2021-12-20
Graham Medley: «L’allarme è a beneficio dei politici»
Lo scienziato alla guida del team che elabora modelli probabilistici per l’ente consulente del governo britannico: «Esponiamo solo scenari catastrofici, altrimenti non decidono».E se il lockdown fosse il presupposto degli allarmi che dovrebbero giustificarlo? Se la necessità di varare restrizioni fosse la premessa occulta degli scenari catastrofici che le motivano? È un sospetto che affiora, leggendo un botta e risposta su Twitter, a proposito del potenziale impatto della variante Omicron nel Regno Unito, tra il direttore del settimanale britannico The Spectator, Fraser Nelson, e il professor Graham Medley, scienziato alla guida del team che elabora modelli probabilistici per il Sage. Ovvero, l’ente governativo, consulente di Downing Street per le emergenze.L’esperto dichiara: le analisi basate su prospettive non allarmistiche non «aggiungono informazioni» a beneficio dei vertici politici, i quali «sono generalmente o esclusivamente interessati a situazioni in cui bisogna prendere delle decisioni». In effetti, se venissero bandite le profezie apocalittiche sul Covid, chi comanda resterebbe con il cerino in mano: «I decisori non devono decidere niente, se non accade niente». Sembra così confermata l’impressione che suscitano le affannose rincorse dei governi a chi è più rigoroso a imporre divieti: e cioè, che la politica stringa le briglie per dimostrare che «si sta facendo il possibile», o, comunque, che «è stato fatto qualcosa». Indipendentemente dal fondamento scientifico delle misure, da una stima razionale dei rischi e dei benefici che esse comportano, da un confronto con chi ha scelto strade diverse e, magari, ha ottenuto risultati migliori, o almeno non peggiori.Sullo sfondo della disputa social, diventata oggetto di un articolo sul sito dello Spectator, c’è ovviamente la preoccupazione per la diffusione di Omicron in Gran Bretagna. L’ultima pubblicazione del Sage paventava tra 200 e 6.000 morti al giorno, a seconda della durezza delle regole che saranno varate per reagire alla minaccia. Sono timori cui è stata data ampia eco anche dalla stampa italiana. Repubblica, ieri, parlava di una Londra in «stato di disastro»; il Corriere insisteva sul pericolo che si arrivi a 2 milioni di contagi al giorno; tutti gongolavano per la richiesta degli scienziati di stabilire una serrata di due settimane. Il direttore dello Spectator, invece, ha segnalato un rapporto di Jp Morgan, secondo il quale «le evidenze in arrivo dal Sudafrica suggeriscono che le infezioni da Omicron sono più lievi». Alcuni giorni fa, l’aveva ribadito a una radio inglese il capo dei medici di Pretoria, Angelique Coetzee: «È la nostra quarta settimana e non c’è motivo di non fidarvi di noi, quando vi diciamo che la malattia è blanda!». I dati dal Paese, d’altronde, parlano di un 1,7% di ospedalizzati, contro il 19% di ricoveri causato dalla Delta. Nelson, dunque, ha chiesto perché la Scuola di igiene e medicina tropicale di Londra, dove insegna il prof Medley, «non abbia incluso uno scenario di virulenza inferiore, considerato che è un’opzione altamente plausibile, in grado di cambiare enormemente le prospettive». In tale circostanza, «non sarebbe necessaria nessun’altra restrizione, così potrebbero essere evitati danni all’economia e alla società. Perché non avete creduto che valesse la pena contemplare questo scenario meno allarmante (e piuttosto verosimile)?». Domande cui il luminare ha replicato nel modo allucinante che abbiamo riportato. Se dici ai politici che andrà tutto bene, loro come potranno convincerci che ci hanno salvato, agendo prontamente? Persino più inquietante un’altra allusione di Medley: «Di solito, creiamo modelli su ciò che ci è richiesto. C’è un dialogo in cui le squadre che stabiliscono le politiche discutono con chi si occupa di modelli su ciò di cui esse hanno bisogno per caratterizzare le loro politiche». E ancora: «Noi modelliamo gli scenari utili alle decisioni». Qualcuno sta suggerendo che i politici vanno dagli esperti e ordinano: «Queste sono le scelte che abbiamo intenzione di compiere, adesso cuciteci addosso una previsione che le legittimi»? Giustamente, il direttore del settimanale si interroga: «Che cos’è successo al sistema originale, che consisteva nel presentare una “ragionevole peggiore delle ipotesi”, insieme con uno scenario mediano? E che senso ha elaborare un modello, se esso non dice quanto sono probabili questi scenari?». Il sentore è che l’eventualità meno calamitosa, benché più probabile, non sia neppure presentata ai ministri. Non si sa più se per un pregiudizio degli scienziati stessi, o per la pretesa dei politici di maneggiare orizzonti che rendano obbligatorio un loro intervento e, quindi, alimentino le loro manie di protagonismo. Medley, poi, ha liquidato sbrigativamente la questione del fardello economico dei lockdown: «Non è la mia area di competenza». I governi se ne curano, o sacrificano tutto per il bene della «sicurezza sanitaria»? E si può parlare davvero di sicurezza sanitaria? Al di là del paradosso per cui, nelle nazioni più vaccinate, tornano le quarantene di massa, ci sono Paesi in cui non è stato fatto nulla, e che hanno già superato l’ondata.Fino ad alcune settimane fa, la Romania veniva additata come un ricettacolo di untori no vax. Essa registra, in effetti, solo il 39% di vaccinati con ciclo completo. Tuttavia, nell’ultima versione della mappa dell’Ecdc, era anche l’unica tra i 27 membri dell’Ue ad annoverare due regioni verdi e nessuna zona rossa: l’onda s’è abbattuta e si è riassorbita, senza lockdown e financo senza iniezioni. Il prezzo pagato, certo, è stato alto: intorno ai 10.000 morti al mese da ottobre. In Svezia (mai in lockdown, mai green pass estesi e rafforzati), i casi aumentano adagio e i decessi restano stabili. Pure il Regno Unito ha parametri meno negativi dell’Italia, patria delle serrate e culla della tesserina verde: con 10 milioni di abitanti in più e oltre il triplo dei nostri positivi giornalieri, continua a piangere meno vittime di noi. Che, per tasso di mortalità, in Europa occidentale siamo scavalcati solo dal Belgio. Perciò, quando si sente dire che il certificato Covid avrebbe reso possibile il ritorno alla «normalità», sorge spontaneo un quesito: è il green pass che serve a non chiudere, o la minaccia delle chiusure serve a costringerci a ingoiare il green pass?