2020-12-01
Alla Juve serve un Ronaldo mai visto: quello capace di stare in panchina
Cristiano Ronaldo e Andrea Pirlo (Getty images)
Se deve tirare il fiato e non è titolare, CR7 regolarmente resta a casa. È successo col Benevento, match in cui il suo ingresso avrebbe potuto sbloccare l'1-1, e capitava anche con Sarri. Sta alla società esigere più umiltà. Gli antichi greci la sapevano lunga. Loro, il tempo, lo classificavano in diversi modi. C'era Chronos, il tempo cronologico, Kairos, il momento giusto, Aion, il tempo eterno, Eniautos, l'alternanza delle stagioni. Cristiano Ronaldo, come la manciata di eroi sacri alla dea del pallone (i suoi pari oggi in attività sono soltanto Messi e Ibrahimovic), sperimenta di persona quelle distinzioni: nel tempo cronologico di 90 minuti sa cogliere l'attimo fuggente del gol, eternando il suo nome sugli albi d'oro, a dispetto dell'alternanza delle annate. Tuttavia c'è un problema: sta aumentando il numero delle partite in cui non coglie più il momento rapinoso. E non per deperimento atletico, anzi, il nerbo del divo portoghese è forgiato con l'adamantio, il metallo di Wolverine. È che - il match pareggiato dalla Juventus a Benevento nell'ultima giornata di campionato ne è un esempio - quando decide di risparmiarsi per sfide di maggior rilevanza, a volte non si accomoda nemmeno in panchina. Contro i campani allenati da Pippo Inzaghi, il calciatore più pagato dei bianconeri nonché d'Italia è rimasto a Torino. Il cielo (e probabilmente pure l'allenatore Andrea Pirlo) solo sa quanto sarebbe stato utile alla causa, magari disputando un piccolo scampolo di gara, propiziando la rete della vittoria con quel guizzo che i vari Dybala, Morata e Chiesa non hanno sfoderato. Come accaduto del resto sul campo dello Spezia: sabaudi da principio balbettanti contro un avversario modesto ma mai domo, si scalda CR7, entra nel secondo tempo e archivia la pratica suggestionando il vigore dei compagni e l'estro dei tifosi. Mai come quest'anno, cifre alla mano, la squadra detentrice dello scudetto si rivela dipendente in tutto e per tutto dalle prodezze del suo fuoriclasse. Acquistato tre anni fa per rappresentare la ciliegina gustosa su una torta sontuosa, da un paio di stagioni, per la precisione dall'avvento di Maurizio Sarri in poi, Ronaldo si è trasformato in un sol colpo nella torta e nel pasticcere capace di confezionarla. Senza di lui la Juve non vince. Basti pensare alla sfida contro il neopromosso Crotone, pareggiata dai bianconeri mentre CR7 stava smaltendo la positività al tampone del Covid-19. Ecco perché risuonano come un mantra convincente solo a metà le parole di mister Pirlo alla vigilia dell'incontro con i beneventani: «Tratto Cristiano Ronaldo come Frabotta o Portanova, sono fatto così», ha assicurato. Sarà vero, benché alcuni supporter si siano affrettati a ricordare come difficilmente a Frabotta e Portanova verrebbe risparmiata una trasferta. Non è la prima volta che capita. L'anno scorso, sotto la guida tecnica di Sarri, quando si decideva di risparmiare al campione una disfida di caratura ridotta, le conseguenze portavano in dote qualche delusione. Un esempio lampante: stagione 2019-2020, mese di ottobre, Lecce-Juventus 1-1. Giusto lasciare Ronaldo a casa perché era stanco, si affrettò a puntualizzare mister Sarri, ma l'affermazione somigliava a una foglia di fico, non a uno scudo infrangibile. Esistono dei controesempi altrettanto emblematici. Stagione 2018-2019, l'ultima nella gestione di Massimiliano Allegri, mese di dicembre. La Juventus deve affrontare in trasferta l'Atalanta, baldanzosa brigata che si rivelerà una gradita sorpresa a fine anno. CR7 siede in panchina, forse controvoglia, forse no. «Per la prima volta siederà a fianco a me al calcio d'inizio», disse Allegri, «ho preso questa decisione perché lo voglio nella miglior condizione possibile in vista degli impegni primaverili». Il tono era da allenatore navigato che tratta i fenomeni guardandoli senza soggezione. Partita rognosa, con un'Atalanta spumeggiante. La Juve va in svantaggio e rischia, fino a quando Allegri non manda in campo il numero 7 portoghese che la raddrizza nel momento decisivo, garantendo il 2-2 finale. Paradigma necessario a dimostrare quanto averlo a disposizione in questo momento faccia la differenza, non solo negli incontri di cartello. Qualcuno azzarda il raffronto con il Milan capitanato, nella tempra e nel morale, da Ibrahimovic. Zlatan è decisivo per i rossoneri quanto CR7 per la Signora, le differenze a oggi però sono due: lo svedese, se in buona salute, verrebbe schierato pure contro la Cavese, e il Milan, disponendo di una rosa meno ampia ed esperta di quella juventina, sta dimostrando di poter vincere anche quando il suo condottiero è infortunato. Si alimenta dunque il dibattito social su come conciliare le esigenze di visibilità e di progettualità nell'infrangere i record di Cristiano Ronaldo, e la necessità della società Juventus di vincere per mantenersi competitiva in campionato e raggiungere la vetta. D'altra parte, tirare in ballo la società non è peregrino. La dirigenza juventina, fin dagli albori del calcio nostrano, è da sempre sinonimo di efficacia gestionale. Ma c'è chi osserva che, complice l'addio di Giuseppe Marotta, approdato da plenipotenziario nei ranghi dell'Inter, gli ultimi due anni si siano rivelati meno sfavillanti del solito nella pianificazione degli orizzonti bianconeri. Il centrocampo è probabilmente il più fragile dell'ultimo decennio, soprattutto se confrontato con il sacro quartetto dei tempi che furono: Vidal, Marchisio, Pogba e Pirlo. Gli innesti sulle fasce non carburano ancora come ci si aspetterebbe, e davanti, come detto fino a ora, Cristiano Ronaldo somiglia a un Ulisse che guida la sua nave durante la tempesta. In questo caso la posta in gioco non è tornare a Itaca, ma andando avanti così si rischia di trasformare il campionato in un'Odissea.
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)
A Fuori dal coro Raffaella Regoli mostra le immagini sconvolgenti di un allontanamento di minori. Un dramma che non vive soltanto la famiglia nel bosco.