la propria nuova identità di genere», spiega inoltre alla Verità. «Due anni fa sono stata attaccata attraverso l’utilizzo di foto e chat diffamanti che si riferivano a persona diversa da me», racconta Restori.Un episodio risalente alla fine del 2021, quando la dottoressa fu accusata pubblicamente di procacciarsi incontri intimi sul Web, pubblicando foto esplicite e chiedere denaro ai clienti. «Uno scambio di persona che mi ha portata a vivere dolorosi momenti mortificanti, di delusione e preoccupazione per la mia immagine professionale e sociale», confida. Accuse nate da segnalazioni provenienti da una persona seguita dalla psicologa al Centro di consulenza e terapia della famiglia. I motivi li spiega la vittima: «In primis la reazione di un utente che ha voluto attaccare la mia professione, mosso da preoccupazioni circa alcune scelte cliniche che stavo assumendo in tutela dei suoi figli e dell’ex coniuge. Questo attacco si è tramutato nella decisione di fornire informazioni infondate sulla mia figura attraverso mezzo stampa. In secondo luogo», aggiunge Restori, «credo che diffamare una persona transgender sia una pratica purtroppo ancora diffusa socialmente in quanto appartenente a una identità di genere non ancora ritenuta pienamente accettabile e credibile. Mai avrei pensato a un attacco del genere, da una persona che stavo seguendo nella clinica. Ma tant’è, è avvenuto, e credo che in forme diverse continui ad accadere a decine e centinaia di persone transgender e Lgbt+». Dinamiche che Restori si impegna a contrastare, proponendo un «dialogo di apertura costruttiva, attraverso la stessa testata giornalistica che ha inavvertitamente fatto da eco a una diffamazione contro la mia persona, un dialogo capace di portare a conoscenza e comprendere meglio l’esperienza transgender nella realtà sociale attuale italiana, senza alcuna intenzione da parte mia di infierire contro giornalisti o persone». Tutto ciò, tuttavia, senza pretendere dai media un approccio ideologico aprioristicamente propenso ad accogliere ogni istanza Lgbt: «Non mi piacciono le posizioni di “tutela” verso le minoranze in generale, in modo particolare quando assumono posizioni paternalistiche spesso interpretate da certe sinistre che si caricano di queste battaglie a fini a volte propagandistici» specifica la psicologa, «così come non credo necessari movimenti scomposti di certe destre che reagiscono con posizioni reazionarie, difensive e iper tradizionaliste. Credo invece che queste dinamiche socio-politiche contrapposte alla fine danneggino le stesse persone transgender, che invece necessitano di un clima relazionale e sociale più sensibile e aperto a un dialogo costruttivo», poiché «ci sono tanti punti di vista che vanno quanto meno ascoltati senza giudizio. Più che in cambiamenti di rottura, credo nelle rivoluzioni gentili», spiega Restori, che a tal proposito cita il discusso Ddl Zan, affossato dal voto in Aula nel 2021, che prevedeva di ampliare la cosiddetta legge Mancino, inserendo accanto alle discriminazioni per razza, etnia e religione anche quelle per sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità. «Credo che il Ddl si sia arenato soprattutto sulle questioni legate al genere per un eccesso politico di tracotanza. Credo sarebbe passato se nel disegno non si fosse insistito sull’insegnamento degli studi di genere nelle scuole primarie». Diverse le iniziative che nel frattempo la dottoressa ha concretizzato per contrastare le criticità riguardanti l’approccio verso le persone transgender e l’identità di genere: «Da alcuni anni, all’interno della mia Asl, sto cercando di portare il mio contributo insieme a tanti colleghi al fine di sensibilizzare il mondo dei servizi socio-sanitari nella capacità di rendere possibili percorsi di ascolto e partecipazione attiva di persone transgender. È un percorso lungo che l’Istituto superiore di sanità promuove da tempo in diverse Aziende sanitarie. C’è molta sofferenza in una diffusa parte della popolazione, non solo giovanile, attorno alle tematiche di genere, che coinvolge anche genitori, insegnanti, comunità religiose, associazioni sportive, sociali e ricreative. Occorre insistere», ribadisce Restori, «nella promozione di dialoghi aperti nella cittadinanza attiva, capaci di includere le preoccupazioni di tutta una comunità di persone che va aiutata a costruire pazientemente convivenze umane sostenibili e rispettose delle diverse espressioni di esistenza».
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)