2024-11-19
Così il multiculturalismo unilaterale porta la legge della sharia in Europa
«Non si gioca con il genocidio». Le proteste prima della partita di calcio Francia-Israele a Parigi.
L’accoglienza indiscriminata sta trascinando la società a una resa totale all’islam radicale, tanto da tacere su certi fatti di cronaca per paura delle reazioni dei seguaci di Allah. Un deciso passo verso l’autodistruzione.Non è accaduto niente. Come nella mitica vignetta di Altan. Un cronista spiega al suo capo: «Non è successo un tubo». E quello: «Mandiamo tre inviati e titoliamo “Tragico vuoto”». A questo ci siamo ridotti: a tirare un sospiro di sollievo perché la notizia non c’è stata.In occasione della partita Francia-Israele di giovedì sera, infatti, niente «caccia all’ebreo» sotto la torre Eiffel, nessun remake del pogrom di Amsterdam per l’incontro Ajax-Maccabi. La verità è che ormai ci siamo così assuefatti al clima di antisemitismo (un cinema a Milano che non ospita il film su Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz, per paura di contestazioni; un albergatore di Selva di Cadore che straccia la prenotazione di turisti israeliani: «In quanto responsabili di genocidio, non siete clienti ben accetti» - per poi fare dietrofront e scusarsi; l’odio per il «giudeo» mimetizzato da presunta battaglia politica contro il sionismo), da non considerarlo quasi più nemmeno un problema - se non per i diretti interessati, ovvio.In realtà è il sintomo di una patologia sociale più grave. La rassegnata accettazione, se non la resa, in nome di un malinteso «multiculturalismo», alle forme più radicali in primis dell’islamismo, che ha l’obiettivo di implementare - con le buone (giorno dopo giorno) o con le cattive (con spargimento di sangue: l’Europa l’ha scoperto sulla sua pelle) - le linee guida della sharia. Perché vanno bene accoglienza e integrazione, ma come e a quali condizioni? Io ho addirittura una t-shirt con il logo Coexist scritto con la «c» a forma di mezzaluna araba, la «x» come stella di David stilizzata, la «t» a forma di croce cristiana (lo mostravano Bono Vox e gli U2 nei loro concerti). Ma l’impressione è che si faccia, citando Lenin, «un passo avanti e due indietro».Mercoledì ricorrevano i nove anni dai 130 assassinati di Parigi, tra Bataclan e bistrot all’aperto. Caduti sull’asfalto e nel dimenticatoio.Ha osservato su X l’utente @veneto_, postando la foto di Valeria Solesin, veneziana ventottenne, spirata al Bataclan: «Ciao Valeria, 9 anni sono passati. La gente se ne dimentica. In Veneto, no». Ciliegina sulla torta: viale Mazzini, avendo in casa un signor film in prima visione assoluta sulla notte dell’eccidio - November (2022), con il premio Oscar Jean Dujardin - ha preferito tumularlo su Rai4, anziché portarlo sugli schermi di Rai1 al posto di Gifted - Il dono del talento, storia di un uomo che cresce da solo la nipote, figlia della sorella morta. Tirèmm inànz. Un amarcord tira l’altro. Rimanendo in Francia: sempre nel 2015, ma a gennaio, erano stati massacrati i giornalisti di Charlie Hebdo. Coincidenza macabra: la mattina dell’assalto, il 7, arrivò nelle librerie il romanzo di fantapolitica Soumission, Sottomissione, in cui lo scrittore Michel Houellebecq - immaginando l’ascesa al potere per il 2022 di un partito islamista - ammoniva che antisemitismo e antisionismo non erano scomparsi, e che la questione palestinese riveste sempre grande importanza per gli arabi e i musulmani d’oltralpe.Sempre in Francia: il 16 ottobre 2020 veniva decapitato il mite professore di liceo Samuel Paty. La sua colpa? Aver provato a far discutere i suoi allievi (tra cui non pochi musulmani) sulla libertà di parola, mostrando loro due vignette raffiguranti Maometto pubblicate proprio da Charlie Hebdo.Lo scorso 4 novembre si è aperto il processo - davanti alla Corte d’assise speciale di Parigi ma nel disinteresse dei più - agli otto adulti coinvolti nella pianificazione dell’assassinio di Paty, mentre sei studenti, tutti minorenni, sono già stati processati e condannati a pene lievi: libertà vigilata o detenzione inferiore ai 24 mesi. E sempre a proposito di anniversari passati in cavalleria (quando non passa una settimana senza una «giornata mondiale»: della gentilezza e dell’amicizia, del pinguino e dell’orso marsicano, della rava e della fava). Il 2 novembre 2004, 20 anni fa, in pieno giorno nel centro di Amsterdam, viene ammazzato il regista Theo van Gogh, discendente del fratello del grande pittore. L’assassino poi condannato all’ergastolo, con doppia cittadinanza (marocchina e olandese), gli spara, gli taglia la gola e gli pianta il coltello nella pancia. Per fissare un documento con deliranti minacce all’Occidente, agli ebrei e ad Ayaan Hirsi Ali, da allora messa sotto scorta, l’attivista somala naturalizzata olandese con cui van Gogh aveva realizzato, in chiave critica, il cortometraggio Submission, Sottomissione (come Houellebecq, ma prima), sulla condizione femminile nell’Islam.Tutte ricorrenze verso cui è scattata una sorta di rimozione collettiva.Come se ci fosse timore, omaggiando il ricordo delle vittime, di provocare ulteriori reazioni dei jihadisti che si considerano in missione per conto di Allah. Francia, Olanda. La prima, la nazione con il maggior numero di musulmani (tra il 5 per cento e il 10 per cento della popolazione, pari a 68 milioni di abitanti). La seconda, quella con una delle capitali con la più alta percentuale di islamici, il 15 per cento dei residenti, 150.000 su circa un milione. In Italia siamo intorno a 1,5 milioni, secondo la Fondazione Ismu, Iniziative e studi sulla multietnicità. Felicemente integrati, e rispettosi di leggi, usi e costumi del Paese in cui vivono? A seguire la cronaca, di certo non tutti.Gli accadimenti emblematici si susseguono. Da ultimo: a Modena una quindicenne è aggredita da tre coetanee (vittima e picchiatrici, tutte di origine marocchina) per essersi tolta, peraltro d’accordo con la famiglia, il velo d’ordinanza.A Figline Valdarno, piscina chiusa agli uomini per consentire alle donne musulmane di fare un bagno in santa pace. Ergo: per includere, si esclude. Un capolavoro. Non solo: visto che tale ghettizzazione è per loro normale, ma da noi no, che si fa? Si abdica ai nostri principi, avallando l’apartheid.Fatevi poi un giro sui siti che si occupano di diritto e giustizia, e leggete quali e quanti processi a stranieri, imputati di violenze su donne e minori, si sono conclusi o con l’assoluzione o con condanne lievi. Il motivo? Trattasi di reati «culturalmente motivati». In sintesi: gli accusati non sono punibili per assenza di dolo, non sapevano di commettere un delitto perché nei Paesi da cui provengono si fa così. A casa loro, appunto. Non da noi, educati a sanzionare, e pure pesantemente, quelle condotte.A segnalare l’andazzo, però, si finisce tacciati, come rilevato financo da Sabrina Ferilli, di cattivismo o di fascismo. Che è un’accusa prêt-à-porter: standard, e si porta con tutto. Te la becchi anche se osservi in modo neutro, quanto alla commissione di reati, che tra gli immigrati c’è una certa qual propensione al crimine. Che sarebbe «un legame smentito dai dati», secondo un post de lavoce.info dell’ottobre 2022. Un link sconfessato nel titolo, ma confermato nell’articolo.Che non può sottacere il fatto che gli stranieri, essendo «il 10 per cento della popolazione», delinquono percentualmente quanto il - e in qualche caso più del - rimanente 90 per cento costituito da «autoctoni», cioè da italiani. Numeri a parte, c’è poi la percezione del fenomeno. Su cui ha messo in guardia perfino Concita De Gregorio, non certo un’aficionada di Giorgia Meloni, che, reduce da un viaggio in Francia, ha firmato uno sconsolato resoconto per La Stampa: «Politically correct, perché la sinistra perderà per anni. Tre storie francesi». Sommario: «Aneddoti di vita quotidiana che aiutano a capire dove si annida il seme dell’autodistruzione».La scuola di danza classica in cui gli insegnanti, se devono toccare le allieve per correggerne i movimenti, lo fanno con un bastone. Per non essere accusati di molestie.La lezione di teatro in un istituto superiore di belle arti, con i docenti obbligati a presentarsi alla classe dichiarando la loro identità sessuale, di genere e di origine. «Buongiorno, sono Alain, cisgender (ossia l’identità di genere corrisponde al sesso biologico), eterosessuale, francese», e già questa è follia pura. Succede però che al momento della foto di classe, Alain chieda a una ragazza di legarsi i capelli, visto che «la sua magnifica, sontuosa chioma “afro”, espandendosi in orizzontale, copre completamente i volti dei compagni alla sua destra e sinistra». Ve la faccio breve: al povero Alain - messo alla gogna sui social, tenta una difesa fantozziana: «Non sono razzista, ho pure la fidanzata somala!» - la preside chiede di scusarsi pubblicamente. O, in alternativa, di dimettersi. L’ultimo flash è per la femminista storica e di sinistra che si batte per la libertà delle donne islamiche di non portare il velo. Rivendica cioè per loro il libero arbitrio, la possibilità di scegliere. Risultato? Diventa un bersaglio degli integralisti. Quando va a protestare in comune, si sente replicare da una politica (di sinistra): «Non esca di casa se non accompagnata, rischia di essere aggredita. Del resto doveva aspettarselo, lei è islamofoba». Un casus belli che ha indotto le autorità ad assegnarle la scorta. È il multiculturalismo unilaterale, bellezza. What else?
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 4 novembre