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2022-06-11
Anche Pfizer sconsiglia il siero alle gestanti
iStock
Il colosso Pfizer non ha mai detto che il vaccino anti Covid è sicuro per le donne in attesa di un figlio. Studiosi e ricercatori seri l’hanno sempre saputo, più volte il mondo scientifico che indaga, approfondisce, conosce la complessità dei trial o anche solo legge per davvero la documentazione fornita dalle case farmaceutiche, ha provato a mettere in guardia. Sul rischio di un via libera alla vaccinazione in una fase così delicata e complessa della vita di una donna qual è la gravidanza, sulle incognite che rimangono pesanti circa le conseguenze nella creatura che si sta formando nel grembo materno.
Qualche giorno fa, l’endocrinologo Giovanni Frajese, sospeso dall’Ordine dei medici perché non ha accettato di farsi inoculare, è tornato sulla questione. Durante un video di meno di venti minuti, dal titolo La verità è sotto gli occhi di tutti, il professore ha ricordato con preoccupazione la gravità di questo voluto fraintendimento, da parte di agenzie regolatorie e altre autorità sanitarie, delle associazioni di ginecologi e pediatri, di una posizione invece molto chiara di Pfizer nei confronti delle donne incinte. L’azienda non raccomanda di vaccinare le future mamme, per nove mesi la popolazione «forse più fragile che esiste sulla faccia della Terra», come le definisce Frajese. Anzi.
Siamo andati a controllare e sul sito di Pfizer, le schede tecniche per gli operatori sanitarie aggiornate il 1 giugno, quindi una decina di giorni fa, alla voce utilizzo in gravidanza riportano: «I dati disponibili sul vaccino Pfizer Biontech Covid-19 somministrato alle donne in gravidanza non sono sufficienti per informare i rischi associati al vaccino in gravidanza».
I Cds statunitensi però raccomandano il vaccino alle donne incinte, lo stesso fanno l’Agenzia del farmaco europea (Ema) e quella italiana (Aifa). Perché agiscono in questo modo, ripropone la domanda l’endocrinologo, se il vaccino non è previsto durante la gestazione? Pfizer non ha fatto trial su donne in gravidanza, o saranno stati ancora meno di quelli avviati per le altre fasce di popolazione. Di fatto, non ci sono dati che possano affermare che il vaccino funzioni. Ancor peggio, non c’è sicurezza del prodotto, ed è Big pharma ad ammetterlo.
Le donne in gravidanza diventano così «cavie, spiega il professore, e la cosa enorme è che medici possano permetterlo. «Si raccomanda la vaccinazione anti Sars Cov-2/Covid-19, con vaccini a mRna, alle donne in gravidanza nel secondo e terzo trimestre», informava nel settembre scorso una circolare del ministero della Salute, firmata dal direttore generale della Prevenzione, Gianni Rezza.
«La Sigo con le sue confederate Aogoi, Agui, Agite prende atto, con grande soddisfazione, e condivide le raccomandazioni del ministero della Salute, contenute nella circolare recentemente diramata e che, rassicurando le decine di migliaia di donne gravide e in allattamento, ha confermato l’assoluta tranquillità per le stesse nel procedere alla vaccinazione anti Covid 19», plaudevano i ginecologi italiani. Un mese prima avevano scritto al ministro Roberto Speranza, chiedendo di promuovere il più possibile la vaccinazione delle donne in gravidanza e in allattamento, nei bambini di età superiore ai 12 anni e nei più piccoli appena pronti i vaccini per loro.
Le neo mamme, nella circolare vengono pure invitate a vaccinarsi mentre nutrono con il proprio latte i neonati. «La donna che allatta deve essere informata che la vaccinazione non espone il lattante a rischi e gli permette di assumere, tramite il latte, anticorpi contro Sars-Cov-2», si legge sul sito del ministero della Salute. Ma siamo certi che le creature non corrano rischi? No, affatto. È sempre la stessa Pfizer a dichiarare che non esistono studi. «Non sono disponibili dati per valutare gli effetti del vaccino Pfizer Biontech Covid-19 sul neonato allattato al seno o sulla produzione/escrezione di latte», riporta sul suo sito.
Ma allora è gravissimo che si insista nel vaccinare donne in attesa, o che allattano, senza informarle che non ci sono stracci di sicurezza su reazioni avverse nel loro corpo e in quello del bambino. E per fortuna che siamo preoccupati della spaventosa denatalità, altrimenti che cos’altro verrebbe permesso per minare la salute delle poche che cercano di avere un figlio? Un paper appena uscito su Lancet e relativo a uno studio di coorte effettuato in Svizzera tra il 1 marzo e il 27 dicembre 2021, ha mostrato che non ci sono dati sulla sicurezza riguardo gli effetti avversi quando il vaccino viene iniziato nei primi tre mesi di gravidanza (quelli più critici), e che su 1.012 donne vaccinate, indipendentemente dal tipo di vaccino, 727 (81,3%) hanno riportato almeno un evento avverso locale per la prima dose e 720 (80,5%) per la seconda dose.
Si sono verificati quattro eventi collaterali gravi quali embolia polmonare, rottura prematura delle membrane, febbre isolata con ricovero e herpes zoster. Una percentuale dello 0,4% non è decisamente bassa, soprattutto perché un evento avverso su una gestante vale per due, per la futura mamma e per il bimbo che si sta formando.
Gli addetti alla pubblica sicurezza citano il governo per danno erariale
L’Osa, associazione operatori di sicurezza associati, quindi polizia di Stato, carabinieri, Guardia di finanza, vigili del fuoco, esercito, aeronautica, marina militare e ogni altro addetto all’ordine pubblico, ha presentato una corposa denuncia alla Corte dei Conti chiedendo di sottoporre a giudizio per responsabilità amministrativa il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, il ministro della Salute, Roberto Speranza, oltre a i vari comandanti e capi dipartimento.
Sarebbero responsabili di danno erariale «per non aver vigilato sulla corretta applicazione della profilassi vaccinale, della sorveglianza sanitaria nei confronti del personale dipendente da tali dipartimenti», e per i costi sostenuti dallo Stato in due anni, compreso «la retribuzione dei medici vaccinatori del personale del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico avendo per tale servizio già sostenuto i costi delle sanità delle amministrazioni che hanno, fra i vari compiti istituzionali, anche quello della profilassi vaccinale».
L’avvocato Luigi Doria del foro di Lecce ha elencato una lunga serie di mancanze, disattenzioni, non vigilanza sulla vaccinazione anti Covid che hanno provocato «numerosissimi decessi e moltissime reazioni avverse gravi, riscontrate tra il personale delle forze di polizia, delle forze armate e del corpo nazionale dei vigili del fuoco». C’è una precisa e articolata direttiva tecnica del maggio 2018, adottato dal ministero della Difesa di concerto con quello della Salute, in base alla quale la profilassi vaccinale doveva essere attuata, ma soprattutto garantita dall’amministrazione del ministero dell’Interno e non svolta negli hub.
Invece di verificare che questo accadesse, le autorità hanno condiviso illegittime norme di circolazione collegate al green pass per l’accesso nelle caserme e agli alloggi di servizio. «È stata praticata su tutta la popolazione militare e in generale tutta quella che veste un’uniforme, in palese spregio alle indicazioni delle commissioni parlamentari d’inchiesta, una somministrazione incontrollata di vaccini […] senza effettuare, come previsto, una puntuale raccolta e registrazione di anamnesi mirata e specifica», si legge nel documento.
Qualcuno ne dovrà rispondere e, secondo l’Osa, per indennizzi e responsabilità penali occorre rifarsi alla sentenza 22415 della Cassazione penale sulla valutazione dei rischi nella pubblica amministrazione. Se risulterà che comandanti e dirigenti delle varie articolazioni centrali e periferiche dello Stato, in tema di vaccinazione anti Covid del personale dipendente «non abbiano avuto autonomi poteri gestionali, in quanto preclusi e/o erroneamente indirizzati dagli organi di direzione politica, questi ultimi dovranno essere ritenuti, per la vaccinazione in questione, datori di lavoro di tutti i soggetti inoculati e dovranno assumersene direttamente le responsabilità per i danni erariali presenti e futuri cagionati alla salute di tali soggetti, per il fatto di non aver permesso di applicare la prevista sorveglianza sanitaria e la corretta profilassi vaccinale al personale in uniforme». Se ne vedranno delle belle.
Quanto agli eventi avversi da vaccino, viene chiesto se l’osservatorio epidemiologico della Difesa abbia o meno ricevuto e monitorato i dati relativi all’immunizzazione del personale militare, visto che le segnalazioni sono state davvero tante. In tutto il comparto sicurezza.
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Il colosso ammette: i dati sulle donne incinte sono insufficienti per calcolare i rischi della vaccinazione. Ma Ema, Aifa e ministero continuano a insistere sull’iniezione durante la gravidanza e l’allattamento. Sebbene, pure per i neonati, i pericoli siano ignoti.Denuncia dell’Osa contro Luciana Lamorgese, Lorenzo Guerini e Roberto Speranza per la campagna di profilassi.Lo speciale contiene due articoli.Il colosso Pfizer non ha mai detto che il vaccino anti Covid è sicuro per le donne in attesa di un figlio. Studiosi e ricercatori seri l’hanno sempre saputo, più volte il mondo scientifico che indaga, approfondisce, conosce la complessità dei trial o anche solo legge per davvero la documentazione fornita dalle case farmaceutiche, ha provato a mettere in guardia. Sul rischio di un via libera alla vaccinazione in una fase così delicata e complessa della vita di una donna qual è la gravidanza, sulle incognite che rimangono pesanti circa le conseguenze nella creatura che si sta formando nel grembo materno. Qualche giorno fa, l’endocrinologo Giovanni Frajese, sospeso dall’Ordine dei medici perché non ha accettato di farsi inoculare, è tornato sulla questione. Durante un video di meno di venti minuti, dal titolo La verità è sotto gli occhi di tutti, il professore ha ricordato con preoccupazione la gravità di questo voluto fraintendimento, da parte di agenzie regolatorie e altre autorità sanitarie, delle associazioni di ginecologi e pediatri, di una posizione invece molto chiara di Pfizer nei confronti delle donne incinte. L’azienda non raccomanda di vaccinare le future mamme, per nove mesi la popolazione «forse più fragile che esiste sulla faccia della Terra», come le definisce Frajese. Anzi.Siamo andati a controllare e sul sito di Pfizer, le schede tecniche per gli operatori sanitarie aggiornate il 1 giugno, quindi una decina di giorni fa, alla voce utilizzo in gravidanza riportano: «I dati disponibili sul vaccino Pfizer Biontech Covid-19 somministrato alle donne in gravidanza non sono sufficienti per informare i rischi associati al vaccino in gravidanza». I Cds statunitensi però raccomandano il vaccino alle donne incinte, lo stesso fanno l’Agenzia del farmaco europea (Ema) e quella italiana (Aifa). Perché agiscono in questo modo, ripropone la domanda l’endocrinologo, se il vaccino non è previsto durante la gestazione? Pfizer non ha fatto trial su donne in gravidanza, o saranno stati ancora meno di quelli avviati per le altre fasce di popolazione. Di fatto, non ci sono dati che possano affermare che il vaccino funzioni. Ancor peggio, non c’è sicurezza del prodotto, ed è Big pharma ad ammetterlo. Le donne in gravidanza diventano così «cavie, spiega il professore, e la cosa enorme è che medici possano permetterlo. «Si raccomanda la vaccinazione anti Sars Cov-2/Covid-19, con vaccini a mRna, alle donne in gravidanza nel secondo e terzo trimestre», informava nel settembre scorso una circolare del ministero della Salute, firmata dal direttore generale della Prevenzione, Gianni Rezza. «La Sigo con le sue confederate Aogoi, Agui, Agite prende atto, con grande soddisfazione, e condivide le raccomandazioni del ministero della Salute, contenute nella circolare recentemente diramata e che, rassicurando le decine di migliaia di donne gravide e in allattamento, ha confermato l’assoluta tranquillità per le stesse nel procedere alla vaccinazione anti Covid 19», plaudevano i ginecologi italiani. Un mese prima avevano scritto al ministro Roberto Speranza, chiedendo di promuovere il più possibile la vaccinazione delle donne in gravidanza e in allattamento, nei bambini di età superiore ai 12 anni e nei più piccoli appena pronti i vaccini per loro.Le neo mamme, nella circolare vengono pure invitate a vaccinarsi mentre nutrono con il proprio latte i neonati. «La donna che allatta deve essere informata che la vaccinazione non espone il lattante a rischi e gli permette di assumere, tramite il latte, anticorpi contro Sars-Cov-2», si legge sul sito del ministero della Salute. Ma siamo certi che le creature non corrano rischi? No, affatto. È sempre la stessa Pfizer a dichiarare che non esistono studi. «Non sono disponibili dati per valutare gli effetti del vaccino Pfizer Biontech Covid-19 sul neonato allattato al seno o sulla produzione/escrezione di latte», riporta sul suo sito. Ma allora è gravissimo che si insista nel vaccinare donne in attesa, o che allattano, senza informarle che non ci sono stracci di sicurezza su reazioni avverse nel loro corpo e in quello del bambino. E per fortuna che siamo preoccupati della spaventosa denatalità, altrimenti che cos’altro verrebbe permesso per minare la salute delle poche che cercano di avere un figlio? Un paper appena uscito su Lancet e relativo a uno studio di coorte effettuato in Svizzera tra il 1 marzo e il 27 dicembre 2021, ha mostrato che non ci sono dati sulla sicurezza riguardo gli effetti avversi quando il vaccino viene iniziato nei primi tre mesi di gravidanza (quelli più critici), e che su 1.012 donne vaccinate, indipendentemente dal tipo di vaccino, 727 (81,3%) hanno riportato almeno un evento avverso locale per la prima dose e 720 (80,5%) per la seconda dose. Si sono verificati quattro eventi collaterali gravi quali embolia polmonare, rottura prematura delle membrane, febbre isolata con ricovero e herpes zoster. Una percentuale dello 0,4% non è decisamente bassa, soprattutto perché un evento avverso su una gestante vale per due, per la futura mamma e per il bimbo che si sta formando. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/anche-pfizer-sconsiglia-siero-gestanti-2657489653.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="gli-addetti-alla-pubblica-sicurezza-citano-il-governo-per-danno-erariale" data-post-id="2657489653" data-published-at="1654885784" data-use-pagination="False"> Gli addetti alla pubblica sicurezza citano il governo per danno erariale L’Osa, associazione operatori di sicurezza associati, quindi polizia di Stato, carabinieri, Guardia di finanza, vigili del fuoco, esercito, aeronautica, marina militare e ogni altro addetto all’ordine pubblico, ha presentato una corposa denuncia alla Corte dei Conti chiedendo di sottoporre a giudizio per responsabilità amministrativa il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, il ministro della Salute, Roberto Speranza, oltre a i vari comandanti e capi dipartimento. Sarebbero responsabili di danno erariale «per non aver vigilato sulla corretta applicazione della profilassi vaccinale, della sorveglianza sanitaria nei confronti del personale dipendente da tali dipartimenti», e per i costi sostenuti dallo Stato in due anni, compreso «la retribuzione dei medici vaccinatori del personale del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico avendo per tale servizio già sostenuto i costi delle sanità delle amministrazioni che hanno, fra i vari compiti istituzionali, anche quello della profilassi vaccinale». L’avvocato Luigi Doria del foro di Lecce ha elencato una lunga serie di mancanze, disattenzioni, non vigilanza sulla vaccinazione anti Covid che hanno provocato «numerosissimi decessi e moltissime reazioni avverse gravi, riscontrate tra il personale delle forze di polizia, delle forze armate e del corpo nazionale dei vigili del fuoco». C’è una precisa e articolata direttiva tecnica del maggio 2018, adottato dal ministero della Difesa di concerto con quello della Salute, in base alla quale la profilassi vaccinale doveva essere attuata, ma soprattutto garantita dall’amministrazione del ministero dell’Interno e non svolta negli hub. Invece di verificare che questo accadesse, le autorità hanno condiviso illegittime norme di circolazione collegate al green pass per l’accesso nelle caserme e agli alloggi di servizio. «È stata praticata su tutta la popolazione militare e in generale tutta quella che veste un’uniforme, in palese spregio alle indicazioni delle commissioni parlamentari d’inchiesta, una somministrazione incontrollata di vaccini […] senza effettuare, come previsto, una puntuale raccolta e registrazione di anamnesi mirata e specifica», si legge nel documento. Qualcuno ne dovrà rispondere e, secondo l’Osa, per indennizzi e responsabilità penali occorre rifarsi alla sentenza 22415 della Cassazione penale sulla valutazione dei rischi nella pubblica amministrazione. Se risulterà che comandanti e dirigenti delle varie articolazioni centrali e periferiche dello Stato, in tema di vaccinazione anti Covid del personale dipendente «non abbiano avuto autonomi poteri gestionali, in quanto preclusi e/o erroneamente indirizzati dagli organi di direzione politica, questi ultimi dovranno essere ritenuti, per la vaccinazione in questione, datori di lavoro di tutti i soggetti inoculati e dovranno assumersene direttamente le responsabilità per i danni erariali presenti e futuri cagionati alla salute di tali soggetti, per il fatto di non aver permesso di applicare la prevista sorveglianza sanitaria e la corretta profilassi vaccinale al personale in uniforme». Se ne vedranno delle belle. Quanto agli eventi avversi da vaccino, viene chiesto se l’osservatorio epidemiologico della Difesa abbia o meno ricevuto e monitorato i dati relativi all’immunizzazione del personale militare, visto che le segnalazioni sono state davvero tante. In tutto il comparto sicurezza.
C'è un'invenzione che si deve agli aviatori, anzi, a un minuto personaggio brasiliano stanco di dover cercare l'orologio nel suo taschino mentre pilotava l'aeroplano.
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Se a causa degli scandali, il supporto alla resistenza ucraina mostra vistose crepe, con più della metà degli italiani che non è intenzionata a sostenere militarmente le truppe che cercano di respingere l’armata russa, non è che i soldati che da quasi quattro anni combattono sembrano poi pensarla in modo molto diverso. Sul Corriere della Sera ieri è stata pubblicata un’immagine in cui si vedono militari in divisa sfatti dalla fatica. Tuttavia, a colpire non è la stanchezza dei soldati, ma la loro età. Si capisce chiaramente che non si tratta di giovani bensì di anziani, considerando che comunque l’età media dei militari è superiore ai 40 anni. Uomini esausti, ma soprattutto anagraficamente lontani da un’immagine di agilità e forza. Intendiamoci, a volte gli anni portano esperienza e competenza, soprattutto al fronte, dove serve sangue freddo per non rischiare la pelle. Ma non è questo il punto: non si tratta di pensionare i militari più vecchi, ma di reclutare i giovani e questo è un problema che la fotografia pubblicata sul quotidiano di via Solferino ben rappresenta. Il giornale, infatti, ci informa che 235.000 militari non si sono presentati ai loro reparti e quasi 54.000 sono già stati ufficialmente dichiarati disertori. In pratica, un soldato su quattro del milione mobilitato pare non avere alcuna intenzione di imbracciare un fucile. Per quanto le guerre moderne si combattano con l’Intelligenza artificiale, con i satelliti e i droni, poi alla fine la differenza la fanno sempre gli uomini. A Pokrovsk, la città che da un anno resiste agli assalti delle truppe russe, impedendo agli uomini di Putin di dilagare nel Donbass, se non ci fossero reparti coraggiosi che continuano a respingere gli invasori, Mosca avrebbe già visto sventolare la sua bandiera sui tetti delle poche costruzioni rimaste in piedi dopo mesi di bombardamenti devastanti.
Il tema delle diserzioni, della fuga all’estero di centinaia di migliaia di giovani che non vogliono morire sotto le bombe, è tale che in Polonia e Germania, ma anche in altri Paesi confinanti, si sta facendo pressione per impedire l’arrivo di ulteriori fuggiaschi. Se si guarda al numero di chi non ha intenzione di combattere si capisce perché è necessario raggiungere una tregua. Quanto ancora potrà resistere l’Ucraina in queste condizioni? A marzo comincerà il quinto anno di guerra. Un conflitto che rischia di non avere precedenti, per numero di morti e per la devastazione. E soprattutto uno scontro che minaccia di trascinare in un buco nero l’intera Europa, che invece di cogliere il pericolo sembra scommettere ancora sulle armi piuttosto che sulla tregua. C’è chi continua a invocare una pace giusta, ma la pace giusta appartiene alle aspirazioni, non alla realtà.
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Non è detto che non accada. Intanto siete già riusciti a risvegliare dal lungo sonno il sottosegretario Alberto Barachini, che non è poco, anche se forse non basta di fronte alla grande battaglia, che avete lanciato, per salvare il «pensiero critico». Il punto è chiaro: un conto è se viene venduto un altro giornale, magari persino di destra, che allora ben gli sta; un conto è se viene venduto il quotidiano che andava in via Veneto e dettava la linea alla sinistra. Allora qui non sono soltanto in gioco posti di lavoro e copie in edicola. Macché: sono in gioco le «garanzie democratiche fondamentali per l’intero Paese» e soprattutto «la sopravvivenza stessa di un pensiero critico». Non si discute, insomma, del futuro di Repubblica, si discute del futuro della repubblica, come è noto è fondata sul lavoro di Eugenio Scalfari.
Del resto come potremmo fare, cari colleghi, senza quel pensiero critico che in questi anni abbiamo imparato ad ammirare sulle vostre colonne? Come faremo senza le inchieste di Repubblica per denunciare lo smantellamento dell’industria automobilistica italiana ad opera degli editori Elkann? Come faremo senza le dure interviste al segretario Cgil Maurizio Landini che attacca, per questo, la ex Fiat in modo spietato? Come faremo senza gli scoop sulle inchieste relative all’evasione fiscale di casa Agnelli? Il fatto che tutto ciò non ci sia mai stato è un piccolo dettaglio che nulla toglie al vostro pensiero critico. E che dire del Covid? Lì il pensiero critico di Repubblica è emerso in modo chiarissimo trasformando Burioni in messia e il green pass in Vangelo. E sulla guerra? Pensiero critico lampante, nella sua versione verde militare e, ovviamente, con elmetto d’ordinanza. Ora ci domandiamo: come potrà tutto questo pensiero critico, così avverso al mainstream, sopravvivere all’orda greca?
Lo so che si tratta solo di un cambio di proprietà, non di una chiusura. Ma noi siamo preoccupati lo stesso: per mesi abbiamo letto sulle vostre colonne che c’era il rischio di deriva autoritaria nel nostro Paese, il fascismo meloniano incombente, la libertà di stampa minacciata dal governo antidemocratico. E adesso, invece, scopriamo che il governo antidemocratico è l’ancora di salvezza per salvare baracca e Barachini? E scopriamo che il vero nemico arriva dalla Grecia? Più che mai urge pensiero critico, cari colleghi. E, magari, un po’ meno di boria.
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Volodymyr Zelensky (Ansa)
Il cambio di rotta, secondo quanto rivelato dal Financial Times e da Reuters, è stato annunciato dallo stesso leader di Kiev in una chat su Whatsapp con i giornalisti. Ha spiegato che «fin dall’inizio, il desiderio dell'Ucraina è stato quello di aderire alla Nato», ma pare aver gettato la spugna visto che «alcuni partner non hanno sostenuto questa direzione». Ha quindi svelato che ora si parla «di garanzie di sicurezza bilaterali tra Ucraina e Stati Uniti, vale a dire garanzie simili all’articolo 5, nonché di garanzie di sicurezza da parte dei nostri partner europei e di altri Paesi come Canada, Giappone e altri».
Prima del vertice di Berlino, Zelensky ha poi dichiarato di non aver ricevuto le risposte della Casa Bianca sulle ultime proposte inviate dalla delegazione ucraina, ma ha già messo le mani avanti sull’offerta degli Stati Uniti inerente al Donbass. Washington ha infatti suggerito che Kiev si ritiri dalla «cintura delle fortezze» delle città nel Donbass che non sono state conquistate da Mosca. Sostenendo che non sia «giusto», il presidente ucraino ha commentato: «Se le truppe ucraine si ritirano tra i cinque e dieci chilometri per esempio, allora perché le truppe russe non si devono ritirare nelle zone dei territori occupati della stessa distanza?». Dunque, la linea ucraina resta quella del cessate il fuoco: «fermarsi» sulle posizioni attuali per poi «risolvere le questioni più ampie attraverso la diplomazia». Ma è plausibile che questa proposta americana venga rifiutata anche dalla Russia, visto che il consigliere del Cremlino, Yuri Ushakov, aveva già riferito che Mosca è disposta ad accettare solo il controllo totale del Donbass.
Ma l’attenzione ieri, oltre al dietrofront di Kiev sulla Nato, è stata rivolta ai colloqui di Berlino tra la delegazione ucraina e quella americana. Dopo aver «lavorato attentamente su ogni punto di ogni bozza», Zelensky è stato accolto nella capitale tedesca dal cancelliere Friedrich Merz. Il presidente ucraino ha condiviso alcune immagini inerenti alle trattative sul piano di pace: nel lungo tavolo ovale, al fianco di Zelensky compaiono Merz e il negoziatore ucraino Rustem Umerov, mentre sul lato opposto sono seduti Witkoff e Kushner. Ma secondo la Bild, a essere presente in modo «indiretto» ai negoziati è stata anche la Russia. Pare che l’inviato americano sia stato infatti in contatto con Ushakov. In ogni caso, il leader di Kiev, su X, ha spiegato poco prima lo scopo dei colloqui: concentrarsi «su come garantire in modo affidabile la sicurezza dell’Ucraina». Il dialogo proseguirà anche oggi: è previsto un vertice a cui prenderanno parte dieci leader europei, il segretario generale della Nato, Mark Rutte, e il presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen.
A restare scettica sulle iniziative europee è la Russia. Ushakov, ricordando che Mosca non ha ancora visionato le modifiche di Bruxelles e di Kiev al piano, ha comunque detto che non saranno accettati i cambiamenti. D’altronde, è «improbabile che gli ucraini e gli europei diano un contributo costruttivo ai documenti». Sempre il consigliere del Cremlino ha anche rivelato che non è mai stata affrontata «la possibilità di replicare l’opzione coreana» per porre fine alla guerra. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha poi definito «irresponsabili» le parole pronunciate giovedì dal segretario generale della Nato, Mark Rutte, secondo cui la Russia si prepara ad attaccare l’Europa.
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