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2022-06-11
Anche Pfizer sconsiglia il siero alle gestanti
iStock
Il colosso Pfizer non ha mai detto che il vaccino anti Covid è sicuro per le donne in attesa di un figlio. Studiosi e ricercatori seri l’hanno sempre saputo, più volte il mondo scientifico che indaga, approfondisce, conosce la complessità dei trial o anche solo legge per davvero la documentazione fornita dalle case farmaceutiche, ha provato a mettere in guardia. Sul rischio di un via libera alla vaccinazione in una fase così delicata e complessa della vita di una donna qual è la gravidanza, sulle incognite che rimangono pesanti circa le conseguenze nella creatura che si sta formando nel grembo materno.
Qualche giorno fa, l’endocrinologo Giovanni Frajese, sospeso dall’Ordine dei medici perché non ha accettato di farsi inoculare, è tornato sulla questione. Durante un video di meno di venti minuti, dal titolo La verità è sotto gli occhi di tutti, il professore ha ricordato con preoccupazione la gravità di questo voluto fraintendimento, da parte di agenzie regolatorie e altre autorità sanitarie, delle associazioni di ginecologi e pediatri, di una posizione invece molto chiara di Pfizer nei confronti delle donne incinte. L’azienda non raccomanda di vaccinare le future mamme, per nove mesi la popolazione «forse più fragile che esiste sulla faccia della Terra», come le definisce Frajese. Anzi.
Siamo andati a controllare e sul sito di Pfizer, le schede tecniche per gli operatori sanitarie aggiornate il 1 giugno, quindi una decina di giorni fa, alla voce utilizzo in gravidanza riportano: «I dati disponibili sul vaccino Pfizer Biontech Covid-19 somministrato alle donne in gravidanza non sono sufficienti per informare i rischi associati al vaccino in gravidanza».
I Cds statunitensi però raccomandano il vaccino alle donne incinte, lo stesso fanno l’Agenzia del farmaco europea (Ema) e quella italiana (Aifa). Perché agiscono in questo modo, ripropone la domanda l’endocrinologo, se il vaccino non è previsto durante la gestazione? Pfizer non ha fatto trial su donne in gravidanza, o saranno stati ancora meno di quelli avviati per le altre fasce di popolazione. Di fatto, non ci sono dati che possano affermare che il vaccino funzioni. Ancor peggio, non c’è sicurezza del prodotto, ed è Big pharma ad ammetterlo.
Le donne in gravidanza diventano così «cavie, spiega il professore, e la cosa enorme è che medici possano permetterlo. «Si raccomanda la vaccinazione anti Sars Cov-2/Covid-19, con vaccini a mRna, alle donne in gravidanza nel secondo e terzo trimestre», informava nel settembre scorso una circolare del ministero della Salute, firmata dal direttore generale della Prevenzione, Gianni Rezza.
«La Sigo con le sue confederate Aogoi, Agui, Agite prende atto, con grande soddisfazione, e condivide le raccomandazioni del ministero della Salute, contenute nella circolare recentemente diramata e che, rassicurando le decine di migliaia di donne gravide e in allattamento, ha confermato l’assoluta tranquillità per le stesse nel procedere alla vaccinazione anti Covid 19», plaudevano i ginecologi italiani. Un mese prima avevano scritto al ministro Roberto Speranza, chiedendo di promuovere il più possibile la vaccinazione delle donne in gravidanza e in allattamento, nei bambini di età superiore ai 12 anni e nei più piccoli appena pronti i vaccini per loro.
Le neo mamme, nella circolare vengono pure invitate a vaccinarsi mentre nutrono con il proprio latte i neonati. «La donna che allatta deve essere informata che la vaccinazione non espone il lattante a rischi e gli permette di assumere, tramite il latte, anticorpi contro Sars-Cov-2», si legge sul sito del ministero della Salute. Ma siamo certi che le creature non corrano rischi? No, affatto. È sempre la stessa Pfizer a dichiarare che non esistono studi. «Non sono disponibili dati per valutare gli effetti del vaccino Pfizer Biontech Covid-19 sul neonato allattato al seno o sulla produzione/escrezione di latte», riporta sul suo sito.
Ma allora è gravissimo che si insista nel vaccinare donne in attesa, o che allattano, senza informarle che non ci sono stracci di sicurezza su reazioni avverse nel loro corpo e in quello del bambino. E per fortuna che siamo preoccupati della spaventosa denatalità, altrimenti che cos’altro verrebbe permesso per minare la salute delle poche che cercano di avere un figlio? Un paper appena uscito su Lancet e relativo a uno studio di coorte effettuato in Svizzera tra il 1 marzo e il 27 dicembre 2021, ha mostrato che non ci sono dati sulla sicurezza riguardo gli effetti avversi quando il vaccino viene iniziato nei primi tre mesi di gravidanza (quelli più critici), e che su 1.012 donne vaccinate, indipendentemente dal tipo di vaccino, 727 (81,3%) hanno riportato almeno un evento avverso locale per la prima dose e 720 (80,5%) per la seconda dose.
Si sono verificati quattro eventi collaterali gravi quali embolia polmonare, rottura prematura delle membrane, febbre isolata con ricovero e herpes zoster. Una percentuale dello 0,4% non è decisamente bassa, soprattutto perché un evento avverso su una gestante vale per due, per la futura mamma e per il bimbo che si sta formando.
Gli addetti alla pubblica sicurezza citano il governo per danno erariale
L’Osa, associazione operatori di sicurezza associati, quindi polizia di Stato, carabinieri, Guardia di finanza, vigili del fuoco, esercito, aeronautica, marina militare e ogni altro addetto all’ordine pubblico, ha presentato una corposa denuncia alla Corte dei Conti chiedendo di sottoporre a giudizio per responsabilità amministrativa il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, il ministro della Salute, Roberto Speranza, oltre a i vari comandanti e capi dipartimento.
Sarebbero responsabili di danno erariale «per non aver vigilato sulla corretta applicazione della profilassi vaccinale, della sorveglianza sanitaria nei confronti del personale dipendente da tali dipartimenti», e per i costi sostenuti dallo Stato in due anni, compreso «la retribuzione dei medici vaccinatori del personale del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico avendo per tale servizio già sostenuto i costi delle sanità delle amministrazioni che hanno, fra i vari compiti istituzionali, anche quello della profilassi vaccinale».
L’avvocato Luigi Doria del foro di Lecce ha elencato una lunga serie di mancanze, disattenzioni, non vigilanza sulla vaccinazione anti Covid che hanno provocato «numerosissimi decessi e moltissime reazioni avverse gravi, riscontrate tra il personale delle forze di polizia, delle forze armate e del corpo nazionale dei vigili del fuoco». C’è una precisa e articolata direttiva tecnica del maggio 2018, adottato dal ministero della Difesa di concerto con quello della Salute, in base alla quale la profilassi vaccinale doveva essere attuata, ma soprattutto garantita dall’amministrazione del ministero dell’Interno e non svolta negli hub.
Invece di verificare che questo accadesse, le autorità hanno condiviso illegittime norme di circolazione collegate al green pass per l’accesso nelle caserme e agli alloggi di servizio. «È stata praticata su tutta la popolazione militare e in generale tutta quella che veste un’uniforme, in palese spregio alle indicazioni delle commissioni parlamentari d’inchiesta, una somministrazione incontrollata di vaccini […] senza effettuare, come previsto, una puntuale raccolta e registrazione di anamnesi mirata e specifica», si legge nel documento.
Qualcuno ne dovrà rispondere e, secondo l’Osa, per indennizzi e responsabilità penali occorre rifarsi alla sentenza 22415 della Cassazione penale sulla valutazione dei rischi nella pubblica amministrazione. Se risulterà che comandanti e dirigenti delle varie articolazioni centrali e periferiche dello Stato, in tema di vaccinazione anti Covid del personale dipendente «non abbiano avuto autonomi poteri gestionali, in quanto preclusi e/o erroneamente indirizzati dagli organi di direzione politica, questi ultimi dovranno essere ritenuti, per la vaccinazione in questione, datori di lavoro di tutti i soggetti inoculati e dovranno assumersene direttamente le responsabilità per i danni erariali presenti e futuri cagionati alla salute di tali soggetti, per il fatto di non aver permesso di applicare la prevista sorveglianza sanitaria e la corretta profilassi vaccinale al personale in uniforme». Se ne vedranno delle belle.
Quanto agli eventi avversi da vaccino, viene chiesto se l’osservatorio epidemiologico della Difesa abbia o meno ricevuto e monitorato i dati relativi all’immunizzazione del personale militare, visto che le segnalazioni sono state davvero tante. In tutto il comparto sicurezza.
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Riduci
Il colosso ammette: i dati sulle donne incinte sono insufficienti per calcolare i rischi della vaccinazione. Ma Ema, Aifa e ministero continuano a insistere sull’iniezione durante la gravidanza e l’allattamento. Sebbene, pure per i neonati, i pericoli siano ignoti.Denuncia dell’Osa contro Luciana Lamorgese, Lorenzo Guerini e Roberto Speranza per la campagna di profilassi.Lo speciale contiene due articoli.Il colosso Pfizer non ha mai detto che il vaccino anti Covid è sicuro per le donne in attesa di un figlio. Studiosi e ricercatori seri l’hanno sempre saputo, più volte il mondo scientifico che indaga, approfondisce, conosce la complessità dei trial o anche solo legge per davvero la documentazione fornita dalle case farmaceutiche, ha provato a mettere in guardia. Sul rischio di un via libera alla vaccinazione in una fase così delicata e complessa della vita di una donna qual è la gravidanza, sulle incognite che rimangono pesanti circa le conseguenze nella creatura che si sta formando nel grembo materno. Qualche giorno fa, l’endocrinologo Giovanni Frajese, sospeso dall’Ordine dei medici perché non ha accettato di farsi inoculare, è tornato sulla questione. Durante un video di meno di venti minuti, dal titolo La verità è sotto gli occhi di tutti, il professore ha ricordato con preoccupazione la gravità di questo voluto fraintendimento, da parte di agenzie regolatorie e altre autorità sanitarie, delle associazioni di ginecologi e pediatri, di una posizione invece molto chiara di Pfizer nei confronti delle donne incinte. L’azienda non raccomanda di vaccinare le future mamme, per nove mesi la popolazione «forse più fragile che esiste sulla faccia della Terra», come le definisce Frajese. Anzi.Siamo andati a controllare e sul sito di Pfizer, le schede tecniche per gli operatori sanitarie aggiornate il 1 giugno, quindi una decina di giorni fa, alla voce utilizzo in gravidanza riportano: «I dati disponibili sul vaccino Pfizer Biontech Covid-19 somministrato alle donne in gravidanza non sono sufficienti per informare i rischi associati al vaccino in gravidanza». I Cds statunitensi però raccomandano il vaccino alle donne incinte, lo stesso fanno l’Agenzia del farmaco europea (Ema) e quella italiana (Aifa). Perché agiscono in questo modo, ripropone la domanda l’endocrinologo, se il vaccino non è previsto durante la gestazione? Pfizer non ha fatto trial su donne in gravidanza, o saranno stati ancora meno di quelli avviati per le altre fasce di popolazione. Di fatto, non ci sono dati che possano affermare che il vaccino funzioni. Ancor peggio, non c’è sicurezza del prodotto, ed è Big pharma ad ammetterlo. Le donne in gravidanza diventano così «cavie, spiega il professore, e la cosa enorme è che medici possano permetterlo. «Si raccomanda la vaccinazione anti Sars Cov-2/Covid-19, con vaccini a mRna, alle donne in gravidanza nel secondo e terzo trimestre», informava nel settembre scorso una circolare del ministero della Salute, firmata dal direttore generale della Prevenzione, Gianni Rezza. «La Sigo con le sue confederate Aogoi, Agui, Agite prende atto, con grande soddisfazione, e condivide le raccomandazioni del ministero della Salute, contenute nella circolare recentemente diramata e che, rassicurando le decine di migliaia di donne gravide e in allattamento, ha confermato l’assoluta tranquillità per le stesse nel procedere alla vaccinazione anti Covid 19», plaudevano i ginecologi italiani. Un mese prima avevano scritto al ministro Roberto Speranza, chiedendo di promuovere il più possibile la vaccinazione delle donne in gravidanza e in allattamento, nei bambini di età superiore ai 12 anni e nei più piccoli appena pronti i vaccini per loro.Le neo mamme, nella circolare vengono pure invitate a vaccinarsi mentre nutrono con il proprio latte i neonati. «La donna che allatta deve essere informata che la vaccinazione non espone il lattante a rischi e gli permette di assumere, tramite il latte, anticorpi contro Sars-Cov-2», si legge sul sito del ministero della Salute. Ma siamo certi che le creature non corrano rischi? No, affatto. È sempre la stessa Pfizer a dichiarare che non esistono studi. «Non sono disponibili dati per valutare gli effetti del vaccino Pfizer Biontech Covid-19 sul neonato allattato al seno o sulla produzione/escrezione di latte», riporta sul suo sito. Ma allora è gravissimo che si insista nel vaccinare donne in attesa, o che allattano, senza informarle che non ci sono stracci di sicurezza su reazioni avverse nel loro corpo e in quello del bambino. E per fortuna che siamo preoccupati della spaventosa denatalità, altrimenti che cos’altro verrebbe permesso per minare la salute delle poche che cercano di avere un figlio? Un paper appena uscito su Lancet e relativo a uno studio di coorte effettuato in Svizzera tra il 1 marzo e il 27 dicembre 2021, ha mostrato che non ci sono dati sulla sicurezza riguardo gli effetti avversi quando il vaccino viene iniziato nei primi tre mesi di gravidanza (quelli più critici), e che su 1.012 donne vaccinate, indipendentemente dal tipo di vaccino, 727 (81,3%) hanno riportato almeno un evento avverso locale per la prima dose e 720 (80,5%) per la seconda dose. Si sono verificati quattro eventi collaterali gravi quali embolia polmonare, rottura prematura delle membrane, febbre isolata con ricovero e herpes zoster. Una percentuale dello 0,4% non è decisamente bassa, soprattutto perché un evento avverso su una gestante vale per due, per la futura mamma e per il bimbo che si sta formando. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/anche-pfizer-sconsiglia-siero-gestanti-2657489653.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="gli-addetti-alla-pubblica-sicurezza-citano-il-governo-per-danno-erariale" data-post-id="2657489653" data-published-at="1654885784" data-use-pagination="False"> Gli addetti alla pubblica sicurezza citano il governo per danno erariale L’Osa, associazione operatori di sicurezza associati, quindi polizia di Stato, carabinieri, Guardia di finanza, vigili del fuoco, esercito, aeronautica, marina militare e ogni altro addetto all’ordine pubblico, ha presentato una corposa denuncia alla Corte dei Conti chiedendo di sottoporre a giudizio per responsabilità amministrativa il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, il ministro della Salute, Roberto Speranza, oltre a i vari comandanti e capi dipartimento. Sarebbero responsabili di danno erariale «per non aver vigilato sulla corretta applicazione della profilassi vaccinale, della sorveglianza sanitaria nei confronti del personale dipendente da tali dipartimenti», e per i costi sostenuti dallo Stato in due anni, compreso «la retribuzione dei medici vaccinatori del personale del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico avendo per tale servizio già sostenuto i costi delle sanità delle amministrazioni che hanno, fra i vari compiti istituzionali, anche quello della profilassi vaccinale». L’avvocato Luigi Doria del foro di Lecce ha elencato una lunga serie di mancanze, disattenzioni, non vigilanza sulla vaccinazione anti Covid che hanno provocato «numerosissimi decessi e moltissime reazioni avverse gravi, riscontrate tra il personale delle forze di polizia, delle forze armate e del corpo nazionale dei vigili del fuoco». C’è una precisa e articolata direttiva tecnica del maggio 2018, adottato dal ministero della Difesa di concerto con quello della Salute, in base alla quale la profilassi vaccinale doveva essere attuata, ma soprattutto garantita dall’amministrazione del ministero dell’Interno e non svolta negli hub. Invece di verificare che questo accadesse, le autorità hanno condiviso illegittime norme di circolazione collegate al green pass per l’accesso nelle caserme e agli alloggi di servizio. «È stata praticata su tutta la popolazione militare e in generale tutta quella che veste un’uniforme, in palese spregio alle indicazioni delle commissioni parlamentari d’inchiesta, una somministrazione incontrollata di vaccini […] senza effettuare, come previsto, una puntuale raccolta e registrazione di anamnesi mirata e specifica», si legge nel documento. Qualcuno ne dovrà rispondere e, secondo l’Osa, per indennizzi e responsabilità penali occorre rifarsi alla sentenza 22415 della Cassazione penale sulla valutazione dei rischi nella pubblica amministrazione. Se risulterà che comandanti e dirigenti delle varie articolazioni centrali e periferiche dello Stato, in tema di vaccinazione anti Covid del personale dipendente «non abbiano avuto autonomi poteri gestionali, in quanto preclusi e/o erroneamente indirizzati dagli organi di direzione politica, questi ultimi dovranno essere ritenuti, per la vaccinazione in questione, datori di lavoro di tutti i soggetti inoculati e dovranno assumersene direttamente le responsabilità per i danni erariali presenti e futuri cagionati alla salute di tali soggetti, per il fatto di non aver permesso di applicare la prevista sorveglianza sanitaria e la corretta profilassi vaccinale al personale in uniforme». Se ne vedranno delle belle. Quanto agli eventi avversi da vaccino, viene chiesto se l’osservatorio epidemiologico della Difesa abbia o meno ricevuto e monitorato i dati relativi all’immunizzazione del personale militare, visto che le segnalazioni sono state davvero tante. In tutto il comparto sicurezza.
Christine Lagarde (Ansa)
Come accade, ad esempio, in quel carrozzone chiamato Unione europea dove tutti, a partire dalla lìder maxima, Ursula von der Leyen, non dimenticano mai di inserire nella lista delle priorità l’aumento del proprio stipendio. Ne ha parlato la Bild, il giornale più letto e venduto d’Europa, raccontando come la presidente della Commissione europea abbia aumentato il suo stipendio, e quello degli euroburocrati, due volte l’anno. E chiunque non sia allergico alla meritocrazia così come alle regole non scritte dell’accountability (l’onere morale di rispondere del proprio operato) non potrà non scandalizzarsi pensando che donna Ursula, dopo aver trasformato l’Ue in un nano economico, ammazzando l’industria europea con il folle progetto del Green deal, percepisca per questo capolavoro gestionale ben 35.800 euro al mese, contro i 6.700 netti che, ad esempio, guadagna il presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni.
Allo stesso modo funzionano le altre istituzioni dell’Unione europea. L’Ue impiega circa 60.000 persone all’interno delle sue varie istituzioni e organi, distribuiti tra Bruxelles, Lussemburgo e Strasburgo (la Commissione europea, il Parlamento europeo, il Consiglio europeo, la Corte di giustizia dell’Unione europea e il Comitato economico e sociale). La funzione pubblica europea ha tre categorie di agenti: gli amministratori, gli assistenti e gli assistenti segretari. L’Ue contrattualizza inoltre molti agenti contrattuali. Secondo i dati della Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 2019, questi funzionari comunitari guadagnano tra 4.883 euro e 18.994 euro mensili (gradi da 5 a 16 del livello 1).
Il «vizietto» di alzarsi lo stipendio ha fatto scuola anche presso la Banca centrale europea (Bce), che ha sede a Francoforte, in Germania, ed è presieduta dalla francese, Christine Lagarde. Secondo quanto riassunto nel bilancio della Bce, lo stipendio base annuale della presidente è aumentato del 4,7 per cento, arrivando a 466.092 euro rispetto ai 444.984 euro percepiti nel 2023 (cui si aggiungono specifiche indennità e detrazioni fiscali comunitarie, diverse da quelle nazionali), ergo 38.841 euro al mese. Il vicepresidente Luis de Guindos, spagnolo, percepisce circa 400.000 euro (valore stimato in base ai rapporti precedenti, di solito corrispondente all’85-90% dello stipendio della presidente). Gli altri membri del comitato esecutivo guadagnano invece circa 330.000-340.000 euro ciascuno. Ai membri spettano anche le indennità di residenza (15% dello stipendio base), di rappresentanza e per figli a carico, che aumentano il netto effettivo. Il costo totale annuale del personale della Bce è di 844 milioni di euro, valore che include stipendi, indennità, contributi previdenziali e costi per le pensioni di tutti i dipendenti della banca. Il dato incredibile è che questa voce è aumentata di quasi 200 milioni in due anni: nel 2023, infatti, il costo totale annuale del personale era di 676 milioni di euro. Secondo una nota ufficiale della Bce, l’incremento del 2024 è dovuto principalmente a modifiche nelle regole dei piani pensionistici e ai benefici post impiego, oltre ai normali adeguamenti salariali legati all’inflazione, cresciuta del 2,4 per cento a dicembre dello scorso anno. La morale è chiara ed è la stessa riassunta ieri dal direttore, Maurizio Belpietro: per la Bce l’inflazione va combattuta in tutti i modi, ma se si tratta dello stipendio dei funzionari Ue, il discorso non vale.
Stessa solfa alla Corte di Giustizia che ha sede a Lussemburgo: gli stipendi variano notevolmente a seconda della posizione (avvocato, cancelliere, giudice, personale amministrativo), ma sono generalmente elevati, con giuristi principianti che possono guadagnare da 2.000 a 5.000 euro al mese e stipendi più alti per i magistrati, anche se cifre precise per i giudici non sono facilmente disponibili pubblicamente. Gli stipendi si basano sulle griglie della funzione pubblica europea e aumentano con l’anzianità, passando da 2.600 euro per il personale esecutivo a oltre 18.000 euro per alcuni alti funzionari.
Il problema, va precisato, non risiede nel fatto che le persone competenti siano pagate bene, com’è giusto che sia, ma che svolgano bene il proprio lavoro e soprattutto che ci sia trasparenza sui salari. Dei risultati delle politiche di Von der Leyen e Lagarde i giudici non sono esattamente entusiastici, ma il conto lo pagano, come al solito, i cittadini europei.
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Carlo Cottarelli (Ansa)
Punto secondo. I trattati europei prevedono che l’oro debba essere posseduto dalla banca centrale di ogni singolo Paese? No, basta che sia gestito dall’istituto, prova ne sia che in Francia è di proprietà dello Stato ma la Banque de France è autorizzata a inserirlo per legge nel proprio attivo.
Già qui si capisce che il punto numero uno non è un dogma, ma una scelta politica. Infatti, se a Parigi è stabilito che i lingotti custoditi nei caveau della banca centrale sono dello Stato e non dell’istituto, il quale può iscriverli a bilancio nello stato patrimoniale, è evidente che ciò che sta chiedendo il governo italiano non è affatto una cosa strana, ma si tratta di un chiarimento necessario a stabilire che l’oro non è di Bruxelles o di Francoforte e neppure di via Nazionale, dove ha sede la nostra banca centrale, ma degli italiani.
È così difficile da comprendere? La Bce, scrive Cottarelli, non capisce perché l’Italia voglia specificare che le riserve sono dello Stato e «solo» affidate in gestione alla Banca d’Italia. E si chiede: quali vantaggi ci sarebbero per il popolo italiano se diventasse proprietario dell’oro? «Gli effetti pratici», si risponde il professore, «almeno nell’immediato, sarebbero nulli». Provo a ribaltare la domanda di Cottarelli: quali svantaggi ci sarebbero se all’improvviso il popolo italiano scoprisse che l’oro non è suo ma della Banca d’Italia e un giorno la Bce decidesse di annettersi le riserve auree degli istituti centrali? La risposta mi sembra facile: gli effetti pratici non sarebbero affatto nulli per il nostro Paese, che all’improvviso si troverebbe privato di un capitale del valore di circa 280 miliardi di euro.
Cottarelli chiarisce che il timore della Bce è dovuto al fatto che l’emendamento alla legge di Bilancio, con cui si vuole sancire che la proprietà dell’oro è del popolo italiano, in teoria potrebbe consentire al governo, al Parlamento o al popolo italiano la vendita dei lingotti. «Sarebbe demenziale», sentenzia il professore, perché l’oro «è una riserva strategica da usare in gravissime emergenze». È vero ciò che sostiene l’ex senatore del Pd. Peccato che nessuno abbia mai parlato di vendere le riserve auree (anzi, nel passato ne parlò Romano Prodi, che mi risulta stia dalla stessa parte politica di Cottarelli), ma soltanto di stabilire di chi siano, se della Banca d’Italia, e dunque vigilate dalla Bce, o del popolo italiano.
Il professore però fa anche un’altra affermazione assolutamente vera: l’oro è una riserva strategica da usare in gravissime emergenze. Ma chi stabilisce quando è gravissima un’emergenza? E, soprattutto, chi può decidere di usare quella riserva strategica? Il governo, il Parlamento, il popolo italiano o la Banca d’Italia su ordine della Bce? È tutto qui il nocciolo del problema: se l’oro è nostro ogni decisione - giusta o sbagliata - spetta a noi. Se l’oro è della Banca d’Italia o della Bce, a stabilire che cosa fare della riserva strategica sarà l’istituto centrale, italiano o europeo. In altre parole: dobbiamo lasciare i lingotti italiani in mano alla Lagarde, che magari di fronte a un’emergenza decide di darli in garanzia per comprare armi da destinare agli ucraini?
Tanto per chiarire che cosa significherebbe tutto ciò, va detto che l’Italia è il terzo Paese al mondo per riserve auree. Il primo sono gli Stati Uniti, poi c’è la Germania, quindi noi. La Francia ne ha meno, la Spagna quasi un decimo, Grecia, Ungheria e Romania hanno 100 tonnellate o poco più, contro le nostre 2.400. Guardando i numeri è facile capire che il nostro oro fa gola a molti e metterci le mani, sottraendolo a quelle legittime degli italiani, sarebbe un affarone. Per la Bce, ovviamente, non certo per noi. Quanto al debito pubblico, che Cottarelli rammenta dicendo che se siamo proprietari dei lingotti lo siamo anche dell’esposizione dello Stato per 3.000 miliardi, è vero. Siamo tra i più indebitati al mondo: quinti in valore assoluto. Ma avere debiti non è una buona ragione per regalare 280 miliardi alla Lagarde, considerando soprattutto che circa il 70 per cento dei nostri titoli di Stato sono nelle mani di famiglie e istituzioni italiane, non della Bce.
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