2022-09-03
Altra spinta ai «migranti climatici»
Alluvioni in Niger. E il Tribunale di Venezia accorda la protezione a un rifugiato per motivi meteo. Il cerchio si chiude: il catastrofismo verde apre le porte all’immigrazione. contenute in 23 pagine che accompagnano il provvedimento il peso più rilevante è dato alle recenti alluvioni nel Niger stesso - Paese notoriamente e da sempre soggetto alla siccità - dovute al cambiamento climatico. Dunque si aggiunge un nuovo motivo che può essere determinante nel decidere di concedere la protezione sussidiaria-status di rifugiato politico. Non solo più guerra e povertà, ma anche cambiamento climatico. Strano provvedimento, che potrebbe costituire un precedente di giurisprudenza ulteriore nella valutazione delle domande di rifugio politico che potrebbe aprire una voragine vera e propria in una già troppo discrezionale e quindi molto incerta applicazione della legge. Da notare che la Commissione territoriale di Treviso competente aveva già rifiutato la domanda presentata dal giovane nigeriano, migrante climatico, che scappa dal cambiamento climatico quindi, non dalla guerra né dal pericolo di essere ucciso per motivi politici (rifugiato politico), né dalla indigenza e dalla povertà (migrante economico) nel 2019, ma i giudici competenti in materia di immigrazione nei giorni scorsi l’hanno accolta, dopo che la vicenda era stata rilanciata da Melting pot, un’associazione per la libertà di movimento e per i diritti di cittadinanza. La stessa associazione precisa nel suo sito cos’è la protezione sussidiaria: «Qualora il richiedente non possa dimostrare una persecuzione personale ai sensi della Convenzione di Ginevra che definisce chi è rifugiato, ma si ritiene che rischi di subire un danno grave (condanna a morte, tortura, minaccia alla vita in caso di guerra interna o internazionale) nel caso di rientro nel proprio paese, può ottenere la protezione sussidiaria». Cioè - giova ripeterlo - lo status di rifugiato politico. Ora, è pur vero che quando il 33enne nigerino arrivò in Italia, nel novembre del 2016, nel suo Paese c’era stato un attacco terroristico di Boko Haram, al mercato di Bosso. Qui il ragazzo - sono parole sue - aveva visto «la folla scappare, le abitazioni e i negozi bruciare, le donne sequestrate e la gente uccisa», e non voleva fare quella fine. Ma allora, senza ironia, da quel Paese quanta gente dovremmo legittimamente accogliere? E se alle motivazioni dette sopra si aggiunge anche quella del migrante climatico - che, lo ricordiamo, nel provvedimento del Tribunale di Venezia, è il perno del provvedimento - verso dove stiamo andando?Forse allora anche in Europa occorrerà pensare accanto alla Convenzione di Schengen la Convenzione di Gretenberg, dal nome della iper famosa Greta, paladino senza risultati dei provvedimenti contro il riscaldamento globale, il Global warming. Pensate in Italia a tutti quelli che sono in zone ad alto tasso di rischio idrogeologico o sismico: non avrebbero forse diritto a chiedere asilo in regioni più sicure? E i cittadini di altri Paesi in simili situazioni non potrebbero fare lo stesso? I cinesi che vivono in certe città che sono le più inquinate del mondo?Potrebbe sembrare un paradosso anche venato di disumanità, ma non è così. Sorge dalla consapevolezza che quando un Tribunale prende un provvedimento, le sue motivazioni non si fermano al singolo caso, ma possono essere prese come paradigma per altri. Insomma - come dicono gli esperti di diritto - possono fare giurisprudenza, creare cioè un precedente. Non occorre uno scienziato delle leggi per capire che siamo di fronte a un provvedimento assai pericoloso: non perché mettiamo in dubbio la consistenza e ancor prima l’esistenza di un problema climatico, come in Niger, ma perché non bisogna fare confusione e assimilare un migrante climatico a un migrante per motivi di rifugio politico. Perché, altrimenti, va bene tutto: e quando va bene tutto, non va bene un bel niente.
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