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2022-06-11
Anche Pfizer sconsiglia il siero alle gestanti
iStock
Il colosso Pfizer non ha mai detto che il vaccino anti Covid è sicuro per le donne in attesa di un figlio. Studiosi e ricercatori seri l’hanno sempre saputo, più volte il mondo scientifico che indaga, approfondisce, conosce la complessità dei trial o anche solo legge per davvero la documentazione fornita dalle case farmaceutiche, ha provato a mettere in guardia. Sul rischio di un via libera alla vaccinazione in una fase così delicata e complessa della vita di una donna qual è la gravidanza, sulle incognite che rimangono pesanti circa le conseguenze nella creatura che si sta formando nel grembo materno.
Qualche giorno fa, l’endocrinologo Giovanni Frajese, sospeso dall’Ordine dei medici perché non ha accettato di farsi inoculare, è tornato sulla questione. Durante un video di meno di venti minuti, dal titolo La verità è sotto gli occhi di tutti, il professore ha ricordato con preoccupazione la gravità di questo voluto fraintendimento, da parte di agenzie regolatorie e altre autorità sanitarie, delle associazioni di ginecologi e pediatri, di una posizione invece molto chiara di Pfizer nei confronti delle donne incinte. L’azienda non raccomanda di vaccinare le future mamme, per nove mesi la popolazione «forse più fragile che esiste sulla faccia della Terra», come le definisce Frajese. Anzi.
Siamo andati a controllare e sul sito di Pfizer, le schede tecniche per gli operatori sanitarie aggiornate il 1 giugno, quindi una decina di giorni fa, alla voce utilizzo in gravidanza riportano: «I dati disponibili sul vaccino Pfizer Biontech Covid-19 somministrato alle donne in gravidanza non sono sufficienti per informare i rischi associati al vaccino in gravidanza».
I Cds statunitensi però raccomandano il vaccino alle donne incinte, lo stesso fanno l’Agenzia del farmaco europea (Ema) e quella italiana (Aifa). Perché agiscono in questo modo, ripropone la domanda l’endocrinologo, se il vaccino non è previsto durante la gestazione? Pfizer non ha fatto trial su donne in gravidanza, o saranno stati ancora meno di quelli avviati per le altre fasce di popolazione. Di fatto, non ci sono dati che possano affermare che il vaccino funzioni. Ancor peggio, non c’è sicurezza del prodotto, ed è Big pharma ad ammetterlo.
Le donne in gravidanza diventano così «cavie, spiega il professore, e la cosa enorme è che medici possano permetterlo. «Si raccomanda la vaccinazione anti Sars Cov-2/Covid-19, con vaccini a mRna, alle donne in gravidanza nel secondo e terzo trimestre», informava nel settembre scorso una circolare del ministero della Salute, firmata dal direttore generale della Prevenzione, Gianni Rezza.
«La Sigo con le sue confederate Aogoi, Agui, Agite prende atto, con grande soddisfazione, e condivide le raccomandazioni del ministero della Salute, contenute nella circolare recentemente diramata e che, rassicurando le decine di migliaia di donne gravide e in allattamento, ha confermato l’assoluta tranquillità per le stesse nel procedere alla vaccinazione anti Covid 19», plaudevano i ginecologi italiani. Un mese prima avevano scritto al ministro Roberto Speranza, chiedendo di promuovere il più possibile la vaccinazione delle donne in gravidanza e in allattamento, nei bambini di età superiore ai 12 anni e nei più piccoli appena pronti i vaccini per loro.
Le neo mamme, nella circolare vengono pure invitate a vaccinarsi mentre nutrono con il proprio latte i neonati. «La donna che allatta deve essere informata che la vaccinazione non espone il lattante a rischi e gli permette di assumere, tramite il latte, anticorpi contro Sars-Cov-2», si legge sul sito del ministero della Salute. Ma siamo certi che le creature non corrano rischi? No, affatto. È sempre la stessa Pfizer a dichiarare che non esistono studi. «Non sono disponibili dati per valutare gli effetti del vaccino Pfizer Biontech Covid-19 sul neonato allattato al seno o sulla produzione/escrezione di latte», riporta sul suo sito.
Ma allora è gravissimo che si insista nel vaccinare donne in attesa, o che allattano, senza informarle che non ci sono stracci di sicurezza su reazioni avverse nel loro corpo e in quello del bambino. E per fortuna che siamo preoccupati della spaventosa denatalità, altrimenti che cos’altro verrebbe permesso per minare la salute delle poche che cercano di avere un figlio? Un paper appena uscito su Lancet e relativo a uno studio di coorte effettuato in Svizzera tra il 1 marzo e il 27 dicembre 2021, ha mostrato che non ci sono dati sulla sicurezza riguardo gli effetti avversi quando il vaccino viene iniziato nei primi tre mesi di gravidanza (quelli più critici), e che su 1.012 donne vaccinate, indipendentemente dal tipo di vaccino, 727 (81,3%) hanno riportato almeno un evento avverso locale per la prima dose e 720 (80,5%) per la seconda dose.
Si sono verificati quattro eventi collaterali gravi quali embolia polmonare, rottura prematura delle membrane, febbre isolata con ricovero e herpes zoster. Una percentuale dello 0,4% non è decisamente bassa, soprattutto perché un evento avverso su una gestante vale per due, per la futura mamma e per il bimbo che si sta formando.
Gli addetti alla pubblica sicurezza citano il governo per danno erariale
L’Osa, associazione operatori di sicurezza associati, quindi polizia di Stato, carabinieri, Guardia di finanza, vigili del fuoco, esercito, aeronautica, marina militare e ogni altro addetto all’ordine pubblico, ha presentato una corposa denuncia alla Corte dei Conti chiedendo di sottoporre a giudizio per responsabilità amministrativa il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, il ministro della Salute, Roberto Speranza, oltre a i vari comandanti e capi dipartimento.
Sarebbero responsabili di danno erariale «per non aver vigilato sulla corretta applicazione della profilassi vaccinale, della sorveglianza sanitaria nei confronti del personale dipendente da tali dipartimenti», e per i costi sostenuti dallo Stato in due anni, compreso «la retribuzione dei medici vaccinatori del personale del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico avendo per tale servizio già sostenuto i costi delle sanità delle amministrazioni che hanno, fra i vari compiti istituzionali, anche quello della profilassi vaccinale».
L’avvocato Luigi Doria del foro di Lecce ha elencato una lunga serie di mancanze, disattenzioni, non vigilanza sulla vaccinazione anti Covid che hanno provocato «numerosissimi decessi e moltissime reazioni avverse gravi, riscontrate tra il personale delle forze di polizia, delle forze armate e del corpo nazionale dei vigili del fuoco». C’è una precisa e articolata direttiva tecnica del maggio 2018, adottato dal ministero della Difesa di concerto con quello della Salute, in base alla quale la profilassi vaccinale doveva essere attuata, ma soprattutto garantita dall’amministrazione del ministero dell’Interno e non svolta negli hub.
Invece di verificare che questo accadesse, le autorità hanno condiviso illegittime norme di circolazione collegate al green pass per l’accesso nelle caserme e agli alloggi di servizio. «È stata praticata su tutta la popolazione militare e in generale tutta quella che veste un’uniforme, in palese spregio alle indicazioni delle commissioni parlamentari d’inchiesta, una somministrazione incontrollata di vaccini […] senza effettuare, come previsto, una puntuale raccolta e registrazione di anamnesi mirata e specifica», si legge nel documento.
Qualcuno ne dovrà rispondere e, secondo l’Osa, per indennizzi e responsabilità penali occorre rifarsi alla sentenza 22415 della Cassazione penale sulla valutazione dei rischi nella pubblica amministrazione. Se risulterà che comandanti e dirigenti delle varie articolazioni centrali e periferiche dello Stato, in tema di vaccinazione anti Covid del personale dipendente «non abbiano avuto autonomi poteri gestionali, in quanto preclusi e/o erroneamente indirizzati dagli organi di direzione politica, questi ultimi dovranno essere ritenuti, per la vaccinazione in questione, datori di lavoro di tutti i soggetti inoculati e dovranno assumersene direttamente le responsabilità per i danni erariali presenti e futuri cagionati alla salute di tali soggetti, per il fatto di non aver permesso di applicare la prevista sorveglianza sanitaria e la corretta profilassi vaccinale al personale in uniforme». Se ne vedranno delle belle.
Quanto agli eventi avversi da vaccino, viene chiesto se l’osservatorio epidemiologico della Difesa abbia o meno ricevuto e monitorato i dati relativi all’immunizzazione del personale militare, visto che le segnalazioni sono state davvero tante. In tutto il comparto sicurezza.
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Il colosso ammette: i dati sulle donne incinte sono insufficienti per calcolare i rischi della vaccinazione. Ma Ema, Aifa e ministero continuano a insistere sull’iniezione durante la gravidanza e l’allattamento. Sebbene, pure per i neonati, i pericoli siano ignoti.Denuncia dell’Osa contro Luciana Lamorgese, Lorenzo Guerini e Roberto Speranza per la campagna di profilassi.Lo speciale contiene due articoli.Il colosso Pfizer non ha mai detto che il vaccino anti Covid è sicuro per le donne in attesa di un figlio. Studiosi e ricercatori seri l’hanno sempre saputo, più volte il mondo scientifico che indaga, approfondisce, conosce la complessità dei trial o anche solo legge per davvero la documentazione fornita dalle case farmaceutiche, ha provato a mettere in guardia. Sul rischio di un via libera alla vaccinazione in una fase così delicata e complessa della vita di una donna qual è la gravidanza, sulle incognite che rimangono pesanti circa le conseguenze nella creatura che si sta formando nel grembo materno. Qualche giorno fa, l’endocrinologo Giovanni Frajese, sospeso dall’Ordine dei medici perché non ha accettato di farsi inoculare, è tornato sulla questione. Durante un video di meno di venti minuti, dal titolo La verità è sotto gli occhi di tutti, il professore ha ricordato con preoccupazione la gravità di questo voluto fraintendimento, da parte di agenzie regolatorie e altre autorità sanitarie, delle associazioni di ginecologi e pediatri, di una posizione invece molto chiara di Pfizer nei confronti delle donne incinte. L’azienda non raccomanda di vaccinare le future mamme, per nove mesi la popolazione «forse più fragile che esiste sulla faccia della Terra», come le definisce Frajese. Anzi.Siamo andati a controllare e sul sito di Pfizer, le schede tecniche per gli operatori sanitarie aggiornate il 1 giugno, quindi una decina di giorni fa, alla voce utilizzo in gravidanza riportano: «I dati disponibili sul vaccino Pfizer Biontech Covid-19 somministrato alle donne in gravidanza non sono sufficienti per informare i rischi associati al vaccino in gravidanza». I Cds statunitensi però raccomandano il vaccino alle donne incinte, lo stesso fanno l’Agenzia del farmaco europea (Ema) e quella italiana (Aifa). Perché agiscono in questo modo, ripropone la domanda l’endocrinologo, se il vaccino non è previsto durante la gestazione? Pfizer non ha fatto trial su donne in gravidanza, o saranno stati ancora meno di quelli avviati per le altre fasce di popolazione. Di fatto, non ci sono dati che possano affermare che il vaccino funzioni. Ancor peggio, non c’è sicurezza del prodotto, ed è Big pharma ad ammetterlo. Le donne in gravidanza diventano così «cavie, spiega il professore, e la cosa enorme è che medici possano permetterlo. «Si raccomanda la vaccinazione anti Sars Cov-2/Covid-19, con vaccini a mRna, alle donne in gravidanza nel secondo e terzo trimestre», informava nel settembre scorso una circolare del ministero della Salute, firmata dal direttore generale della Prevenzione, Gianni Rezza. «La Sigo con le sue confederate Aogoi, Agui, Agite prende atto, con grande soddisfazione, e condivide le raccomandazioni del ministero della Salute, contenute nella circolare recentemente diramata e che, rassicurando le decine di migliaia di donne gravide e in allattamento, ha confermato l’assoluta tranquillità per le stesse nel procedere alla vaccinazione anti Covid 19», plaudevano i ginecologi italiani. Un mese prima avevano scritto al ministro Roberto Speranza, chiedendo di promuovere il più possibile la vaccinazione delle donne in gravidanza e in allattamento, nei bambini di età superiore ai 12 anni e nei più piccoli appena pronti i vaccini per loro.Le neo mamme, nella circolare vengono pure invitate a vaccinarsi mentre nutrono con il proprio latte i neonati. «La donna che allatta deve essere informata che la vaccinazione non espone il lattante a rischi e gli permette di assumere, tramite il latte, anticorpi contro Sars-Cov-2», si legge sul sito del ministero della Salute. Ma siamo certi che le creature non corrano rischi? No, affatto. È sempre la stessa Pfizer a dichiarare che non esistono studi. «Non sono disponibili dati per valutare gli effetti del vaccino Pfizer Biontech Covid-19 sul neonato allattato al seno o sulla produzione/escrezione di latte», riporta sul suo sito. Ma allora è gravissimo che si insista nel vaccinare donne in attesa, o che allattano, senza informarle che non ci sono stracci di sicurezza su reazioni avverse nel loro corpo e in quello del bambino. E per fortuna che siamo preoccupati della spaventosa denatalità, altrimenti che cos’altro verrebbe permesso per minare la salute delle poche che cercano di avere un figlio? Un paper appena uscito su Lancet e relativo a uno studio di coorte effettuato in Svizzera tra il 1 marzo e il 27 dicembre 2021, ha mostrato che non ci sono dati sulla sicurezza riguardo gli effetti avversi quando il vaccino viene iniziato nei primi tre mesi di gravidanza (quelli più critici), e che su 1.012 donne vaccinate, indipendentemente dal tipo di vaccino, 727 (81,3%) hanno riportato almeno un evento avverso locale per la prima dose e 720 (80,5%) per la seconda dose. Si sono verificati quattro eventi collaterali gravi quali embolia polmonare, rottura prematura delle membrane, febbre isolata con ricovero e herpes zoster. Una percentuale dello 0,4% non è decisamente bassa, soprattutto perché un evento avverso su una gestante vale per due, per la futura mamma e per il bimbo che si sta formando. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/anche-pfizer-sconsiglia-siero-gestanti-2657489653.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="gli-addetti-alla-pubblica-sicurezza-citano-il-governo-per-danno-erariale" data-post-id="2657489653" data-published-at="1654885784" data-use-pagination="False"> Gli addetti alla pubblica sicurezza citano il governo per danno erariale L’Osa, associazione operatori di sicurezza associati, quindi polizia di Stato, carabinieri, Guardia di finanza, vigili del fuoco, esercito, aeronautica, marina militare e ogni altro addetto all’ordine pubblico, ha presentato una corposa denuncia alla Corte dei Conti chiedendo di sottoporre a giudizio per responsabilità amministrativa il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, il ministro della Salute, Roberto Speranza, oltre a i vari comandanti e capi dipartimento. Sarebbero responsabili di danno erariale «per non aver vigilato sulla corretta applicazione della profilassi vaccinale, della sorveglianza sanitaria nei confronti del personale dipendente da tali dipartimenti», e per i costi sostenuti dallo Stato in due anni, compreso «la retribuzione dei medici vaccinatori del personale del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico avendo per tale servizio già sostenuto i costi delle sanità delle amministrazioni che hanno, fra i vari compiti istituzionali, anche quello della profilassi vaccinale». L’avvocato Luigi Doria del foro di Lecce ha elencato una lunga serie di mancanze, disattenzioni, non vigilanza sulla vaccinazione anti Covid che hanno provocato «numerosissimi decessi e moltissime reazioni avverse gravi, riscontrate tra il personale delle forze di polizia, delle forze armate e del corpo nazionale dei vigili del fuoco». C’è una precisa e articolata direttiva tecnica del maggio 2018, adottato dal ministero della Difesa di concerto con quello della Salute, in base alla quale la profilassi vaccinale doveva essere attuata, ma soprattutto garantita dall’amministrazione del ministero dell’Interno e non svolta negli hub. Invece di verificare che questo accadesse, le autorità hanno condiviso illegittime norme di circolazione collegate al green pass per l’accesso nelle caserme e agli alloggi di servizio. «È stata praticata su tutta la popolazione militare e in generale tutta quella che veste un’uniforme, in palese spregio alle indicazioni delle commissioni parlamentari d’inchiesta, una somministrazione incontrollata di vaccini […] senza effettuare, come previsto, una puntuale raccolta e registrazione di anamnesi mirata e specifica», si legge nel documento. Qualcuno ne dovrà rispondere e, secondo l’Osa, per indennizzi e responsabilità penali occorre rifarsi alla sentenza 22415 della Cassazione penale sulla valutazione dei rischi nella pubblica amministrazione. Se risulterà che comandanti e dirigenti delle varie articolazioni centrali e periferiche dello Stato, in tema di vaccinazione anti Covid del personale dipendente «non abbiano avuto autonomi poteri gestionali, in quanto preclusi e/o erroneamente indirizzati dagli organi di direzione politica, questi ultimi dovranno essere ritenuti, per la vaccinazione in questione, datori di lavoro di tutti i soggetti inoculati e dovranno assumersene direttamente le responsabilità per i danni erariali presenti e futuri cagionati alla salute di tali soggetti, per il fatto di non aver permesso di applicare la prevista sorveglianza sanitaria e la corretta profilassi vaccinale al personale in uniforme». Se ne vedranno delle belle. Quanto agli eventi avversi da vaccino, viene chiesto se l’osservatorio epidemiologico della Difesa abbia o meno ricevuto e monitorato i dati relativi all’immunizzazione del personale militare, visto che le segnalazioni sono state davvero tante. In tutto il comparto sicurezza.
Kaja Kallas (Ansa)
Kallas è il falco della Commissione, quando si tratta di Russia, e tiene a rimarcarlo. A proposito dei fondi russi depositati presso Euroclear, l’estone dice nell’intervista che il Belgio non deve temere una eventuale azione di responsabilità da parte della Russia, perché «se davvero la Russia ricorresse in tribunale per ottenere il rilascio di questi asset o per affermare che la decisione non è conforme al diritto internazionale, allora dovrebbe rivolgersi all’Ue, quindi tutti condivideremmo l’onere».
In pratica, cioè, l’interpretazione piuttosto avventurosa di Kallas è che tutti gli Stati membri sarebbero responsabili in solido con il Belgio se Mosca dovesse ottenere ragione da qualche tribunale sul sequestro e l’utilizzo dei suoi fondi.
Tribunale sui cui l’intervistata è scettica: «A quale tribunale si rivolgerebbe (Putin, ndr)? E quale tribunale deciderebbe, dopo le distruzioni causate in Ucraina, che i soldi debbano essere restituiti alla Russia senza che abbia pagato le riparazioni?». Qui l’alto rappresentante prefigura uno scenario, quello del pagamento delle riparazioni di guerra, che non ha molte chance di vedere realizzato.
All’intervistatore che chiede perché per finanziare la guerra non si usino gli eurobond, cioè un debito comune europeo, Kallas risponde: «Io ho sostenuto gli eurobond, ma c’è stato un chiaro blocco da parte dei Paesi Frugali, che hanno detto che non possono farlo approvare dai loro Parlamenti». È ovvio. La Germania e i suoi satelliti del Nord Europa non vogliano cedere su una questione sulla quale non hanno mai ceduto e per la quale, peraltro, occorre una modifica dei trattati su cui serve l’unanimità e la ratifica poi di tutti i parlamenti. Con il vento politico di destra che soffia in tutta Europa, con Afd oltre il 25% in Germania, è una opzione politicamente impraticabile. Dire eurobond significa gettare la palla in tribuna.
In merito all’adesione dell’Ucraina all’Unione europea già nel 2027, come vorrebbe il piano di pace americano, Kallas se la cava con lunghe perifrasi evitando di prendere posizione. Secondo l’estone, l’adesione all’Ue è una questione di merito e devono decidere gli Stati membri. Ma nel piano questo punto è importante e sembra difficile che venga accantonato.
Kallas poi reclama a gran voce un posto per l’Unione al tavolo della pace: «Il piano deve essere tra Russia e Ucraina. E quando si tratta dell’architettura di sicurezza europea, noi dobbiamo avere voce in capitolo. I confini non possono essere cambiati con la forza. Non ci dovrebbero essere concessioni territoriali né riconoscimento dell’occupazione». Ma lo stesso Zelensky sembra ormai convinto che almeno un referendum sulla questione del Donbass sia possibile. Insomma, Kallas resta oltranzista ma i fatti l’hanno già superata.
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Carlo Messina all'inaugurazione dell'Anno Accademico della Luiss (Ansa)
La domanda è retorica, provocatoria e risuona in aula magna come un monito ad alzare lo sguardo, a non limitarsi a contare i droni e limare i mirini, perché la risposta è un’altra. «In Europa abbiamo più poveri e disuguaglianza di quelli che sono i rischi potenziali che derivano da una minaccia reale, e non percepita o teorica, di una guerra». Un discorso ecumenico, realistico, che evoca l’immagine dell’esercito più dolente e sfinito, quello di chi lotta per uscire dalla povertà. «Perché è vero che riguardo a welfare e democrazia non c’è al mondo luogo comparabile all’Europa, ma siamo deboli se investiamo sulla difesa e non contro la povertà e le disuguaglianze».
Le parole non scivolano via ma si fermano a suggerire riflessioni. Perché è importante che un finanziere - anzi colui che per il 2024 è stato premiato come banchiere europeo dell’anno - abbia un approccio sociale più solido e lungimirante delle istituzioni sovranazionali deputate. E lo dimostri proprio nelle settimane in cui sentiamo avvicinarsi i tamburi di Bruxelles con uscite guerrafondaie come «resisteremo più di Putin», «per la guerra non abbiamo fatto abbastanza» (Kaja Kallas, Alto rappresentante per la politica estera) o «se vogliamo evitare la guerra dobbiamo preparaci alla guerra», «dobbiamo produrre più armi, come abbiamo fatto con i vaccini» (Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea).
Una divergenza formidabile. La conferma plastica che l’Europa dei diritti, nella quale ogni minoranza possibile viene tutelata, si sta dimenticando di salvaguardare quelli dei cittadini comuni che alzandosi al mattino non hanno come priorità la misura dell’elmetto rispetto alla circonferenza cranica, ma il lavoro, la famiglia, il destino dei figli e la difesa dei valori primari. Il ceo di Banca Intesa ricorda che il suo gruppo ha destinato 1,5 miliardi per combattere la povertà, sottolinea che la grande forza del nostro Paese sta «nel formidabile mondo delle imprese e nel risparmio delle famiglie, senza eguali in Europa». E sprona le altre grandi aziende: «In Italia non possiamo aspettarci che faccia tutto il governo, se ci sono aziende che fanno utili potrebbero destinarne una parte per intervenire sulle disuguaglianze. Ogni azienda dovrebbe anche lavorare perché i salari vengano aumentati. Sono uno dei punti di debolezza del nostro Paese e aumentarli è una priorità strategica».
Con l’Europa Carlo Messina non ha finito. Parlando di imprenditoria e di catene di comando, coglie l’occasione per toccare in altro nervo scoperto, perfino più strutturale dell’innamoramento bellicista. «Se un’azienda fosse condotta con meccanismi di governance come quelli dell’Unione Europea fallirebbe». Un autentico missile Tomahawk diretto alla burocrazia continentale, a quei «nani di Zurigo» (copyright Woodrow Wilson) trasferitisi a Bruxelles. La spiegazione è evidente. «Per competere in un contesto globale serve un cambio di passo. Quella europea è una governance che non si vede in nessun Paese del mondo e in nessuna azienda. Perché è incapace di prendere decisioni rapide e quando le prende c’è lentezza nella realizzazione. Oppure non incidono realmente sulle cose che servono all’Europa».
Il banchiere è favorevole a un ministero dell’Economia unico e ritiene che il vincolo dell’unanimità debba essere tolto. «Abbiamo creato una banca centrale che gestisce la moneta di Paesi che devono decidere all’unanimità. Questo è uno degli aspetti drammatici». Ma per uno Stato sovrano che aderisce al club dei 27 è anche l’unica garanzia di non dover sottostare all’arroganza (già ampiamente sperimentata) di Francia e Germania, che trarrebbero vantaggi ancora più consistenti senza quel freno procedurale.
Il richiamo a efficienza e rapidità riguarda anche l’inadeguatezza del burosauro e riecheggia la famosa battuta di Franz Joseph Strauss: «I 10 comandamenti contengono 279 parole, la dichiarazione americana d’indipendenza 300, la disposizione Ue sull’importazione di caramelle esattamente 25.911». Un esempio di questa settimana. A causa della superfetazione di tavoli e di passaggi, l’accordo del Consiglio Affari interni Ue sui rimpatri dei migranti irregolari e sulla liceità degli hub in Paesi terzi (recepito anche dal Consiglio d’Europa) entrerà in vigore non fra 60 giorni o 6 mesi, ma se va bene fra un anno e mezzo. Campa cavallo.
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Luca Casarini. Nel riquadro, il manifesto abusivo comparso a Milano (Ansa)
Quando non è tra le onde, Casarini è nel mare di Internet, dove twitta. E pure parecchio. Dice la sua su qualsiasi cosa. Condivide i post dell’Osservatore romano e quelli di Ilaria Salis (del resto, tra i due, è difficile trovare delle differenze, a volte). Ma, soprattutto, attacca le norme del governo e dell’Unione europea in materia di immigrazione. Si sente Davide contro Golia. E lotta, invitando anche ad andare contro la legge. Quando, qualche giorno fa, è stata fermata la nave Humanity 1 (poi rimessa subito in mare dal tribunale di Agrigento) Casarini ha scritto: «Abbatteremo i vostri muri, taglieremo i fili spinati dei vostri campi di concentramento. Faremo fuggire gli innocenti che tenete prigionieri. È già successo nella Storia, succederà ancora. In mare come in terra. La disumanità non vincerà. Fatevene una ragione». Questa volta si sentiva Oskar Schindler, anche se poi va nei cortei pro Pal che inneggiano alla distruzione dello Stato di Israele.
Chi volesse approfondire il suo pensiero, poi, potrebbe andare a leggersi L’Unità del 10 dicembre scorso, il cui titolo è già un programma: Per salvare i migranti dobbiamo forzare le leggi. Nel testo, che risparmiamo al lettore, spiega come l’Ue si sia piegata a Giorgia Meloni e a Donald Trump in materia di immigrazione. I sovranisti (da quanto tempo non sentivamo più questo termine) stanno vincendo. Bisogna fare qualcosa. Bisogna reagire. Ribellarsi. Anche alle leggi. Il nostro, sempre attento ad essere politicamente corretto, se la prende pure con gli albanesi che vivono in un Paese «a metà tra un narcostato e un hub di riciclaggio delle mafie di mezzo mondo, retto da un “dandy” come Rama, più simile al Dandy della banda della Magliana che a quel G.B. Brummel che diede origine al termine». Casarini parla poi di «squadracce» che fanno sparire i migranti e di presunte «soluzioni finali» per questi ultimi. E auspica un modello alternativo, che crei «reti di protezione di migranti e rifugiati, per sottrarli alle future retate che peraltro avverranno in primis nei luoghi di “non accoglienza”, così scientificamente creati nelle nostre città da un programma di smantellamento dei servizi sociali, educativi e sanitari, che mostra oggi i suoi risultati nelle sacche di marginalità in aumento».
Detto, fatto. Qualcuno, in piazzale Cuoco a Milano, ha infatti pensato bene di affiggere dei manifesti anonimi con le indicazioni, per i migranti irregolari, su cosa fare per evitare di finire nei centri di permanenza per i rimpatri, i cosiddetti di Cpr. Nessuna sigla. Nessun contatto. Solo diverse lingue per diffondere il vademecum: l’italiano, certo, ma anche l’arabo e il bengalese in modo che chiunque passi di lì posa capire il messaggio e sfuggire alla legge. Ti bloccano per strada? Non far vedere il passaporto. Devi andare in questura? Presentati con un avvocato. Ti danno un documento di espulsione? Ci sono avvocati gratis (che in realtà pagano gli italiani con le loro tasse). E poi informazioni nel caso in cui qualcuno dovesse finire in un cpr: avrai un telefono, a volte senza videocamera. E ancora: «Se non hai il passaporto del tuo Paese prima di deportarti l’ambasciata ti deve riconoscere. Quindi se non capisci la lingua in cui ti parla non ti deportano. Se ti deportano la polizia italiana ti deve lasciare un foglio che spiega perché ti hanno deportato e quanto tempo deve passare prima di poter ritornare in Europa. È importante informarci e organizzarci insieme per resistere!».
Per Sara Kelany (Fdi), «dire che i Cpr sono “campi di deportazione” e “prigioni per persone senza documenti” è una mistificazione che non serve a tutelare i diritti ma a sostenere e incentivare l’immigrazione irregolare con tutti i rischi che ne conseguono. Nei Cpr vengono trattenuti migranti irregolari socialmente pericolosi, che hanno all’attivo condanne per reati anche molto gravi. Potrà dispiacere a qualche esponente della sinistra o a qualche attivista delle Ong - ogni riferimento a Casarini non è casuale - ma in Italia si rispettano le nostre leggi e non consentiamo a nessuno di aggirarle». Per Francesco Rocca (Fdi), si tratta di «un’affissione abusiva dallo sgradevole odore eversivo».
Casarini, da convertito, diffonde il verbo. Che non è quello che si è incarnato, ma quello che tutela l’immigrato.
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